Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5076 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5076 Anno 2014
Presidente:
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Zaccaria Francesco Paolo, nato a San Severo il 02/12/1963

avverso la sentenza del 19/07/2012 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art.
319 quater cod. pen. e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per la
rideterminazione del trattamento sanzionatorio;
uditi per l’imputato l’avv. Giovanni Aricò e l’avv. Ettore Censano, che hanno
concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e che, in
subordine, si sono associati alla richiesta del P.G.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

Data Udienza: 23/01/2014

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna riformava in
parte, esclusivamente riducendo la pena inflitta, e confermava nel resto la
pronuncia di primo grado del 10/01/2011 con la quale il Tribunale di Parma
aveva condannato Francesco Paolo Zaccaria in relazione al delitto di cui agli artt.
110, 81 cpv. e 317 cod. pen., per avere – in Parma tra il settembre ed il
dicembre del 2008, quale sovrintendente del locale nucleo di polizia tributaria
della guardia di finanza, in concorso con Fausto Allari, collaboratore tecnico
dell’Arpa di Parma, e con l’intermediario Enrico Sidoni, consulente per la

Enrico Marzaioli, ‘titolare’ della omonima società (presso la cui sede, in un’area
appartenente a tale impresa, era stato eseguito un sequestro di un elevato
numero di automezzi abbandonati, considerati rifiuti, in parte anche pericolosi) a
consegnare loro la somma di 30.000 euro: condotta consistita nel garantire al
Marzaioli la loro piena collaborazione durante la fase di smaltimento dei rifiuti e
pulizia di quell’area, l’Allari, in particolare, nel prospettare il campionamento di
terreno prelevandolo da un limitrofo terreno non inquinato, ed il Sidoni
consigliando e suggerendo il pagamento di quell’importo in quanto “tutto si
poteva risolvere” e per ottenere una più rapida restituzione dell’area sottoposta a
sequestro: Marzaioli che accettava la richiesta versando in più tranches una
somma variabile tra 25.000 e 30.000 euro, materialmente consegnata al Sidoni
che, a sua volta aveva versato all’Allari e, tramite questi, allo Zaccaria.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali – in particolare i
risultati delle intercettazioni telefoniche eseguite durante le indagini e di altre
attività di investigazione compiute dagli inquirenti, nonché la chiamata in
correità del coimputato Sidoni e le parziali ammissioni del coimputato Allari avessero dimostrato la colpevolezza dello Zaccaria in ordine al delitto ascrittogli,
escludendo che l’Allari si fosse limitato a millantare credito verso di lui ovvero
che la condotta dello Zaccaria e dei suoi concorrenti fosse espressione una
posizione di parità assunta con il privato, il quale, invece, si era determinato alla
dazione indebita per il timore maturato nei confronti dei pubblici ufficiali; come
l’imputato non fosse meritevole del riconoscimento né della circostanza
attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., peraltro richiesta con l’appello con motivo
aspecifico, né delle circostanze attenuanti generiche, essendo irrilevante il solo
stato di formale incensuratezza; ma come la pena finale irrogata potesse essere
rideterminata nel minimo edittale di anni quattro di reclusione.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso lo Zaccaria, con atto sottoscritto
dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti sei motivi.

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sicurezza della società – abusando dei loro poteri e delle loro funzioni, costretto

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 192, commi 3 e 4, e 195 cod.,
proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere
la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado sulla
base di un’erronea valutazione delle chiamate in correità rese dai coimputati
Allari e Sidoni, laddove le carte del processo avevano dimostrato solamente che
il Sidoni aveva millantato credito presso il Marzaioli e, per ciò che concerne lo
Zaccaria, si era limitato a riferire quanto confidatogli dall’Allari, dando, così, un
contributo conoscitivo solo de relato; che nessuna verifica era stata fatta in

