Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 508 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 508 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
CAMMARATA FRANCESCO N. IL 02/08/1961
avverso l’ordinanza n. 3820/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 03/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI .
lette/s~le conclusioni del PG pga. „AuQ__ eUedt/(
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Uditi difensor

Data Udienza: 17/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 3 ottobre 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Roma
accoglieva il reclamo proposto da Francesco Cammarata- detenuto in custodia cautelare
in carcere per effetto di ordinanza, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta il
10/2/2014 – avverso il decreto del Ministro della Giustizia, con il quale, ex art. 41 bis ord.
pen., era stata disposta la sua sottoposizione a regime detentivo differenziato per la
durata di anni tre e, per l’effetto, revocava detto decreto, rilevando la mancata

nell’organizzazione di stampo mafioso già a suo tempo diretta.
2. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto separati ricorsi per cassazione il
Procuratore Nazionale Antimafia ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Roma.
2.1 Il Procuratore nazionale antimafia ha dedotto con unico motivo violazione di
legge per erronea applicazione dell’art. 41-bis ord. pen. sotto due distinti profili; secondo
il ricorrente, da un lato il Tribunale ha erroneamente ritenuto che la sottoposizione al
regime detentivo differenziato sia riservato soltanto a chi abbia assunto funzioni
dirigenziali, o comunque di alto livello, nell’ambito delle organizzazioni di stampo
mafioso, mentre tale requisito non è preteso dalla disposizione di legge che richiede
elementi dai quali desumere la sussistenza di collegamenti con un’associazione di tal
natura al fine di reciderli; dall’altro, è incorso nell’errata comprensione delle circostanze
indicate nel decreto ministeriale come significative dei predetti collegamenti e
nell’omissione della considerazione del fatto che, secondo quanto riferito dal
collaboratore Calogero Barberi, il Cammarata in occasione del suo precedente periodo di
detenzione, si era interessato tramite lo spesino del carcere ove era detenuto per
reperire del denaro da destinare a due associati detenuti mediante altri sodali ancora
liberi.
2.2 I! Procuratore Generale presso la Corte distrettuale di Roma ha lamentato
l’illogicità e contraddittorietà della motivazione; la ritenuta mancata dimostrazione della
prosecuzione da parte del Cammarata nel periodo di riacquistata libertà del compimento
di condotte direttive dell’associazione mafiosa contrasta logicamente con altre circostanze
pure evidenziate nella motivazione dell’ordinanza impugnata, quali la sottoposizione ad
indagini perché indiziato di essere il mandante di un omicidio maturato nel contesto
dell’organizzazione e l’affermato pericolo di reiterazione di altri fatti analoghi in quanto
soggetto stabilmente inserito nell’associazione stessa. Inoltre, il Tribunale ha
sottovalutato e non posto in relazione alle altre emergenze gli ulteriori elementi, riportati
nel decreto revocato, ritenuti ambigui delle lettere da inviare al fratello e del colloquio
con altro associato mafioso in ordine alle armi del sodalizio.
3. Con requisitoria scritta, depositata in data 10 aprile 2015, il Procuratore Generale
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dimostrazione dell’attuale inserimento del detenuto con incarico dirigenziale

presso la Corte di Cassazione ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata condividendo i motivi di ricorso e richiamando i principi interpretativi espressi
dalla giurisprudenza costituzionale con la sentenza nr. 190/2010 sul controllo di legalità
esercitabile dal Tribunale di Sorveglianza sul decreto applicativo del regime detentivo
speciale; ha dunque riscontrato i vizi di legittimità inficianti il provvedimento per
l’astratta ed apparente motivazione che non aveva tenuto conto della biografia criminale
del detenuto e della perdurante operatività del sodalizio di appartenenza e comunque non
aveva individuato elementi dimostrativi del sopravvenuto venir meno dell’attitudine al

4. L’interessato ha deposito memoria in data 13 novembre 2015 con la quale ha
dedotto l’inammissibilità o, in subordine, l’infondatezza dei ricorsi proposti, in quanto il
provvedimento impugnato risponde perfettamente ai principi di diritto elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità perché ha evidenziato la dubbia persistenza del ruolo apicale
rivestito e l’assenza di attività delinquenziale nel periodo successivo al 2007 e quindi di
elementi per poter ipotizzare la persistenza della gestione, direzione, organizzazione del
gruppo criminoso e qualsiasi pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblici; né potrebbe
verificarsi quanto riferito dal collaboratore Calogero Barberi trattandosi di indagine di
merito e la cui omessa considerazione si giustifica per la risalenza nel tempo dei fatti
riferiti. Inoltre, il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Appello di
Roma è inammissibile perché denuncia vizi attinenti alla completezza e logicità della
motivazione.

