Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50891 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50891 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMIONE PATRICK N. IL 23/01/1985
avverso la sentenza n. 26/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
TORINO, del 25/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. sulto_
che ha concluso per t te1 McA /Porco,

Udito, per la parte civile, l’Avv Utub APr2-e P*, Ceil4 /j2 ‘1131 > 141
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Uditi difensor Avv` gebc,,ites9L, ,t‘(..41. o dà,
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Data Udienza: 13/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa in data 25/02/2011 la Corte d’Assise di Ivrea dichiarava
Patrick Amione colpevole dei reati ascrittigli di omicidio premeditato in danno di
Vincenzo Tavella, detenzione e porto abusivi di una pistola, commessi in Strambino il
6 luglio 2009 e, riconosciuto il vincolo della continuazione, concesse le circostanze
attenuanti generiche, ritenute equivalenti all’aggravante contestata, lo condannava
alla pena di anni venticinque di reclusione ed al pagamento delle spese processuali e

stato di interdizione legale per il periodo di espiazione della pena e lo condannava al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in sede civile,
col riconoscimento di una provvisionale in favore di ciascuna di esse, nonché alla
rifusione in loro favore delle spese di costituzione ed assistenza liquidate.
1.1 La Corte di Assise di Appello di Torino, investita dell’appello proposto
dall’imputato, riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, che confermava
nel resto, e, esclusa la circostanza aggravante della premeditazione, riduceva la pena
ad anni diciotto di reclusione.
2. Entrambe le sentenze di merito hanno offerto conforme ricostruzione in
punto di fatto delle vicende relative all’omicidio di Vincenzo Tavella. Il giorno 7 luglio
2009 alle ore 8.40 i Carabinieri di Strambino erano stati allertati da Antonio Cirfera,
dipendente dell’impresa di Vincenzo Tavella, in quanto il proprio datore di lavoro non
si era presentato al cantiere allestito in Cerone, ove avrebbero dovuto incontrarsi ed
egli, recatosi presso la sua abitazione, lo aveva rinvenuto cadavere; i militari,
raggiunto il luogo, avevano effettivamente riscontrato la presenza del corpo senza
vita del Tavella riverso al suolo nella zona d’ingresso del piano terra dell’abitazione,
con indosso soltanto i sandali ed un paio di pantaloncini corti in jeans, nelle cui
tasche si era trovata la somma di 980,00 euro in contanti. L’ispezione cadaverica
aveva stabilito che l’ora della morte era risalente a circa venti ore prima, mentre
all’esito dell’autopsia si era appurato che il Tavella era stato ucciso da un colpo di
arma da fuoco cal. 6.35, che lo aveva attinto nella zona mediana della nuca con
tramite dall’indietro in avanti e dal basso all’alto, penetrato nel cervello sino
all’emisfero sinistro e sparato dalla distanza di circa 40-50 centimetri mentre la
vittima si era trovata presumibilmente seduta col busto inclinato in avanti.
2.1 Le indagini avevano immediatamente rivelato che il Tavella era assuntore e
spacciatore di cocaina, sostanza rinvenuta unitamente a varie confezioni di marijuana
al secondo piano della sua abitazione; l’imputato, esaminato inizialmente quale
persona informata sui fatti, aveva reso spontanee dichiarazioni, in seguito confermate
in numerosi interrogatori, resi al P.M. ed al G.I.P. , con le quali aveva ammesso di

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iit

di custodia in carcere, lo dichiarava interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed in

avere ucciso il Tavella la sera del 6 luglio verso le ore 20.30 all’interno della sua
abitazione, ove si era recato per acquistare ed assumere stupefacente, come era
avvenuto di frequente nei precedenti tre mesi, di avere allo scopo utilizzato la pistola
detenuta presso la propria casa, perché adirato dal fatto di essere stato ingannato dal
Tavella, solito consegnargli una dose già confezionata del peso apparente e
concordato di un grammo di cocaina per l’importo di 120,00 euro, in realtà
contenente un quantitativo di circa metà della sostanza pattuita. Egli aveva riferito di
aver sparato al suo fornitore un solo colpo alla testa quando questi, che indossava

avere recuperato il bossolo e di averlo posto all’interno di una busta con l’arma,
quindi di avere abbandonato il luogo, di essersi cambiato gli abiti durante il tragitto in
auto, di avere raggiunto il bar gestito con i soci Francesco Ferro e Veronica Pejla, ai
quali aveva confessato l’omicidio, di avere bruciato gli abiti indossati nei pressi del
locale e di avere consegnato la busta con l’arma alla Pejla perché se ne liberasse,
quindi di avere effettuato due chiamate dal proprio cellulare a quello del Tavella, così
come il Ferro ne aveva effettuata altra dal proprio apparecchio, per simulare un
contatto con la vittima anche dopo il suo decesso e stornare da sé eventuali sospetti.
Nel corso del successivo interrogatorio del 2 ottobre 2009 l’imputato aveva
riferito al P.M. che il Tavella, oltre a rifornirlo di droga, gli aveva chiesto sempre più
insistentemente, anche col ricorso a minacce ed a schiaffi, di smerciare la droga di cui
disponeva e di averlo ucciso per liberarsi da tale pressione, dalla dipendenza dalla
droga e per tutelare la reputazione della madre, la quale intratteneva una relazione
col Ferro, che il Tavella aveva minacciato di divulgare pubblicamente qualora egli
avesse realmente cessato di rifornirsi da lui, sicchè, adirato da tale proposito, gli
aveva sparato.
2.2 Nel prosieguo delle indagini, su indicazione di Veronica Pejla, i Carabinieri
avevano rinvenuto nella boscaglia in una zona paludosa del lago di Candia una pistola
semiautomatica del tipo Browning cal. 6.35 arrugginita, che, sottoposta a perizia
balistica, era risultata compatibile con il proiettile estratto dalla vittima e che nel
corso dell’interrogatorio reso il 19 novembre 2009 l’imputato aveva riconosciuto come
quella utilizzata per realizzare l’omicidio.
2.3

Espletate intercettazioni delle conversazioni avvenute in carcere tra

l’imputato ed i suoi congiunti, i quali avevano fatto pressioni perché egli ritrattasse le
proprie ammissioni e negasse di essere l’unico responsabile dell’omicidio, egli aveva
ribadito di avere ucciso da solo il Tavella, quindi aveva finito per ammettere di essere
stato mandato dal Ferro per realizzare l’omicidio; soltanto all’udienza preliminare egli
aveva ritrattato le precedenti e reiterate ammissioni ed aveva sostenuto di essersi
autoaccusato per paura, in quanto il suo socio Francesco Ferro era stato accoltellato,

