Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5085 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5085 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Fazio Anna, nata a Catania il 06/05/1978
2. Palermo Nicoletta, nata a Catania il 14/11/1978

avverso il decreto del 26/03/2013 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Antonio Gialanella, che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il decreto sopra indicato la Corte di appello di Catania confermava il
provvedimento del 05/11/2010 con il quale il Tribunale della stessa città aveva
disposto, ai sensi dell’art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, la confisca di una
serie di beni formalmente apparentemente intestati a Nicoletta Palermo ed a
Anna Fazio, rispettivamente moglie e figlia di Vincenzo Fazio, già indiziato di

Data Udienza: 23/01/2014

appartenenza alla locale associazione di stampo mafioso, deceduto il
17/12/2007, in quanto beni nella disponibilità del proposto in parte diretta e in
parte indiretta, per il tramite delle due congiunte, poi entrambe successori a
titolo universale dello stesso Fazio.
Rilevava la Corte di appello come quei beni (costituiti da una ditta individuale,
dalle quote pari ad un quarto del capitale sociale di una società in accomandita
semplice, da un appartamento e da una autovettura) fossero stati acquistati dal
Fazio nell’intervallo tra il 2004 ed il 2007, in stretta concomitanza con il periodo

citato sodalizio mafioso (per la cui appartenenza, dal 1991 al 2001, aveva già
riportato due condanne passate in giudicato); e come il valore di tali beni, dei
quali le terze interessate non avevano potuto giustificare la legittima
provenienza, fosse assolutamente sproporzionato rispetto ai redditi leciti
dichiarati dai coniugi e dalla figlia nel periodo di riferimento, nonché alle attività
economiche da loro svolte.

2. Avverso tale decreto hanno presentato ricorso Nicoletta Palermo e Anna
Fazio, con atto sottoscritto dal loro difensore avv. Rosario Arena, le quali hanno
dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 2 bis della citata legge n. 575
del 1965, ed il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di
considerare che i beni oggetto del provvedimento ablatorio erano stati acquisiti
con i proventi dell’attività economica lecitamente svolta dalla Palermo, rispetto
alla quale le dichiarazioni dei redditi erano state da lei “artatamente redatte per
contenere al massimo la pressione fiscale”: proventi con i quali la donna aveva
pure fatto fronte al pagamento dei ratei dei mutui contratti per l’acquisto
dell’anzidetto appartamento e dell’autovettura.

3. Con requisitoria scritta del 01/08/2013 il Sostituto Procuratore generale ha
chiesto dichiararsi la inammissibilità dei ricorsi.

4. Ritiene la Corte che i ricorsi siano inammissibili.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, in tema di procedimento di prevenzione, il difensore del terzo
interessato, non munito di procura speciale, non è legittimato a ricorrere per
cassazione avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della
confisca; né a tal fine può assumere rilievo la distinzione tra i casi in cui il terzo
intervenga volontariamente, e quelli in cui sia intervenuto “iussu iudicis”, poiché
in entrambi i casi quei soggetti risultano portatori, nel procedimento di

2

nel quale il prevenuto era stato accusato di aver continuato a fare parte dei

prevenzione, di un mero interesse di natura civilistica (così, tra le tante, Sez. 2,
n. 27037 del 27/03/2012, Bini, Rv. 253404).
Alla luce di tale regula iuris, va rilevata la inammissibilità dei ricorsi sottoscritti
e presentati dal difensore della Palermo e della Fazio, senza che risulti che lo
stesso fosse stato nominato procuratore speciale delle due prevenute.
All’adozione di tale decisione non osta la circostanza che, nel caso di specie,
l’istanza di applicazione della confisca fosse stata formulata dal P.M., a mente
dell’art. 2 ter, comma 11, legge n. 575 del 1965 (aggiunto dall’art. 10, comma 1,

direttamente nei confronti dei successori a titolo universale della persona oramai
deceduta, nei cui riguardi sarebbe stata applicabile la misura di prevenzione
patrimoniale. La Corte costituzionale, nel dichiarare la infondatezza questione di
legittimità di quella norma, per una prospettata violazione degli artt. 24, comma
2, e 111 Cost., ha chiarito che “nel procedimento delineato dalla disposizione
censurata, parti sono i «successori a titolo universale o particolare» del
«soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta» e non
quest’ultimo …(sicchè)… sono dunque del tutto prive di fondamento le
argomentazioni volte a riferire le ipotizzate violazioni del diritto di difesa e del
principio del contraddittorio al soggetto deceduto e non ai suoi successori” (C.
cost. n. 21 del 2012). E, tuttavia, resta ferma la previsione contenuta nell’art. 4,
comma 11, legge n. 1423 del 1956, che riconosce solo al P.M. ed all’interessato il
diritto a presentare il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di
appello: con la conseguenza che, non potendo trovare applicazione per i terzi
intestatari dei beni da sottoporre alla confisca la disposizione dettata dall’art.
571, comma 3, cod. proc. pen. per l’imputato (applicabile analogicamente anche
al proposto di una misura di prevenzione personale, giusta la previsione
dell’ultimo comma del menzionato art. 4), resta ferma per i suddetti terzi
l’operatività analogica della disposizione fissata dall’art. 100 cod. proc. pen. per
la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria, secondo cui essi “stanno in giudizio col ministero di un difensore
munito di procura speciale”, al pari di quanto stabilito, per le parti nel processo
civile, dall’art. 83 cod. proc. civ.

5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna delle ricorrenti al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento e ciascuna al pagamento in
favore della cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare
nell’importo indicato nel dispositivo che segue.

3

lett. d), n. 4, d.l. n. 92 del 2008, convertito nella legge n. 125 del 2008),

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuna della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 23/01/2014

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