contrasto tra loro con riferimento all’entità della somma percepita e alle presunte
richieste rivolte alla vittima direttamente dallo Zaccaria; e che le dichiarazioni
accusatorie erano rimaste prive di adeguati riscontri estrinseci, non potendosi
considerare tale l’accertato incontro tra l’Allari e lo Zaccaria presso l’abitazione di
quest’ultimo, in quanto emergenza dal significato tutt’altro che univoco.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 317 e 318 cod. pen., per avere
la Corte distrettuale ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di
derubricazione del reato contestato in quello meno grave di corruzione o di
istigazione alla corruzione, benché i risultati dell’istruttoria dibattimentale, in
specie quelli desumibili dalle dichiarazioni del Marzaioli e del teste Montanini,
avevano escluso che lo Zaccaria avesse mai abusato della sua qualità di pubblico
ufficiale ovvero avesse esercitato nei riguardi dell’imprenditore un

metus

pubblicae potestatis.
2.3. Applicazione dell’art. 319-quater cod. pen., introdotto nel codice dalla
legge n. 190 del 2012, quale ius superveniens più favorevole all’imputato, posto
che la condotta tenuta dall’imputato si sarebbe sostanziata più in una forma di
induzione che non di costrizione.
2.4. Mancata assunzione di una prova decisiva, per avere la Corte di appello
disatteso la richiesta difensiva di effettuazione di un confronto tra l’Allari ed il
Sidoni che avrebbe potuto chiarire i numerosi punti di contrasto esistenti tra le
versioni dei due.
2.5. Violazione di legge, in relazione all’art. 62 bis cod. pen., e vizio di
motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere la Corte emiliana
omesso di spiegare le ragioni per le quali l’imputato, soggetto incensurato,
interessato al più alla ricezione di un’unica somma di denaro, non potesse
beneficiare del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.6. Violazione di legge, in relazione all’art. 114 cod. pen., e vizio di
motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per essersi la Corte bolognese
limitata a rigettare la richiesta difensiva richiamando il contenuto della
disposizione della quale era stata sollecitata l’applicazione, e senza tenere conto
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ordine alla attendibilità soggettiva ed intrinseca di quelle accuse, risultate anzi in

che l’imputato non aveva aderito all’originario accordo criminoso con i correi, né
aveva partecipato all’ideazione o esecuzione della condotta concussiva.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, nei limiti di seguito precisati.

3.1. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro e, dunque,
esaminabili congiuntamente, sono inammissibili perché sostanzialmente
presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

impugnazione, una violazione delle norme di diritto penale sostanziale oggetto
dell’addebito o delle norme di diritto processuale attinenti ai criteri di valutazione
della prova, ovvero il vizio di motivazione, ma non ha prospettato alcuna reale
contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse
dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed
insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata
lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una insufficiente
descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come
incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello
di Bologna aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite: e, tuttavia,
bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’,
vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento
impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la
coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in
pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando
un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è
stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata
dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente
completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
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Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivi della sua

in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta
illogicità, né alcuna inosservanza di norme di diritto penale sostanziale, avendo

volutamente evasive notizie fornite dal Marzaioli, fosse stato il contenuto delle
intercettazioni telefoniche a dimostrare che questi era stato vittima di reiterate
richieste di denaro da parte del Sidoni, il quale, dimostrando di agire d’intesa con
l’Allari, all’epoca funzionario pubblico dell’Arpa, e con “i finanzieri” che si stavano
occupando del sequestro dell’area dove erano stati accatastati i rifiuti pericolosi,
prospettando una rapida e positiva definizione della vicenda mediante il possibile
compimento di atti espressione di un abuso di funzioni pubbliche, aveva
chiaramente posto l’imprenditore in uno stato di soggezione, capace di escludere
la riconoscibilità di quella posizione di parità che è presupposto per la
configuirabilità del diverso reato di corruzione; e come, per altro verso, il
coinvolgimento diretto dello Zaccaria nella vicenda fosse stato ammesso tanto
dall’Allari, quanto,