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soltanto un paio di pantaloncini, stava per assumere la droga, stazionando in piedi, di

la gestione del loro locale stava andando malissimo, avevano contratto debiti con
istituti bancari, garantiti dai suoi genitori e dalla madre della Pejla, la propria madre
aveva una relazione col Ferro ed in quel periodo, anche tra il 6 ed il 13 luglio, aveva
abusato di cocaina, che il Ferro aveva acquistato per entrambi. Inoltre, aveva
aggiunto di avere appreso dell’omicidio da Antonio Cirfera che già la sera del 6 luglio
si era recato a casa del Tavella e presentatosi al bar La Suite verso le ore 21.0021.30 aveva riferito di fronte ai presenti di averlo rinvenuto per un presunto infarto.
2.4 Entrambe le Corti di merito avevano ritenuto credibile e genuina la

conversazioni intercettate, nonostante il loro tentativo di indurlo a ritrattare,
corredata da dettagli descrittivi veritieri, compatibili soltanto con la sua presenza sul
luogo ed al momento dell’omicidio. Al tempo stesso avevano considerato incredibile la
successiva, tardiva ed in sé contraddittoria ritrattazione.
2.5 Infine, la Corte di Assise di Appello aveva escluso l’ammissibilità della
richiesta condizionata di ammissione al rito abbreviato in quanto gli approfondimenti
istruttori proposti erano giustificati soltanto quanto alla perizia psichiatrica e non già
per l’esame di numerosi testi, già escussi durante le indagini preliminari, anche
perché dall’esame dei tabulati del traffico telefonico era stato possibile delimitare in
un intervallo di sufficiente approssimazione l’orario dell’uccisione.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a
mezzo del suo difensore, il quale ha articolato i seguenti motivi:
a)

manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ex art. 606 cod. proc.

pen., comma 1 lett. e), in relazione alla ritenuta inammissibilità della richiesta
condizionata di rito abbreviato ed erronea applicazione della legge penale quanto alla
mancata riduzione di un terzo della pena inflitta. Al contrario, s’imponeva l’esigenza
di fissare con ragionevole certezza l’ora della morte del Tavella, per le non esaustive
informazioni fornite dalla consulenza medico-legale e dai tabulati telefonici, nonché
dalle dichiarazioni rese dai testi Quacchia e Karumanayake, mentre altri testi avevano
indicato l’orario di allontanamento del ricorrente dal bar La Suite in modo
incompatibile con l’esecuzione dell’omicidio. Le richieste istruttorie erano state poi
accolte nel corso del dibattimento, protrattosi per molte udienze, mentre
riguardavano l’esame di persone escusse soltanto dalla polizia giudiziaria nelle prime
fasi delle indagini ed in grado di offrire il completo accertamento di fatti rimasti
incerti, quale appunto l’orario della morte del Tavella.
b) Omessa motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ex
art. 606 cod. proc. pen., comma 1 lett. e), in ordine al ritenuto ruolo di esecutore
materiale dell’omicidio attributo all’imputato e travisamento della prova in relazione
1) alla capacità di usare la pistola, ritenuta arma utilizzata per uccidere il Tavella; 2)

confessione inizialmente resa dall’imputato, reiterata anche ai familiari nelle

alla lettura dei dati risultanti dai tabulati dei flussi di comunicazione in entrata e in
uscita riguardanti l’utenza radiomobile in uso alla vittima; inoltre, era stata omessa la
motivazione in ordine alle ragioni per le quali si era ritenuto di privilegiare, nella
determinazione dell’ora della morte del Tavella e dell’ora di allontanamento dal bar La
Suite da parte dell’imputato, le sue dichiarazioni confessorie, poi ritrattate,
unitamente ad una errata lettura dei dati dei tabulati telefonici, anziché la
testimonianza di Massimiliano Bellu.
La Corte di Assise di Appello aveva ritenuto che la ricostruzione del ruolo

– dalla vacuità ed insensatezza del movente, legato alla volontà di eliminare il
fornitore di cocaina, responsabile di avere cagionato la rovina personale e finanziaria
dell’imputato, intento realizzabile mediante la scelta di un diverso fornitore ed in
contrasto con gli elementi investigativi, indicanti nel Ferro il principale referente del
Tavella per l’acquisto di cocaina;
– dalla mancata iscrizione della notizia di reato a carico di alcun indagato
relativamente al traffico di stupefacenti che avrebbe coinvolto l’imputato, il Ferro ed il
Tavella;
– dalla lettura dei dati ricavati dai tabulati del traffico telefonico dell’utenza in uso alla
vittima, frutto del recepimento di quanto riferito al dibattimento dal ten. Bagnato,
ritenuto esperto, ma in realtà rivelatosi incapace di chiarire con adeguate spiegazioni
quanto gli era stato richiesto;
– dalla testimonianza di Massimiliano Bellu, del tutto omessa, secondo il quale egli
aveva visto l’imputato allontanarsi dal Bar La Suite soltanto dopo avere ricevuto una
chiamata dalla propria ex convivente alle ore 21.28 e farvi ritorno poco dopo con un
pacchetto di sigarette acquistato per suo conto;
– dalle differenze nelle modalità esecutive dell’omicidio descritte dall’imputato in
relazione allo sparo a contatto con la nuca della vittima, circostanza smentita dalla
consulenza medico-legale;
– dalla mancata spiegazione delle ragioni per le quali egli aveva raccolto da terra il
bossolo del proiettile esploso.
Inoltre, era stato oggetto di travisamento la considerazione dell’interrogatorio
reso il 2/11/2009, laddove i giudici di appello avevano ritenuto che egli avesse
riconosciuto l’arma in quella sequestrata, sebbene egli l’avesse fatto con incertezza
ed avesse mostrato di non saperla usare e caricare sino a rifiutare di sottoporsi ad
esperimento, mentre la pistola in sequestro era risultata alla perizia balistica
inefficiente e difettosa per il caricatore non originale, il che dimostrava come egli non
potesse essere l’autore dell’uccisione del Tavella. Del resto l’aver consegnato l’arma
alla Pejla era compatibile anche soltanto con la presenza passiva all’omicidio, tanto

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dell’imputato quale esecutore materiale dell’omicidio non fosse smentita:

più che l’arma era soltanto compatibile con quella che aveva esploso il proiettile che
aveva ucciso il Tavella e la Pejla era convivente del Ferro, indicato quale mandante
del delitto.