Considerato in diritto

1. Va premesso che l’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2
della legge 23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce la possibilità di sospendere, in tutto o in
parte, le regole del trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti
ivi menzionati allorchè ricorrano “elementi tali da far ritenere la sussistenza di
collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”. Secondo quanto già
rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005,
Emnnanuello, rv. 232684; sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, RG. in proc. Foriglio, rv.
230136) con orientamento, cui si ritiene di dover aderire, la chiara formulazione della
norma indica che, per il riconoscimento di detta condizione e diversamente da quanto
richiesto per formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio”,
non debba essere dimostrata in termini di certezza la sussistenza dei detti collegamenti,
essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta
probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti. E tra le fonti di informazione valutabili
a tal fine rientrano sicuramente gli elementi, ricavabili dalla pendenza di procedimenti per
altri delitti di criminalità organizzata, come ricorre nel caso del Cammarata, sottoposto a

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collegamento con l’esterno.

procedimento penale per reati di tal natura.
1.1 Va altresì ricordato che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è
stabilito dal comma 2-sexies dell’ art. 41-bis, come novellato dalla legge nr. 94 del 2009,
a norma del quale il Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore indicato al comma 2bis, il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono
proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza del Tribunale, che abbia deciso il reclamo avverso il decreto ministeriale di
sottoposizione al regime differenziato, unicamente per dedurre il vizio di violazione di

1.2 La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge va intesa nel
senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza
di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo
in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto
priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il ragionamento
logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento,
ovvero quando l’apparato argonnentativo sia talmente scoordinato e carente nei suoi
passaggi logici da far rimanere ignote o non comprensibili le ragioni che hanno
giustificato la decisione (Sez. Un. 28/5/2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; sez. I,
9/11/2004, ric. Santapaola, rv. 230203; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, Ganci, rv.
226628).
1.3 E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio
di illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione, che sotto questo profilo,
non può evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
2. Ciò premesso, in primo luogo va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, il quale ha censurato
l’ordinanza impugnata unicamente per vizi motivazionali, non deducibili con lo strumento
del ricorso per cassazione.
3. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto all’impugnazione proposta dal
Procuratore nazionale antimafia, il quale ha prospettato il vizio di violazione di legge per
l’erronea applicazione del parametro normativo di riferimento, che il Tribunale ha
interpretato come destinato ad applicarsi soltanto nei confronti degli appartenenti ad
organizzazioni di stampo mafioso con ruolo apicale o comunque direttivo, il che ha
originato il dubbio che il Cammarata, già reggente della famiglia mafiosa di Riesi,
successivamente alla sua scarcerazione avesse mantenuto o ripreso tale posizione e
quindi fosse ancora attualmente pericoloso ed in grado di mantenere collegamenti da
detenuto con l’associazione criminale di appartenenza.
3.1 Effettivamente, il provvedimento in verifica ha fondato il rilievo circa
l’insufficiente motivazione del decreto applicativo del regime detentivo speciale sulla

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legge.