de relato,

dal Sidoni, con indicazioni che potevano

considerarsi efficacemente riscontrate dai risultati degli accertamenti compiuti
dagli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, durante le indagini, avevano avuto
modo di constatare come l’Allari, dopo aver incontrato il Sidoni in un ristorante
ed avere da questi ricevuto una somma di denaro (provento di un’ennesima
richiesta concussiva formulata nei riguardi del Marzaioli), si fosse recato presso
l’abitazione dello Zaccaria, con lo stesso trattenendosi per pochi minuti
nell’androne, ragionevolmente per consegnargli parte di quel denaro (2.500
euro, così come l’Allari aveva riferito; incontro sulle cui ragioni il ricorrente aveva
dato, invece, una diversa giustificazione, reputata del tutto implausibile dai
Giudici del merito – v. pagg. 9-11 sent. impugn.).
Né è configurabile la dedotta violazione della legge processuale, avendo i
Giudici di secondo grado convincentemente chiarito come le uniche rilevanti
difformità tra le dichiarazioni accusatorie rese dai due coimputati, in specie con
riferimento alla entità della somma versata dalla vittima della pretesa concussiva
e indebitamente percepita dallo Zaccaria, ben potesse dipendere dal fatto che
l’Allari – che, a differenza del Sidoni, aveva cercato di limitare la portata della
propria concorrente responsabilità, parlando di importi di gran lunga inferiori a
quelli menzionati dall’altro accusatore – poteva avere trattenuto per sé la gran
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la Corte emiliana analiticamente spiegato come, per un verso, al di là delle

parte delle significative somme che, per il tramite del Sidoti, aveva ricevuto dal
Marzaioli: circostanze, queste, che lungi dal privare di ogni attendibilità le
indicazioni dell’Altari, correttamente sono state dai Giudici di merito idonee a
ritenere dimostrato il concorso dello Zaccaria nel percepimento dell’unica e
minore somma di 2.500 euro, che il Marzaioli aveva ammesso di aver versato e
che all’odierno ricorrente era stata consegnata in occasione del già richiamato
fugace incontro con l’Altari del 04/04/2008 (v. pag. 11 sent. impugn.).
D’altro canto, se è vero che l’imputato, che, nel corso del suo esame, riferisca

(sia che si tratti di una chiamata in reità, che di una chiamata in correità) va
equiparato – in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.
209 cod. proc. pen. – all’imputato di procedimento connesso, di cui all’art. 210
cod. proc. pen., con conseguente applicazione delle regole di cui all’art. 195 cod.
proc. pen. (così Sez. U, n. 20804/13 del 29/11/2012, Aquilina e altri, Rv.
255141-2), è anche vero che di tale criteriodi giudizio – la cui violazione è stata,
invero, denunciata espressamente per la prima volta solo con il ricorso per
cassazione – la Corte di appello di Bologna ha fatto corretta applicazione
evidenziando come l’affermazione di colpevolezza dell’imputato fosse basata non
solo sulle attendibili propalazioni dirette dell’Altari (con una valutazione
frazionata della loro credibilità intrinseca), nella parte in cui potevano ritenersi
riscontrate da quelle ‘de relato’ del Sidoni, ma soprattutto sui già descritti
riscontri estrinseci costituiti dagli esiti oggettivi degli accertamenti compiuti dagli
ufficiali di polizia giudiziaria nella giornata del 04/04/2008 (v. pagg. 9-10 sent.
im pug n.).

3.2. Il terzo motivo del ricorso è fondato.
La questione concernente l’esatta configurabilità del reato, in conseguenza
dell’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190, contenente
“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità
nella pubblica amministrazione”: legge che, come noto, nel novellare la disciplina
dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l’art. 317 cod. pen.,
con l’introduzione di una “diversa” fattispecie di “concussione”, ed ha introdotto
l’art.