Considerato in fatto

Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1.In primo luogo va disatteso il motivo col quale si censura la decisione della

ammissione al rito abbreviato e non ha di conseguenza operato la riduzione della
pena di un terzo.
1.1 Va premesso che la decisione è stata assunta, dapprima dal G.U.P. del
Tribunale di Ivrea in data 5/7/2010, quindi da entrambe le Corti di Assise con
motivazione chiara, logica ed esaustiva, oltre che perfettamente rispettosa del
parametro normativo di riferimento. Invero, è stato rilevato che l’escussione dei
numerosi testi indicati dalla difesa non costituiva adempimento necessario e
processualmente utile, dal momento che essi erano già stati esaminati dalla polizia
giudiziaria nel corso delle indagini preliminari e che, per il loro numero, la loro
audizione avrebbe richiesto l’effettuazione di una vera e propria istruttoria,
rapportabile allo schema processuale del giudizio dibattimentale ed incompatibile con
le caratteristiche di speditezza ed economia processuale, proprie del rito alternativo
richiesto. Inoltre, la Corte di primo grado ha anche espresso il convincimento della
superfluità di un rinnovato esame dei testi per finalità di chiarimento delle circostanze
da essi riferite in modo non concorde, dal momento che l’apprezzamento di tali
contraddizioni e dell’attendibilità o meno delle fonti dichiarative costituisce compito
del giudice e rientra nel suo ragionamento probatorio; quella di secondo grado, che
pure aveva disposto procedersi a perizia psichiatrica sulla persona dell’imputato,
come dalla sua difesa richiesto sin dall’udienza preliminare, ha, infine, evidenziato
che, tramite i tabulati del traffico telefonico e le informazioni delle persone presenti al
bar “La Suite” la sera del delitto, si erano già acquisiti elementi anche per collocare
l’ora della morte del Tavella in un lasso temporale sufficientemente definito, anche se
non assolutamente preciso, nel cui ambito si era allontanato dal locale soltanto
l’Amione.
1.2 Proprio su tale circostanza di fatto si appuntano le censure sviluppate col
ricorso, laddove si sostiene che l’irrisolta incertezza sull’ora dell’omicidio avrebbe
potuto essere eliminata grazie all’integrazione probatoria chiesta quale condizione per
l’ammissione al rito abbreviato, in quanto:

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Corte di secondo grado che ha ritenuto inammissibile la richiesta condizionata di

-i dati tanatologici non erano risolutivi, avendo il medico legale collocato tale
momento a circa venti ore prima dell’ispezione cadaverica,
-i tabulati telefonici avevano dimostrato alle ore 20.58 una chiamata in uscita
dall’utenza in uso all’imputato ed una successiva alle ore 00.55, entrambe in entrata
nell’utenza della vittima e la considerazione dei codici identificativi delle
comunicazioni aveva suggerito l’esistenza di una serie ininterrotta di contatti analoghi
dalle ore 7.25 alle ore 00.55 in contrasto con la tesi accusatoria, che collocava il
decesso verso le ore 21.00, mentre sul significato dei codici che contrassegnano il

della richiesta di ammissione al rito alternativo, risultando piuttosto dalla deposizione
del teste di p.g. Bagnato;
c) i testi Quacchia e Karumanayake avevano indicato la permanenza in vita del
Tavella anche dopo le ore 21.00 del 6 luglio;
d) il teste Lo Monaco, che aveva raccolto per primo la confessione dell’Amione, aveva
ricostruito in termini differenti genesi, dinamica e movente dell’omicidio;
e) le persone informate sui fatti Bellu, Cirfera e Paonessa avevano riferito in modo
diverso tra loro l’orario di allontanamento dal bar La Suite da parte dell’imputato.
Sostiene poi la difesa che anche l’esame di Francesco Ferro era necessario, in
quanto indicato nelle intercettazioni dei dialoghi dell’Amione quale mandante
dell’omicidio e proprietario dell’arma utilizzata per realizzarlo.
1.3 Osserva questa Corte che, per affermazione contenuta nello stesso ricorso,
le testimonianze richieste dall’imputato a seguito della sua ritrattazione riguardavano
informatori che erano stati escussi già due volte nel corso delle indagini preliminari, la
prima nell’immediatezza, quindi su delega del P.M.; si assume che in entrambi i casi
l’adempimento era stato condotto in una fase delle investigazioni non caratterizzata
dalla completa acquisizione dei loro risultati, che smentivano quanto affermato dalle
singole fonti.
1.3.1 Già di per sé la prospettazione in siffatti termini priva di fondamento la
doglianza articolata col primo motivo di ricorso, dal momento che l’istanza di
integrazione probatoria era finalizzata ad apportare elementi di conferma alla nuova
versione dei fatti fornita dall’imputato ed a chiarire discrasie nelle deposizioni raccolte
che non necessariamente avrebbero potuto essere ricondotte a conformità,
dipendendo dalle capacità mnemoniche e dagli atteggiamenti intenzionali dei
dichiaranti; inoltre, in ordine all’orario di allontanamento dell’imputato dal locale
erano state acquisite le sue ammissioni e le ulteriori affermazioni rese in sede di
ritrattazione, anche se finalizzate a contenere i tempi ed giustificare diversamente gli
scopi della sua assenza, nonché i dialoghi intercettati in carcere e trascritti dalle forze
di polizia che li avevano captati. La pretesa di acquisire per la terza volta informazioni

tipo di comunicazione non erano ancora state acquisite in atti notizie al momento

già ottenute, e costituenti la parte ritenuta dai giudici di merito non di maggiore
rilievo dell’impianto istruttorio, quindi non necessarie -tanto che le dichiarazioni rese
dal Bellu sono state ritenute false, quelle del Cirfera sono state dichiarate
inutilizzabili, quelle del Paonessa non avevano riguardato l’allontanamento dal bar “La
Suite” la sera del 6/7/2009 dell’Amione, ma del Cirfera-, con effetti di replica
dell’attività d’indagine preliminare condotta, esula certamente dalle finalità della
condizione apponibile alla richiesta di rito abbreviato. In altri termini, la difesa
pretendeva di ripetere adempimenti istruttori e non di conseguire quell’integrazione

