Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50811 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50811 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso straordinario di
MONTI Francesco, nato a Crotone il 05/10/1985,
avverso la sentenza del 20/02/2015 della Corte di Cassazione;
esaminati gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita in camera di consiglio la relazione svolta dal consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Luigi Orsi, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Marcello Manna (in sostituzione dell’avv. Sergio
Rotundo), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza del 7.6.2011 il Tribunale di Crotone ha condannato Francesco
Monti alla pena di quattordici ani di reclusione, ritenendolo colpevole dei reati, unificati
da continuazione, di partecipazione all’associazione mafiosa (capo 1A) facente capo a
Luca Megna, detta anche cosca dei Papaniciari (da Papanice, frazione di Crotone, sede
logistica dell’aggregato criminale), di associazione per delinquere dedita al traffico di
stupefacenti (capo 79), di detenzione illegale di sostanza stupefacente del tipo
marijuana (capo 79CZ), di ricettazione di veicoli provenienti da furto (capo 80).
Giudicando sull’appello dell’imputato, la Corte di Appello di Catanzaro con
sentenza del 3.4.2012, parzialmente accogliendone il gravame, ha ridotto la pena
inflitta al Monti ad undici anni di reclusione.

Data Udienza: 26/11/2015

Adita dal ricorso dell’imputato, questa Corte di Cassazione, con sentenza resa il
30.9.2013 (Sezione 6, n. 43963/2013) ha annullato con rinvio la sentenza di appello per
carenza di motivazione (omessa o insufficiente risposta alle censure dell’appellante in
ordine alla attendibilità dei collaboratori di giustizia coinvolgenti la sua posizione e in
ordine agli ulteriori elementi indiziari valorizzati dalla sentenza di primo grado).
2. All’esito del giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 627 c.p.p. la Corte di Appello di
Catanzaro con decisione del 12.3.2014 ha prosciolto il Monti dall’imputazione di

416-bis c.p. e 74 d.P.R. 309/90) e per il reato di detenzione illecita di stupefacente del
tipo marijuana. Per l’effetto la Corte distrettuale ha rideterminato la pena inflitta al
prevenuto per tali reati, ferma restando la continuazione tra gli stessi, in misura di dieci
anni e sei mesi di reclusione.
3. Nuovamente adita con due ricorsi dei difensori del Monti (sostenuti da
successiva memoria difensiva) avverso la sentenza di rinvio, questa Corte di legittimità
con decisione del 20.2.2015 (Sezione 2, n. 14078/2015) ha rigettato l’impugnazione.
A tale conclusione reiettiva la Corte è pervenuta, muovendo dalla premessa
ermeneutica per cui l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi ai principi di diritto
dettati dalla Cassazione e ad ogni questione di diritto da essa decisa attiene alla
quaestio iurís o alla metodologia prescritta dalla legge per la ricostruzione del fatto, ma

mai alla quaestio facti in sé, atteso che a seguito di annullamento per vizio di
motivazione il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli
stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Cassazione, ma resta libero di pervenire,
in base ad argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero
integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della
pronuncia annullata, poiché conserva gli stessi poteri che gli competevano in origine
quale giudice di merito relativamente all’individuazione e valutazione dei dati
processuali. Sicché il giudice del rinvio è investito di pieni poteri di cognizione e può
(salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno) rivisitare il fatto con pieno
apprezzamento e autonomia di giudizio e giungere, in esito alla compiuta rivisitazione, a
soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le
conclusioni, purché motivi il proprio convincimento con argomenti diversi da quelli
ritenuti illogici o carenti in sede di legittimità (“eventuali elementi di fatto e valutazioni
contenute nella pronuncia di annullamento non vincolano, quindi, il giudice del rinvio,
rilevando esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio
o dei vizi segnalati e non come dati che si impongono per la decisione demandatagli”).

Tanto precisato, la decisione della Sezione 2 di questa Corte ha osservato che:

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ricettazione, confermandone il giudizio di responsabilità per i due reati associativi (artt.

a) la Corte territoriale ha svolto una nuova valutazione delle prove acquisite,
pervenendo alla conferma del giudizio di responsabilità del Tribunale di Crotone in
ordine ai reati di cui ai capi 1A), 79) e 79CZ), ascritti al Monti, di guisa che non è
configurabile nessuna violazione dell’art. 627 c.p.p. (come sostenuto nei due ricorsi);
b) la Corte di rinvio ha fondato la confermata responsabilità del Monti per i
predetti tre reati sulle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Vincenzo Marino e
Luigi Bonaventura, da assimilarsi a vere e proprie chiamate in correità per gli effetti di
cui all’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., valutate con adeguata motivazione intrinsecamente