constatazione dell’incertezza della persistenza del ruolo apicale rivestito dal Cammarata
poiché le azioni criminali, commesse nella veste di reggente in luogo del fratello
detenuto, si erano arrestate all’anno 2007 e non risultavano elementi dai quali poter
desumere che egli dal 2010 in poi, quando cioè aveva recuperato lo stato di libertà per
avere definitivamente scontato le pene detentive già inflittegli, avesse continuato “a
gestire, dirigere e organizzare le attività del gruppo sì che possa ritenersi la permanenza
attuale del pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica”.
3.2 Siffatta lettura dell’art. 41-bis, comma 2, che individua quali destinatari della

coloro che nell’ambito delle consorterie di tipo mafioso abbiano assunto una posizione
dirigenziale o organizzativa, non può condividersi perché limita indebitamente ed in
contrasto con la sua “ratio” ispiratrice l’ambito soggettivo di applicazione, il che si
traduce in un’ipotesi di “error in iudicando”, deducibile e censurabile nel giudizio di
legittimità. Nelle intenzioni del legislatore il regime detentivo differenziato introduce una
serie di limitazioni alla libertà personale del sottoposto, che trovano giustificazione
nell’esigenza, ritenuta preminente nei giudizi di valore espressi per ragioni di politica
criminale, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici e ravvisata nei confronti di tutti
coloro che, per il ruolo qualificato rivestito nel contesto associativo, per la vicinanza ai
dirigenti, oppure per le proprie conoscenze o per il dinamismo dimostrato
nell’interpretare la condizione di associato a delinquere, siano in grado di mantenere i
legami criminosi con altri sodali all’esterno e così di veicolare notizie e disposizioni,
perpetuando quel collegamento tra partecipi all’associazione che consente alla stessa di
permanere in vita e di continuare ad operare per i propri fini antigiuridici. Inoltre, il
collegamento del detenuto con gli ambienti della criminalità organizzata deve essere
verificato in termini meramente potenziali, che, pur senza ridursi ad ipotesi astratta,
dovendo qualificarsi per effettività e concretezza, non richiede la dimostrazione di un
rapporto già in atto.
3.3 Nel caso in esame non può quindi ritenersi dirimente in senso favorevole al
detenuto che non sia stata dimostrata la sua perdurante qualità di reggente della famiglia
mafiosa di Riesi e nemmeno che gli altri elementi evidenziati nel decreto ministeriale
siano conducenti al fine di offrire la prova di tale qualità; pertanto, risulta carente ed
erronea la considerazione da parte del Tribunale delle due lettere manoscritte indirizzate
al fratello detenuto in risposta a missiva già da questi inviata, del cui contenuto non vi è
alcuna specificazione che consenta di comprendere il rilievo sul loro significato “ambiguo
e passibile di diversa interpretazione”, lettere che, se non indicative dell’attuale attività
dirigenziale svolta, potrebbero egualmente costituire strumento per il mantenimento di
contatti tra sodali detenuti ed altri liberi. Parimenti non è dato comprendere l’esatto
contenuto del colloquio intercorso tra il Cammarata e Felice Rocco, genero di affiliato,
ritenuto deputato alla custodia delle armi nella disponibilità del clan mafioso, in ordine

misura della sospensione delle regole ordinarie di trattamento penitenziario soltanto

proprio ad armi da fuoco, sicchè anche la svalutazione di tale elemento per non essere
emerso il coinvolgimento del Cammarata nel compimento di azioni criminali con l’impiego
di tali dispositivi trascura il possibile rilievo del contatto tra sodali per l’assunzione di
informazioni o l’occultamento dell’arsenale dell’organizzazione, strumento necessario per
il perseguimento delle sue finalità.
Infine, come fondatamente denunciato nel ricorso, il Tribunale ha omesso di
prendere in considerazione anche la circostanza, riferita da un collaboratore di giustizia,
secondo il quale il Cammarata da detenuto e prima della sua scarcerazione si era

affiliati ancora liberi, elemento che avrebbe meritato una disamina, anche soltanto
confutativa, per il possibile valore sintomatico del mantenimento di relazioni criminali con
l’organismo di appartenenza, nonostante l’ostacolo rappresentato dallo stato detentivo.
Per le considerazioni svolte, l’ordinanza impugnata, caratterizzata da un vaglio
lacunoso, perché incompleto e non aderente al dettato normativo, quindi affetta da
violazione di legge, deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di
Roma per nuovo esame del reclamo, che dovrà avvenire nel rispetto del criterio
interpretativo e dei rilievi sopra enunciati.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di Appello
di Roma. In accoglimento del ricorso del Procuratore nazionale Antimafia, annulla
l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2015.

interessato per reperire denaro da far pervenire a due sodali carcerati tramite altri

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