all’art. 438 cod. proc. pen., comma 5.
1.3.2 Lo stesso va detto quanto all’esame dei testi Quacchia e Karumanayake, i
cui orari delle chiamate alla vittima la sera del delitto sono stati ricostruiti dai tabulati
del traffico telefonico, oltre che dalle loro incontestate dichiarazioni, mentre quelle del
Ferro, ampiamente escusso in precedenza, sarebbero state finalizzate a provocare la
confessione del suo ruolo di mandante dell’omicidio, cosa che non aveva inteso
ammettere.
1.3.3 Inoltre, in ordine all’esame del teste Lomonaco sulle circostanze apprese
“de relato”, che per la verità il ricorso non precisa, erano state già acquisite le
trascrizioni delle conversazioni intercettate in carcere con l’imputato, contenenti la
sua confessione, che comunque in ordine temporale non può qualificarsi come
avvenuta per la prima volta in quel contesto, dal momento che la stessa aveva
seguito le conformi dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, al P.M. ed al G.I.P. nelle
date del 13 e del 15 luglio 2009.
1.3.4 Quanto alla complessità ed incomprensibilità dei codici identificativi delle
chiamate pervenute all’utenza della vittima nella giornata dell’omicidio, non risponde
al vero che fosse necessario chiarirne il significato ed il valore probatorio, dal
momento che, da quanto riportato alle pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata alle
note 23 e 25, si evince che sin dalle indagini i dati ricavati dai tabulati erano stati
elaborati ed interpretati dalla polizia giudiziaria con annotazioni, poi acquisite agli atti
su accordo delle parti e così transitate dal fascicolo del P.M. a quello dibattimentale,
dati incrociati con l’acquisizione della memoria del telefono cellulare della vittima e la
verifica di eventuali messaggi, ascoltati e non ascoltati e con quella degli apparecchi
in uso all’imputato, consegnati spontaneamente ai Carabinieri.
1.3.5 Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, non può pretendersi di
rapportare la necessità dell’approfondimento istruttorio richiesto allo svolgimento, in
termini di durata, di ampiezza e di tipologie di attività svolte, dell’istruttoria
dibattimentale, che deve seguire le regole processuali sue proprie per la formazione
della prova in contraddittorio, mentre l’individuazione in termini più precisi dell’orario

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71/Lr

probatoria del materiale già acquisito che è l’unica attività prevista dalla norma di cui

della morte della vittima, alla luce del complesso di elementi eterogenei, valorizzati a
fondamento del giudizio di responsabilità -confessione dell’imputato resa in cinque
diverse occasioni processuali, inattendibilità della ritrattazione, intercettazioni,
rinvenimento dell’arma impiegata per l’uccisione e del luogo di distruzione degli abiti
indossati la sera del delitto, allontanamento dal locale, contatti telefonici con l’utenza
della vittima, movente-, non avrebbe potuto esplicare un’incidenza dirimente per
l’accoglimento della tesi difensiva.
1.4 In punto di diritto, è necessario ricordare che la richiesta di giudizio

esame di una persona che ha già reso dichiarazioni deve contenere, a pena di
improponibilità, la specificazione dei temi e delle circostanze di fatto da verificare, che
debbono differenziarsi da quelli già oggetto delle dichiarazioni rese, in quanto la
formulazione testuale della norma del quinto comma dell’art. 438 cod. proc. pen.
postula che l’attività istruttoria sia integrativa, ossia vada a completare gli elementi
informativi agli atti perché parziali ed insufficienti e non a rinnovarli nel
contraddittorio tra le parti, quasi si trattasse di una surrettizia anticipazione del
dibattimento, che sia necessaria ai fini della decisione e compatibile con la finalità di
economia processuale e di speditezza del procedimento; tali requisiti debbono essere
valutati da parte del giudice alla stregua delle acquisizioni già ottenute ed utilizzabili
in modo da poter formulare la ragionevole previsione di superamento delle lacune
investigative su temi probatori essenziali o comunque rilevanti e trascurati dagli
inquirenti, con l’esternazione delle relative ragioni, non suscettibili di diverso
apprezzamento in sede di legittimità, se congruamente motivate.
1.4.1 Per tali rilievi si sono ritenute inammissibili richieste di tale natura, dirette
alla sostituzione delle risultanze già raccolte, in specie se fornite da testi o di
collaboratori di giustizia già escussi, per conseguirne effetti favorevoli
all’accoglimento della tesi difensiva (Cass. sez. 1, n. 29669 del 25/03/2010, Cat
Berro e altri, rv. 248185; sez. 6, n. 8738 del 29/01/2009, Sarno e altri, rv. 243067;
sez. 2, n. 19645 del 08/04/2008, Petocchi, rv. 240407; sez. 2, n. 43329 del
18/10/2007, Mirizzi, rv. 238833; Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, rv.
229175).
1.5 In definitiva, deve escludersi che nella sentenza impugnata siano ravvisabili
i profili di manifesta illogicità e contraddittorietà denunciati col primo motivo di
gravame, non ricorrendo le condizioni per poter illegittimamente negato l’accesso al
rito alternativo e di conseguenza illegale la pena inflitta senza operare la diminuzione
di un terzo ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen..
2. Col secondo motivo si censura la motivazione della sentenza di appello per
carenza, illogicità e contraddittorietà in punto di conferma del giudizio di

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abbreviato condizionata ad un’integrazione probatoria, quando verta sul rinnovato

responsabilità dell’imputato, frutto di un duplice travisamento della prova. Si sostiene
da parte della difesa che la tesi accusatoria che indica nell’Amione l’esecutore
materiale dell’uccisione del Tavella, avvenuta la sera del 6 luglio 2009 tra le ore
21.00 e le 21.30 dopo che l’imputato aveva effettuato due chiamate telefoniche alla
vittima e dopo essersi portato già armato di pistola presso la di lei abitazione per
acquistare due dosi di cocaina, sarebbe inficiata da plurime obiezioni, cui la Corte di
Assise di Appello non avrebbe offerto risposta congrua e logica.
2.1 In primo luogo si contesta la vacuità e l’irragionevolezza del movente

fornitore di cocaina, causa del dissesto economico del bar “La Suite”, nonostante
nemmeno l’accusa l’avesse ritenuto credibile, fosse in sé illogico perché sarebbe stato
sufficiente cambiare fornitore per liberarsi del Tavella e perché le indagini avevano
indicato nel Ferro il referente della vittima nel traffico di stupefacenti. Ad avviso di
questa Corte, la doglianza fraintende le puntuali e ragionevoli argomentazioni
contenute nella sentenza impugnata.
2.1.1 In realtà i giudici di appello hanno rilevato che le ragioni dell’omicidio non
risiedevano nella volontà di liberarsi della persona e delle insistenze del Tavella, quasi
si trattasse di una presenza fastidiosa e nociva, quanto nel desiderio di vendetta e nel
rancore nutriti contro la sua persona per avere egli con la sua tecnica di spaccio
insinuante ed apparentemente amichevole confinato l’Amione nella condizione
penosa, mortificante ed onerosa di tossicodipendente e per avere, mediante la
percezione dei proventi delle continue forniture di cocaina, provocato il dissesto
finanziario dell’attività commerciale nella quale l’imputato aveva riposto le sue
speranze per il futuro ed impegnato anche i genitori propri e della socia Veronica
Pelja, prestatisi a fungere da garanti per il finanziamento erogato per l’avvio
dell’impresa. In tal modo, alla stregua delle dichiarazioni confessorie, reiteratamente
rese dall’imputato, delle emergenze documentali riguardanti la destinazione di ingenti
risorse finanziarie, sottratte all’attività e pervenute al Tavella ed al suo socio nel
traffico di droga, tale Pasquale Santuoso, del preteso pagamento da parte di
quest’ultimo di un debito per acquisti di droga di 8.000,00 euro, contratto
dall’Amione, il cui adempimento era stato chiesto ai suoi soci dopo il suo arresto, si è
ricostruito il movente, legato ai rapporti personali di fornitura di droga ed alla
disperazione per la grave crisi personale ed economica che ne era derivata.
2.1.2 Non era dunque il mero proposito di eliminare il fornitore ad avere ispirato
l’azione omicidiaria, agevolmente evitabile con l’abbandono di quella fonte di
approvvigionamento e la scelta di altra alternativa, quanto un intento vendicativo
contro colui che era ritenuto dall’Amione il principale responsabile del fallimento del
proprio progetto di vita e della rovina sua, dei soci e dei loro familiari.