attendibili e sorrette da affidabili elementi di riscontro “individualizzanti” asseverativi dei
dati storici oggetto delle propalazioni dei collaboratori;
c) applicando correttamente nel caso di specie le regole metodologiche fissate
dalla giurisprudenza di legittimità in punto di valutazione delle dichiarazioni rese da
persone imputate in procedimento connesso (“non sussistono i denunziati vizi della
sentenza, i quali in realtà -anche se presentati come violazioni di legge- attengono alla
logicità della motivazione in fatto, ossia alla logicità della giustificazione della
ricostruzione del fatto posto a base della decisione”), i giudici di merito hanno chiarito
con ricchezza di argomenti le ragioni della loro decisione; argomenti, tutti, qualificabili
come non manifestamente illogici;
d) non è ravvisabile alcuna contraddizione tra l’assoluzione del Monti dal reato di
ricettazione (capo 80) e la condanna per gli altri reati; l’affermazione di responsabilità
per il reato di cui al capo 80) nel giudizio di primo grado era stata fondata soltanto su
prove poi dichiarate inutilizzabili nel giudizio di rinvio, cosa che non implica in via logica
l’assoluzione del Monti anche dagli altri reati, per i quali i giudici di rinvio hanno tratto la
prova della responsabilità del Monti da autonomi elementi prova (le convergenti
dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia);
e) infondata è anche la censura con la quale si è lamentata l’affermazione di
responsabilità del Monti per il reato di cui capo 79CZ) (art. 73 L.S.): se è vero infatti che
la inutilizzabilità delle prove ritenuta dal giudice di rinvio ha reso non più provata la
condotta attribuita al Monti di avere detenuto sostanza stupefacente nel magazzino di
Papanice, legittimamente tuttavia la Corte di rinvio ha ritenuto provate -in base alle
convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia- le condotte di stoccaggio,
occultamento e cessione a terzi, per conto del sodalizio mafioso, ingenti quantitativi di
marijuana, contestate in seno al medesimo capo di imputazione 79CZ).
4. Con tempestivo atto d’impugnazione il difensore di Francesco Monti, munito di
procura speciale del condannato, ha proposto ricorso straordinario per errore di fatto
avverso l’illustrata (seconda) decisione di legittimità.
Adduce il ricorrente che la Corte di Cassazione ha omesso ogni valutazione su
uno specifico motivo di ricorso (formulato con entrambi gli atti d’impugnazione) avverso

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i

,

la sentenza di appello del 12.3.2014, integrato dalla censura relativa alla ritenuta
sussistenza, sia per il reato associativo ex art. 74 L.S. (capo 79), sia per il reato fine ex
art. 73 L.S. (capo 79CZ), della circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91, nella
sua espressione teleologica (condotte criminose attuate anche al fine di agevolare
l’operatività dell’associazione mafiosa della cosca Megna).
La decisione di legittimità, pur dando atto di tale motivo di ricorso, segnatamente
per ciò che attiene all’imputazione ex art. 74 L.S., ha in concreto omesso di pronunciarsi
su detto motivo di doglianza. Motivo la cui valutazione negativa non può considerarsi
“di

palmare evidenza il nocumento derivatone al Monti”, non posto in grado di sapere per
quali ragioni l’addotta censura non sia stata considerata meritevole di accoglimento,
perdendo in tal modo la possibilità di avanzare richieste in sede esecutiva inibitegli dalla
configurata aggravante della “mafiosità” dei commessi reati.
La più recente giurisprudenza di legittimità in tema di ricorso straordinario ex art.
625-bis c.p.p. ha statuito che l’omesso esame da parte della Corte di cassazione di
motivi di ricorso non manifestamente infondati dà luogo ad un errore di fatto e alla
conseguente rescissione della sentenza impugnata, anche quando i motivi pretermessi
siano da rigettare (così: Sez. 6, n. 4195 del 08/10/2014, dep. 2015, Canzonieri, Rv.
262048; Sez. 4, n. 17178 del 08/04/2015, Giori, Rv. 263443).
5. Il proposto ricorso straordinario va dichiarato inammissibile per indeducibilità e
palese infondatezza delle censure rivolte alla sentenza di legittimità del 26.11.2014.
5.1. Va rilevato in limine che l’interesse all’impugnazione straordinaria non è
stato puntualmente chiarito nel ricorso ovvero si mostra soltanto apparente con
riferimento ai benefici asseritamente preclusi in fase di esecuzione penale per effetto
della contestata aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91 per i due reati ex artt. 74 e 73
L.S. di cui è stato riconosciuto definitivamente responsabile il Monti. In vero tale
aggravante risulta in fatto misconosciuta dal giudice di merito (non essendosene
desunto alcun incremento sanzionatorio, al pari di quanto avvenuto per la pur
contestata aggravante di cui all’art. 80 co. 2 L.S. contestata per la fattispecie di cui
all’art. 73 L.S.). In vero, nel rideterminare la pena (nella complessiva misura, come
detto, di dieci anni e sei mesi di reclusione) inflitta al Monti, la sentenza della Corte di
Appello di Catanzaro del 12.3.2014 (confermata a seguito del rigetto del ricorso del
prevenuto) ha individuato la pena base, per il ritenuto più grave reato punito dall’art. 74
L.S., in dieci anni di reclusione, aumentandola di soli sei mesi di reclusione ex art. 81
comma 2 c.p. per le altre due concorrenti imputazioni. Vale a dire in misura
corrispondente al minimo edittale previsto per la partecipazione ad una associazione
criminosa dedita al narcotraffico (art. 74, comma 2, LS.).

