Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5088 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5088 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Alijov Mefail, nato a Jabolciste (Macedonia) il 25/05/1969

avverso la sentenza del 04/07/2013 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’estradando l’avv. Marco Valerio Mazzatosta, che ha concluso
chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma dichiarava
l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione
presentata dalla Repubblica di Macedonia nei confronti del cittadino macedone
Mefail Alijov, in relazione alla sentenza definitiva di condanna, pronunciata il

Data Udienza: 23/01/2014

12/11/2004, con la quale il tribunale di Veles aveva riconosciuto la sua penale
responsabilità per il reato di tentato omicidio commesso in Veles il 25/01/1999
in danno di Ismail Useinovi, per il quale gli era stata irrogata la pena di anni
cinque di reclusione.
Rilevava la Corte di appello come sussistessero le condizioni previste tanto
dalla Convenzione europea di estradizione di Parigi del 1957, ratificata e resa
esecutiva in Italia dalla legge 30 gennaio 1963 n. 300 (pure vigente nella
Repubblica di Macedonia), quanto dal nostro codice di rito, per accogliere quella

come il reato per il quale l’Alijov era stato condannato rientrasse nel novero di
quelli per i quali è consentita l’estradizione, in quanto corrispondente alle
fattispecie delittuose prevista dagli artt. 56 e 575 cod. pen.; ed ancora come non
vi fossero ragioni per ritenere che l’estradando fosse perseguitato per motivi di
natura politica o che sarebbe stato sottoposto nel suo Paese a pene o trattamenti
tali da configurare una violazione dei diritti fondamentali della persona, avendo
pure lo Stato richiedente assicurato che, su richiesta dell’interessato, il
procedimento sarebbe stato ripetuto in quanto il precedente si era concluso con
una sentenza di condanna emessa in absentia.

2.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’estradando, con atto

sottoscritto personalmente, il quale ha dedotto i seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 3 CEDU, per avere la Corte di
appello omesso di considerare che l’episodio delittuoso per il quale l’Alijov era
stato giudicato colpevole era maturato nell’ambito del pluriennale contrasto
etnico tra il gruppo macedone e quello di minoranza albanese, cui appartiene il
prevenuto, che pure vive nel territorio dello Stato macedone, e che il trattamento
previsto per i detenuti nelle carceri di quel paese è stato giudicato, da varie
organizzazioni internazionali, come inumano o degradante, tanto più nei riguardi
di un soggetto che potrebbe essere sottoposto a forme di discriminazione o
persecuzione etnica.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., per
essere stato l’Alijov arrestato in Italia il 15/01/2013 sulla base di una richiesta di
estradizione che, tradotta nella lingua italiana, risulterebbe essere pervenuta in
Italia solo il 29/03/2013, senza alcuna certezza della effettiva data di ricezione,
indicata come riferibile al precedente 18/02/2013, con conseguente scadenza del
termine di efficacia della disposta misura cautelare.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

2

richiesta di estradizione passiva. In particolare, la Corte territoriale osservava

3.1. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, in tema di estradizione per l’estero, il divieto di pronuncia
favorevole, ove si abbia motivo di ritenere che l’estradando verrà sottoposto ad
atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti
fondamentali della persona, anche ai sensi dell’art. 3 CEDU, opera
esclusivamente nelle ipotesi in cui ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di

orientamenti istituzionali, non rilevando quelle situazioni rispetto alle quali sia
comunque possibile una tutela legale (così, ex plurimis, Sez. 6, n. 10905 del
06/03/2013, Bishara Meged , Rv. 254768; Sez. 2, n. 26588 del 01/04/2011,
Nedzelskyy, Rv. 250884).
Di tale regula iuris la Corte territoriale ha fatto buon governo rilevando, con
una motivazione coerente e priva di lacune logiche, come il ricorrente avesse
solo dimostrato l’esistenza in Macedonia di taluni specifici episodi di violazione
del diritto dei detenuti ad un trattamento umano e non degradante all’interno di
alcune specifiche carceri, senza fornire alcun elemento di prova circa la
sussistenza in quel Paese di una sistematica e normativamente accettata forma
di violazione dei diritti umani, anche sotto forma di persecuzione etnica: ciò pure
tenuto conto che i contrasti tra i ceppi macedoni e albanesi in quello Stato
risalgano oramai al periodo anteriore agli ultimi anni Novanta dello scorso secolo.
Resta ovviamente fermo il potere discrezionale del Ministero della giustizia di
riverificare tale circostanze al momento dell’adozione del decreto finale di
estradizione.

3.2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Pure a voler prescindere dal carattere molto confuso degli argomenti valorizzati
dal ricorrente per sostenere l’impugnazione, è sufficiente in questa sede
osservare come sia pacifico che, in tema di estradizione per l’estero, il mancato
arrivo della documentazione allegata alla domanda di estradizione entro

il

termine di quaranta giorni dall’applicazione della misura cautelare, comporta la
revoca del provvedimento coercitivo, senza dispiegare alcun effetto sull’ulteriore
corso della procedura estradizionale (così, tra le diverse, Sez. 6, n. 20962 del
13/05/2009, P.G. in proc. Krushelnytska, Rv. 244104). Di talché, quand’anche si
volesse ritenere che la richiesta di estradizione dell’Alijov sia arrivata in Italia in
ritardo, tanto avrebbe facoltizzato la difesa a chiedere eventualmente la
scarcerazione dell’interessato, senza incidere sul potere decisionale della Corte di
appello in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’accoglimento di quella
3

fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee a

domanda e, tanto meno, sulla validità della sentenza oggetto del ricorso oggi in
esame.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle
ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.

cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 300,00 in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc.
pen.
Così deciso il 23/01/2014

Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att.

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