dell’azione omicidiaria, che sarebbe stato individuato nella necessità di eliminare il

2.2 Non risponde al vero che le investigazioni avessero offerto la prova
dell’esistenza di un accordo tra il Tavella da un lato, il Ferro ed l’Amione dall’altro, per
la gestione in comune del traffico di cocaina o comunque per la rivendita a terzi da
parte dei secondi della droga previamente acquistata dal Tavella; non soltanto tale
ricostruzione dei loro rapporti è stata costantemente esclusa dall’imputato e dal
Ferro, ma nessun’altra fonte informativa l’ha avvalorata, per cui non ha alcun
fondamento la doglianza che indica la mancata iscrizione della relativa notizia di
reato, anche perché la stessa non è postulata nemmeno dall’accusa, mentre l’esborso

pagamento in favore del Tavella dei lavori edilizi realizzati nel locale “La Suite” prima
della sua apertura.
2.3 Si assume poi che la lettura, offerta dai giudici di merito, dei dati forniti dai
tabulati del traffico telefonico dell’utenza in uso al Tavella sarebbe erronea a travisata
in quanto la deposizione del teste di p.g. Bagnato non aveva affatto chiarito il
significato dei codici identificativi della tipologia di chiamate pervenute al cellulare
della vittima.
2.3.1 Sul punto la sentenza d’appello ha ritenuto che gli accertamenti condotti
sull’utenza cellulare in uso alla vittima avessero in realtà chiarito i dubbi prospettati
dalla difesa, in quanto la protrazione temporale del contatto telefonico non era
significativa in sé di una chiamata cui era stata data risposta e di effettiva
interlocuzione col destinatario, perché può anche indicare l’attivazione della
segreteria telefonica nonostante l’assenza di conversazione.
2.3.2 II ricorrente oppone che il primo profilo di travisamento consisterebbe
nell’avere i giudici di appello ritenuto il teste Bagnato un esperto del settore, mentre
era privo di tale qualificazione: è agevole replicare che il giudizio di attendibilità della
sua deposizione è frutto della considerazione dell’esperienza maturata nella
conduzione dell’attività investigativa, non già del valore probatorio intrinseco di
quanto riferito, ma in ogni caso non si rinviene nella motivazione alcuna valutazione
specifica in ordine alle qualità professionali del teste Bagnato, di cui sono state
riportate per sintesi alcune precisazioni sulle investigazioni condotte.
2.3.3 Inoltre, il ricorso pone delle obiezioni in ordine alla corrispondenza dei
codici identificativi tra la chiamata effettuata all’apparecchio della vittima alle ore
00.55 da quello in uso al Ferro e quella delle ore 7.25 di quel giorno, effettuata dal
Cirfera allo stesso numero, che, per la sua durata di 105 secondi, aveva avuto certa
risposta, circostanza che escludeva la prova che la telefonata del Ferro, protrattasi
per 37 secondi, non avesse avuto risposta e poneva in dubbio il fatto che a quell’ora il
Tavella fosse già deceduto. Va però osservato che le valutazioni espresse al riguardo
dai giudici di merito non si basano esclusivamente sui codici che contrassegnano nei

10

di 45.000 euro in pochi mesi era da addebitare, secondo lo stesso imputato, anche al

tabulati la tipologia di traffico telefonico, ma sono frutto di un complesso di
emergenze coerenti e significative, consistenti:
-nelle dichiarazioni della Quacchia circa l’ultima conversazione avuta col Tavella alle
ore 20.58, mentre le successive chiamate dalla stessa effettuate al suo numero, l’ultima alle ore 22.41, mostrata sul display del suo cellulare-, erano rimaste senza
risposta, nonostante il telefono squillasse ed il fidanzato nell’ultimo loro contatto le
avesse detto di non poter uscire da casa perché in attesa di una persona,
sottintendendo qualche acquirente di droga;

condotte direttamente sull’apparecchio cellulare del Tavella, che non registrava
messaggi già ascoltati il 6 luglio, ma soltanto due non ascoltati il precedente 4 luglio,
il che confermava che nelle tre chiamate in entrata delle ore 00.47, 00.48 e 00.55 del
7 luglio, ad omicidio già consumato, nessun messaggio vocale era stato registrato e
tanto meno ascoltato dal destinatario.
2.3.4 Quanto alla chiamata effettuata alle ore 20.58.57 dall’imputato al Tavella,
che inizialmente l’Amione aveva riferito avere ricevuto risposta con un’effettiva
interlocuzione tra i due, mentre poi in sede di ritrattazione ha indicato come priva di
comunicazione, va detto che il contatto è stato indicato in sentenza come
immediatamente successivo a quello tra la vittima e la fidanzata Quacchia delle ore
20.58.09 della durata di ventinove secondi, riferito dalla teste come l’ultimo nel quale
aveva potuto parlare col Tavella, il che avvalora le iniziali informazioni fornite
dall’imputato; non si vede, infatti, come la vittima dalle ore 20.58.38, momento finale
della chiamata della Quacchia, in un brevissimo lasso di tempo avesse potuto ricevere
un visitatore, farlo entrare ed esserne ucciso, in modo da non rispondere alla
successiva telefonata. Né sono stati dedotti argomenti plausibili e ragionevoli per
ritenere che il Tavella avesse volutamente evitato di dare risposta alle chiamate
dell’Amione, che aveva rifornito di droga con cadenza pressocchè quotidiana,
consegnatagli presso la sua abitazione e che quindi aveva tutto l’interesse a ricevere
anche quella sera.
Per contro la difesa isola i singoli risultati degli accertamenti, in specie la
testimonianza del Bagnato, -peraltro non prodotta in allegato e nemmeno citata
integralmente nel contesto dell’impugnazione, che risulta per ciò priva di
autosufficienza-, senza condurne una lettura complessiva e coordinata, che, invece, è
stata ritenuta coerente con l’impianto accusatorio con argomentazioni per nulla
illogiche o apodittiche.
2.3.5 Non risponde minimamente al vero che i giudici di merito abbiano omesso
di prendere in considerazione le chiamate partite dai due diversi cellulari
dell’imputato alle ore 00.47 e 00.48 del 7 luglio e dirette all’utenza del Tavella: al

