Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5086 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5086 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

Data Udienza: 23/01/2014

SENTENZA

sul ricorso presentato dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina
nel procedimento nei confronti di
Schirò Chiara, nata a Messina il 07/11/1968

Nonché sul ricorso presentato dalla stessa Schirò Chiara,

avverso l’ordinanza del 08/08/2013 del Tribunale di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso del P.M. per
carenza di interesse e di quello della indagata per rinuncia;
udito per l’indagata l’avv. Antonibo Favazzo, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso del P.M. ed associandosi alla richiesta del P.G. in
relazione al ricorso della propria assistita.

RITENUTO IN FATTO

(-a

E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Messina, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 09/07/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di Chiara Schirò
in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen. (capo 1) dell’imputazione), 81,
110, 314 cod. pen. e 61 n. 2, 81 e 640

bis cod. pen. (capi 29)-34)

Rilevava il Tribunale come gli elementi acquisiti durante le indagini avessero
dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagata,
anche se taluni dei fatti oggetto di addebito dovessero essere qualificati in
termini di truffa aggravata e non anche di peculato, in quanto l’erogazione di
fondi regionali (per l’organizzazione di corsi di formazione professionale) in
misura maggiorata era avvenuta, anche per le quote di acconto, sulla base di
quanto chiesto e rappresentato fraudolentemente dalle associazioni ARAM e
Lumen.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Messina il quale, sottolineata l’esistenza del proprio
interesse ad impugnare, ha denunciato la violazione di legge, in relazione agli
artt. 640, 640 bis e 314 cod. pen., ed il vizio di motivazione, per avere il
Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti oggetto di accertamento
giudiziale, posto che per le somme ricevute dalle due suddette associazioni a
titolo di primo e di secondo acconto erano state liquidate senza alcuna verifica da
parte degli uffici regionali, chiamati ad effettuare un controllo solo sulla
documentazione giustificativa delle spese sostenute, prodotta in sede di
rendicontazione con la richiesta finale, talché le somme del finanziamento
pubblico ricevute (anche per il concorso dall’indagata), oggetto di
appropriazione, erano già entrate nel possesso o nella disponibilità dell’incaricato
di pubblico servizio, talché la successiva condotta di produzione di
documentazione fraudolenta non era stata finalizzata a permettere
quell’appropriazione ma a giustificarla formalmente ex post.

3. Contro la stessa ordinanza ha presentato ricorso anche la Schirò, con atto
sottoscritto dai suoi difensori avv. Alberto Gullino e avv. Antonino Favazzo, la
quale ha dedotto i seguenti quattro motivi.

2

dell’imputazione).

3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 416 cod. pen. e 273 cod. proc.
pen., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicità, in punto di sussistenza di
un sodalizio criminale e di partecipazione allo stesso della ricorrente.
3.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 640 bis cod. pen., 292 e 273
cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicità, per avere il
Tribunale confermato il provvedimento genetico della misura senza rispondere
alle specifiche censure mosse dalla difesa in ordine alla configurabilità dei reati di
truffa aggravata a carico della Schirò.

e vizio di motivazione, per mancanza e illogicità, per avere il Collegio del riesame
errato nella qualificazione giuridica dei fatti oggetto di addebito.
3.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., e
vizio di motivazione, per mancanza o illogicità, per avere il Tribunale
ingiustificatamente sostenuto l’esistenza del pericolo di recidiva, senza spiegare
la ragione per la quale l’indagata non avrebbe potuto beneficiare
dell’applicazione di una misura cautelare meno rigorosa, anche eventualmente.

4. Ritiene la Corte che entrambi i ricorsi siano inammissibili.

4.1. In astratto vi sarebbe stato l’interesse del P.M. ad impugnare in quanto la
questione della corretta qualificazione giuridica dei fatti accertati poteva avere,
nel caso di specie, rilevanti effetti pratici, incidendo sul computo del termine di
durata della custodia cautelare (in senso conforme Sez. 6, n. 48764 del
06/12/2011, Pmt in proc. Leone, Rv. 251569, in relazione ad una fattispecie
nella quale era stato impugnato un provvedimento con cui era stato l’originario
reato di concussione era stato ‘derubricato’ in quello di violenza privata; e, con
riferimento ad una ipotesi nella quale la questione concerneva la sussistenza di
una circostanza aggravante ad effetto speciale, dal cui riconoscimento sarebbe
potuta conseguire una più lunga durata dei termini di custodia, Sez. 1, n. 25949
del 27/05/2008, P.M. in proc. Minotti e altri, Rv. 240464; contra la sola Sez. 6,
n. 18091 del 08/03/2011, PM in proc. Bellavia, Rv. 250270).
Tuttavia, tale interesse non è più attuale in quanto l’indagata è stata rimessa
in libertà, talchè è venuto meno il bisogno di verificare la correttezza della
qualificazione giuridica dei fatti ai fini della individuazione del termine di durata
della custodia cautelare.

4.2. Anche il ricorso della Schirò è inammissibile, avendo la stessa rinunciato
all’impugnazione per sopravvenuta revoca della misura cautelare a suo applicata.

3

(g

3.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 640 bis, 316 ter e 323 cod. pen.,

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente privata al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento ed a quello di una somma in
favore della cassa delle ammende, tenuto conto che la rinuncia all’impugnazione
è ascrivibile ad una sopravvenuta carenza di interesse dovuta a circostanze non
imputabili alla prevenuta.

Dichiara inammissibili i ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 23/01/2014

P.Q.M.

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