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assorbita nella complessiva disamina del ricorso del Monti. Sicché diverrebbe

5.2. In ogni caso manifesta è l’infondatezza del denunciato errore di fatto.
Vuoi alla luce della non decisività del presunto errore percettivo (asserita
mancata disamina della censura attinente all’aggravante ex art. 7 D.L. 152/91), dal
momento che di per sé sola la mancata disamina di doglianza non dirimente o che
debba considerarsi implicitamente disattesa, perché incompatibile con la struttura della
motivazione e con la sua ratio decidendi, non può dare adito ad una rescissione della
decisione per presunto errore percettivo (cfr.: Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014,
Apicella, Rv. 259503; Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, Manfredi, Rv. 263113).

Per un verso è agevole osservare, infatti, che con l’odierno ricorso straordinario
in primo luogo non si imputa a questa Corte un errore di fatto, quanto piuttosto un
errore valutativo per omissione, attribuendosi al giudice di legittimità una presunta
mancata valutazione del percorso decisorio dell’impugnata sentenza di appello in punto
di disamina della contestata aggravante ex art. 7 D.L. 152/91 Di tal che si è in tutta
evidenza al di fuori del perimetro di riferimento dell’istituto del ricorso straordinario ex
art. 625-bis c.p.p., non potendosi ritenere ammissibile detto ricorso quando la causa
dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione
percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, atteso che in tal caso
non si configura un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del
rimedio straordinario (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; Sez. U, n.
18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686).
Al riguardo è appena il caso di osservare che, diversamente dalla tesi sostenuta
nell’odierna impugnazione, la decisione di legittimità ha assorbito anche i motivi di
ricorso (palesemente subordinati rispetto al tema centrale della colpevolezza del Monti)
concernenti l’aggravante delle finalità mafiose dei fatti reato commessi dal prevenuto in
materia di sostanze stupefacenti (fatti associativi e attuativi di specifiche condotte
illecite). La sentenza di questa Corte ha affrontato il tema in discussione (art. 7 D.L.
152/91) in almeno due passaggi della motivazione, che è d’uopo richiamare.
Segnatamente, in primo luogo, laddove la sentenza di legittimità ha sottolineato come la
sentenza di appello abbia fondato la propria decisione con il valorizzare la dimostrata
attendibilità dei collaboratori di giustizia Marino e Bonaventura, che hanno entrambi
descritto il Monti come sicuro appartenente al clan Megna, che in tale contesto “si è
occupato principalmente di sostanze stupefacenti”. Ciò che equivale a qualificare le
condotte del Monti in tema di sostanze stupefacenti come funzionalmente connesse alla
generale attività illecita del sodalizio mafioso e, per ciò stesso, scandite dalla aggravante
finalistica di cui all’art. 7 D.L. 152/91. In secondo luogo, poi, laddove la medesima
sentenza di legittimità ha evidenziato che correttamente i giudici di appello hanno
ritenuto provata la condotta del Monti di stoccaggio, occultamento e cessione a terzi di
ingenti quantitativi di marijuana

“per conto della cosca mafiosa” e, dunque,

Vuoi soprattutto alla luce della palese erroneità del delineato assunto censorio.

nell’interesse e vantaggio di questa e della sua sopravvivenza). Evenienze apprezzate
dalla decisione di legittimità e affatto incompatibili con il preteso errore percettivo sul
fatto (ex art. 7 D.L. 152/91) cui è destinato a porre rimedio il mezzo straordinario di
impugnazione previsto dall’art. 625-bis c.p.p., al quale sono estranei errori che,
trascendendo semplici sviste percettive di dati fattuali, investono il percorso valutativo
del giudice di legittimità (cfr.: Sez. U, n. 37505 del 14.7.2011, Corsini, Rv. 250527;
Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686; Sez. 6, n. 35239 del
21/05/2013, Buonocore, Rv. 256441; Sez. 6, n. 46065 del 17/09/2014,Marrelli, Rv.

All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende, che si stima conforme a giustizia stabilire in misura di euro 1.500
(millecinquecento).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento in favore della cassa delle
ammende.
Roma, 26 novembre 2015
Il Presidente esten(ore
Giacomo Paoloni

260819).

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