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-nell’incrocio dei dati ricavati dai tabulati con quanto emergente dalle verifiche

contrario, si è rilevato che, sebbene non registrate nei tabulati, le chiamate lo erano
nella memoria dei telefoni, che di sua iniziativa l’Amione, prima ancora di rendere la
prima confessione con dichiarazioni spontanee ai Carabinieri il 13 luglio, aveva loro
esibito, mostrando sul display il numero chiamato, che i militari avevano così potuto
fotografare per conservarne traccia documentale. L’assenza di conversazione e di
messaggi registrati è stata desunta da quanto ricavato dalla memoria del cellulare
della vittima e risulta essere stato confermato anche dall’Amione nei colloqui in
carcere, intercettati con i familiari e riportati testualmente nella sentenza di primo

all’apparecchio del Tavella dopo l’ora in cui egli aveva collocato il commesso omicidio,
aveva replicato “io ho fatto finta di telefonargli per..perchè sia ancora vivo…si si, ci
possono essere telefonate, ma non ha mai risposto”. Nessun altro elemento di
valutazione, di natura tecnica o fattuale, ha smentito al riguardo l’assunto
accusatorio, recepito dai giudici di merito in modo fedele ed affatto travisato.
2.3.6 Infine, la difesa sostiene che, in contrasto con la finalità inizialmente
dichiarata dall’imputato, secondo il quale le tre chiamate della prima ora del 7 luglio
erano state effettuate per creare una sorta di alibi e fingere estraneità all’omicidio,
buon senso avrebbe imposto di lasciare un messaggio in segreteria telefonica:
trascura però che i due autori della chiamate, come sostenuto dall’Amione, erano
alterati da uso di cocaina ed al termine di una giornata di lavoro, per cui la loro
lucidità e capacità di determinarsi con coerenza e prudenza poteva essere stata
alterata, se non compromessa.
2.4 Risponde al vero che la sentenza impugnata non si è specificamente
addentrata nell’analisi della testimonianza resa da Massimiliano Bellu, il quale aveva
riferito di avere cenato la sera del 6 luglio 2009 all’interno del bar La Suite dopo una
telefonata fatta con la propria convivente alle ore 21.28 e che solo durante la cena
aveva notato l’Amione allontanarsi dal bar per acquistare le sigarette e farvi rientro
pochi minuti dopo, recando anche un pacchetto acquistato per suo conto e lanciatogli
a distanza. Ha però implicitamente confermato la valutazione di inattendibilità già
espressa dalla Corte di primo grado, allorchè ha valorizzato in chiave dimostrativa
tutte le altre risultanze indicative di un allontanamento avvenuto tra le ore 20.30 e le
ore 21.15 e quindi incompatibile con la narrazione del Bellu.
Si ricorda comunque che il severo giudizio di mendacio, espresso alla Corte di
Assise a carico di detto teste, è stato ben argomentato in base ad una molteplicità di
ragioni: la sua affermazione iniziale, contenuta nel verbale di s.i.t., di non avere
cenato con l’Amione quella sera, modificata in un secondo momento; la descrizione di
circostanze certamente non veritiere, quali l’allontanamento del Cirfera dal locale
dopo la Pejla, cosa esclusa dall’altro teste Paonessa, che aveva collocato tale evento

12

grado, laddove, oppostogli da costoro che vi erano telefonate pervenute

non oltre le ore 22.00, mentre la giovane aveva lasciato il posto dopo le ore 22.30 e
l’incompatibilità tra la ricostruzione, fatta dal teste, dei comportamenti tenuti
dall’Amione e l’avvenuta certa consegna da parte di questi alla Pejla dell’arma del
delitto con la richiesta di eliminarla, risultante non solo dalla confessione iniziale e
reiterata dell’imputato, ma anche da circostanze oggettive, quali le conversazioni e
comunicazioni intercettate nei confronti della donna, citate testualmente nella
sentenza di primo grado, ed il ritrovamento della pistola da parte dei Carabinieri sulla
scorta delle indicazioni di questa.

discrasie tra la descrizione delle modalità esecutive dell’omicidio, fornita dall’Amione
quando aveva confessato di essere l’autore del delitto, circa l’avvenuto sparo del
colpo letale alla nuca della vittima una volta che questa, assunta la dose di cocaina, si
era rialzata dal tavolo e si era girata verso di lui, e quanto emerso dalla consulenza
medico-legale.
2.5.1 In primo luogo la versione dei fatti riferita a Carabinieri, P.M. e G.I.P.
viene citata nel ricorso in modo inesatto, dal momento che l’Amione aveva affermato
di avere sparato al Tavella da tergo alla nuca “avvicinando la pistola alla pelle”
mentre questi si stava rialzando dopo essersi chinato sul tavolo ove aveva preparato
le dosi di cocaina da inalare, una delle quali aveva assunto ed entrambi si erano
trovati in piedi rivolti verso la porta l’ingresso. Ciò consente di affermare che
inizialmente egli non aveva parlato di un contatto diretto tra l’arma e la nuca della
vittima, mentre soltanto nei dialoghi intercettati con i familiari aveva detto che prima
dello sparo il Tavella, rialzatosi dal tavolo, si era girato verso di lui ed egli gli aveva
sparato. Delle due narrazioni soltanto la prima è esatta e trova rispondenza nei dati
emersi dalla consulenza medico-legale circa la direzione del colpo, la zona anatomica
attinta -la nuca e non la parte frontale del volto-, e la posizione retrostante dello
sparatore.
2.5.2 In ogni caso, la sentenza impugnata non ha trascurato questo dato, ma
ha fondatamente rilevato che la divergenza era imputabile ad una difficoltà
mnemonica dell’imputato, avvalorata dalla consulenza psichiatrica, espletata nel
giudizio di appello; a ciò va aggiunto che i rilievi autoptici, dovendo esprimere un
giudizio tecnico sulla distanza dalla quale il colpo di pistola era stato esploso, per
quanto riportato nella stessa sentenza di appello, hanno escluso un contatto diretto
tra cute ed arma, ma hanno anche indicato l’impossibilità di definire con certezza tale
distanza per l’effetto mascherante della presenza dei capelli e la natura delle polveri
componenti la cartuccia esplosa, il che esclude anche la possibilità di stimare con
precisione tale distanza.

2.5 La difesa mostra dissente anche dalla valutazione di irrilevanza delle

2.5.3 Circa l’incapacità dell’imputato di riferire come avesse caricato l’arma
prima di utilizzarla, i giudici di appello hanno osservato come fosse ben possibile che
egli avesse prelevato la pistola già carica dal luogo ove era stata detenuta all’interno
del locale da lui cogestito con i soci e quindi non avesse avuto l’esigenza di inserire
proiettili e disinserire la sicura, operazioni richiedenti effettivamente una certa
esperienza manuale, rilievo che ha trovato logico riscontro nel fatto che la pistola era
stata condotta nell’esercizio dal Ferro a scopo difensivo dopo aver subito un
accoltellamento mentre era al lavoro ad opera di tale La Spisa e vari furti nel locale e

psicologica o del trauma per il delitto commesso che è stata giustificata l’omessa
descrizione del caricamento dell’arma, quanto per la disponibilità dell’arma già pronta
all’uso.
2.5.4 Anche in merito all’avvenuta asportazione dal luogo dell’omicidio del
bossolo caduto al suolo dopo il colpo di pistola, non è vero che l’Amione non abbia
saputo spiegare il gesto, in quanto nell’interrogatorio del 13 luglio 2009 reso al P.M.
aveva affermato di averlo recuperato perchè “non volevo lasciarlo lì, pensavo che
magari se qualcuno l’avesse trovato avrebbe potuto arrivare a me”. Era stata dunque
la logica preoccupazione di poter lasciare tracce del reato, che consentissero in
qualche modo di ricollegarlo, tramite l’arma impiegata, alla sua persona ad avere
ispirato quel comportamento, che, secondo i giudici di appello, non aveva nulla di
insensato, ma aveva costituito una cautela logica e riferibile ad un soggetto
competente, che avrebbe potuto effettivamente essere individuato tramite la
corrispondenza tra le impronte digitali presenti sulle tracce di percussione sul fondello
del bossolo e quelle sulla pistola, una volta che questa fosse stata rinvenuta. Del
resto, la sentenza impugnata ha ben evidenziato come l’Amione avesse descritto
un’attenta manovra diretta a far sparire tutto ciò che avrebbe potuto incriminarlo,
ossia gli abiti utilizzati nel delitto, bruciati in uno spazio adiacente al bar, rinvenuto
dai Carabinieri su sua indicazione, la pistola consegnata col bossolo alla Pejla, poi
recuperata in base alle informazioni da questa fornite e le telefonate depistanti
effettuate qualche ora dopo l’omicidio con due utenze cellulari diverse, tutte condotte
che non avrebbero alcun significato se egli, come sostenuto dalla difesa, si fosse
limitato ad assistere all’omicidio senza avervi preso in alcun modo parte.
2.5.5 Il ricorrente assume che sarebbe oggetto di travisamento anche il
contenuto dell’interrogatorio del 19/11/2009 per avere ritenuto la Corte di Assise di
Appello che l’Amione avesse riconosciuto la pistola sequestrata come l’arma utilizzata
per uccidere il Tavella: in realtà la lettura della trascrizione del relativo verbale
conferma che egli, dopo avere a lungo osservato le fotografie della pistola l’aveva con
certezza riconosciuta anche se si era rifiutato di rispondere alle domande su come

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nelle abitazioni dei soci; pertanto, non è con la considerazione dell’immaturità

l’avesse caricata e maneggiata. Non trova rispondenza nelle risultanze probatorie
nemmeno l’assunto, secondo il quale la pistola non era efficiente perché munita di
caricatore non originale: al riguardo la sentenza in verifica richiama quanto accertato
dalla perizia balistica ed il constatato funzionamento dell’arma alle prove di sparo,
nonostante la vetustà ed il danneggiamento subito per essere stata immersa in acqua
per tre mesi, nonché la compatibilità con il proiettile prelevato dal corpo del soggetto
passivo del reato.
2.5.5.1 II ricorso sostiene non essere concludente quanto emerso dalle

ella aveva ricevuto la sera dell’omicidio dall’Amione la pistola che aveva gettato nel
lago di Candia e che tre mesi dopo il 16/10/2009 aveva fatto rinvenire ai Carabinieri
nell’ambito della collaborazione prestata con le forze dell’ordine, dal momento che
consegnare l’arma del delitto ad altri non significava necessariamente avere sparato
in prima persona, né che quell’arma fosse stata impiegata per consumare l’omicidio.
Inoltre, si aveva motivo di dubitare della buona fede della donna, sia perché indagata
a sua volta, tanto da essere stata esaminata quale imputato di reato connesso, sia
perché convivente del Ferro, che nelle captazioni ambientali l’Amione aveva indicato
quale mandante dell’uccisione del Tavella.
2.5.5.2 Osserva questa Corte che, al di là del riconoscimento operato
dall’imputato quando era ancora confesso, che l’arma fosse quella già procurata dal
Ferro e custodita nella cassa del bar “La Suite” a scopo difensivo e che l’arma fosse
stata consegnata alla Pejla dall’Amione la sera del 6 luglio 2009 emerge con certezza
dai dialoghi intercettati tra la donna e l’amico Paolo, riportati nella trascrizione nel
corpo della motivazione della sentenza di primo grado, ritenuti attendibili e genuini
perché captati all’insaputa dei due conversanti, nei quali ella aveva affermato di
avere ricevuto l’arma per eliminarla allo scopo di fare un favore all’amico Patrick e
per aver pensato che fosse disperato per fare un gesto del genere, quindi di
particolare gravità, corrispondente all’omicidio, rivelato ai soci dopo l’esecuzione,
secondo quanto inizialmente affermato dall’Amione; ha quindi aggiunto di non essere
stata al corrente di cosa esattamente fosse successo prima di ricevere la pistola.
Oltre a ciò, è indubbio e non può essere negato nemmeno dalla difesa, che l’arma già
riposta nel cassetto della cassa del bar dopo l’omicidio era scomparsa, il che
conferma anche sotto tale profilo trattarsi di quella prelevata ed usata dall’Amione e
poi fatta sparire nel tentativo di eliminare le tracce del reato.
2.5.5.3 I dubbi circa l’attendibilità della Pejla, sollevati dalla difesa, hanno
natura meramente congetturale, dal momento che il rapporto sentimentale col Ferro
si era già interrotto quando ella aveva condotto i militari al rinvenimento della pistola,
come deducibile dal tenore dei messaggi telefonici che i due si erano scambiati

conversazioni intercettate nei confronti di Veronica Pejla, ossia il fatto innegabile che

proprio lo stesso giorno 16/10/2009 e che anche nelle conversazioni con l’amico
Paolo ella aveva mostrato di voler pensare soltanto alla propria posizione personale e
non a quella del Ferro.
2.5.5.4 E’ stato oggetto di considerazione da parte del giudici di merito anche la
possibilità che l’Amione fosse stato l’esecutore materiale di azione omicidiaria, voluta
ed organizzata da altri, che gli avevano anche fornito l’arma già pronta all’uso o che
comunque l’avevano caricata, come anche l’organo dell’accusa aveva ritenuto almeno
nel corso delle indagini preliminari: hanno rilevato comunque che l’essersi reso

alcun profilo la sua responsabilità. Ed anche l’ipotesi che l’arma fosse stata
consegnata alla Pejla dal Ferro è stata esclusa in virtù dei dialoghi intercettati e del
fatto che tutti gli altri indizi indicavano l’Amione, non il Ferro, come il soggetto che si
era allontanato dal bar in orario corrispondente a quello della morte del Tavella, che
lo aveva contattato al telefono due volte quella sera prima di recarsi da lui e che per
primo aveva chiamato la sua utenza in piena notte per dimostrare di non sapere che
non poteva più rispondere perché già deceduto.
3. In conclusione, deve rilevarsi come la conferma del giudizio di colpevolezza,
espresso nella sentenza gravata, resista a tutte le censure che le sono state mosse
quando ha preso in esame tutto il materiale indiziario raccolto e ha disatteso in
quanto irragionevoli e contrastanti con le emergenze probatorie, analizzate in modo
logico ed esaustivo, tutti i dubbi sollevati con l’atto di appello.
3.1 In particolare ha ritenuto del tutto logica, coerente e frutto di autentica
esperienza personale e diretta la confessione resa dal ricorrente, sia perché quasi
immediata rispetto al fatto di reato, reiterata cinque volte in sede di indagini
preliminari davanti alla polizia giudiziaria, al P.M. ed al G.I.P., quindi insistentemente
ribadita anche ai familiari nei dialoghi in carcere, sebbene costoro con altrettanta
tenacia avessero cercato di indurlo ad ammettere, almeno con loro, di non essere
l’autore dell’omicidio e di avere confessato per coprire il vero responsabile. E’ stata
rilevata al riguardo la completa, dettagliata e costante descrizione dell’azione in tutte
le sue fasi e nei particolari essenziali riguardanti il tempo, il luogo, il modo
dell’esecuzione, corrispondenti a quanto rilevato in seguito con le indagini,
descrizione compatibile soltanto con una conoscenza visiva degli eventi, non
mutuabile dal racconto altrui; per contro, è stata ritenuta non credibile la
ritrattazione, intervenuta soltanto all’udienza preliminare ed inficiata da palese
contraddizione quando il suo autore aveva cercato di spiegare come avesse appreso i
particolari riferiti nel corso dei precedenti interrogatori. In un primo momento egli
aveva sostenuto di averli soltanto immaginati, basandosi sui comportamenti
usualmente tenuti dal Tavella e sull’abbigliamento indossato nei giorni precedenti la

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disponibile a realizzare il delitto su mandato altrui non escludeva, né attenuava sotto

morte, conosciuti per averne frequentato la casa quando vi si era recato ad
acquistare cocaina, il che risulta francamente privo di fondamento se si considera che
il corpo della vittima era stato rinvenuto a torso nudo con indosso soltanto un paio di
sandali e dei pantaloncini di tessuto jeans. In seguito, aveva affermato di avere
appreso quanto riferito da Antonio Cirfera, il quale aveva visto il Tavella cadavere già
la sera del 6 luglio e che si era ripresentato al bar “La Suite” a comunicare la notizia:
è stato osservato al riguardo che il Cirfera aveva soltanto riferito che il suo datore di
lavoro era deceduto per infarto, non che fosse stato colpito alla nuca da un colpo di

nel pomeriggio del 7 luglio si erano recati a casa della vittima per prelevare il cane,
ormai abbandonato a se stesso, avevano potuto osservare l’interno dell’abitazione
soltanto dalle finestre e una scena del crimine, già modificata dall’intervento dei
Carabinieri che avevano effettuato le prime indagini, asportando del materiale.
3.2 Inoltre, sono state evidenziate le numerose lacune ed incongruenze logiche
nel racconto dell’Amione, reso quando aveva ritrattato: non aveva saputo spiegare in
modo convincente e ragionevole la ragione dell’autocalunnia, dal momento che lo
stato di paura connesso agli eventi accaduti in precedenza -i furti reiterati,
l’accoltellamento del Ferro, la relazione di questi con la propria madre, i debiti non
onorati ed ormai non onorabili- non si vede come possa essere sul piano logico
all’origine dell’ammissione di un fatto così grave come un omicidio, se non
commesso. Né del resto egli ha mai indicato di essere stato minacciato dal vero
autore del delitto o costretto ad assumersi responsabilità altrui, posto che quando ha
assunto il diverso atteggiamento processuale non ha inteso accusare alcuno,
nemmeno il Ferro, di essere l’esecutore o il mandante dell’uccisione. Pertanto, anche
l’abile tentativo della sua difesa di presentarlo come uno spettatore passivo e non
concorrente nel delitto si risolve in una costruzione teorica, che non ha un preciso
aggancio dimostrativo nell’ultima versione dei fatti resa dallo stesso imputato.
Rimasti privi di qualsiasi spiegazione razionale sono anche i comportamenti
tenuti dall’imputato la sera del 6 luglio: se realmente estraneo all’omicidio, non si
comprende per quale ragione abbia cercato di eliminarne ogni traccia, bruciando gli
abiti, facendo sparire la pistola che non si sa da chi avesse ricevuto, effettuando le
telefonate delle ore 00.47 e 00.48, che sostiene di non ricordare, mentre in
precedenza ne aveva offerto una spiegazione coerente e più che verosimile, che non
può essere liquidata come frutto di fantasie allucinate di un tossicodipendente sotto
l’effetto della cocaina.
Per considerazioni svolte, il ricorso, privo di fondamento, va respinto con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla
rifusione in favore delle parti civili delle spese sostenute nel presente grado, liquidate

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pistola cal. 6 mentre si era chinato ad inalare cocaina e che quando questi e l’Amione

come in dispositivo, con la precisazione che, per le spese sostenute da Carolina
Vavalà, già ammessa al patrocinio a spese dello Stato, va disposto il pagamento delle
stesse a favore dell’Erario.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate in euro 2.000,00

e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.

a favore dei Tavella ed in euro 500,00 a favore dello Stato, oltre spese generali, i.v.a.

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