319 quater cod. pen., riguardante l’innovativa figura criminosa della

“induzione indebita a dare o promettere utilità”, sostanzialmente intermedia tra
quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e quella dell’accordo
corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall’art. 318 o dall’art. 319 cod. pen.
(anch’essi modificati dalla stessa legge).
Pure allo scopo di uniformare la normativa interna ai principi della Convenzione
contro la corruzione di Merida del 2003, approvata in ambito ONU, e della
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circostanze di fatto confidategli da terzi relativi a profili di altrui responsabilità

Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 1999, approvata in ambito
di Consiglio d’Europa – trattati ratificati in Italia rispettivamente con le leggi n.
116 del 2009 e n. 110 del 2012 – il legislatore nazionale, come si è accennato,
ha “spacchettato” l’originaria ipotesi delittuosa della concussione, che, nel testo
previgente dell’art. 317 cod. pen., parificava le condotte di costrizione e di
induzione, creando due nuove fattispecie di reato.
La prima, che resta disciplinata dall’art. 317 cod. pen., prevede la punizione
del “pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe

utilità”: conserva, dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della
fattispecie della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite
edittale minimo della pena detentiva (portata da quattro a sei anni di reclusione)
e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con esclusione,
dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio (scelta, quest’ultima,
foriera di probabili incertezze applicative, il cui effetto è ragionevole immaginare
sarà quello di far rientrare, in presenza di tutti i presupposti di legge, le condotte
costrittive ascrivibili all’incaricato di pubblico servizio nell’alveo operativo del
reato di estorsione, eventualmente aggravato dall’aver commesso il fatto con
abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi
dell’art. 61 comma 1 n. 9 cod. pen.).
La seconda fattispecie di reato, “scorporata” dal previgente art. 317 cod. pen.

319 quater cod. pen., recante in rubrica la nuova

ed ora regolata dall’art.

denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, è configurabile,
“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, laddove “il pubblico ufficiale o
l’incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri,
induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro
o altra utilità”: delitto, dunque, che può essere commesso dall’incaricato di
pubblico servizio oltre che dal pubblico ufficiale, sanzionato con la più mite pena
della reclusione da tre ad otto anni, e che ha una struttura, con riferimento alla
condotta del pubblico agente (comma 1), nella quale sono significativamente
riproposti gli stessi elementi qualificanti la ‘vecchia’ figura della concussione per
induzione. Rappresenta, invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma
2 dello stesso art. 319 quater, della punizione anche dell’indotto, cioè del

soggetto che “dà o promette denaro o altra utilità”, il quale, da persona offesa
nell’originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente art. 317
cod. pen., diventa coautore nella nuova figura dell’induzione indebita.
Sotto l’aspetto intertemporale è da escludersi, dunque, che l’entrata in vigore
della novella del 2012 abbia comportato qualche forma di aboliti° criminis ai
sensi dell’art. 2 comma 2 cod. pen., avendo comportato solo un mero fenomeno

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taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra

di successione di leggi penali nel tempo regolato dall’art. 2 comma 4 cod. pen..
In tal senso depone, per un verso, l’esito del confronto strutturale tra le due
esaminate fattispecie incriminatrici, che permette agevolmente di rilevare come,
a parte l’esclusione, quale soggetto attivo, della figura dell’incaricato di pubblico
servizio (che, come innanzi anticipato, ha comportato una forma di abrogatio

sine abolitio), il legislatore del 2012 abbia riproposto nel nuovo art. 317 cod.
pen. una descrizione degli elementi costitutivi del reato di concussione per
costrizione sostanzialmente identica a quella degli elementi integranti il reato di

verso, il risultato dell’analisi del giudizio di disvalore che qualifica le due
fattispecie, immutato in entrambe le disposizioni, essendo ugualmente colpite fatto salvo l’aumento, con la nuova legge, del trattamento sanzionatorio vicende criminose identiche, consistenti nell’iniziativa di costrizione illecita posta
in essere da un pubblico ufficiale. Di talché è possibile affermare che l’operatività
delle due disposizioni incriminatrici ‘copre’ esattamente – ovviamente in
relazione alla posizione del pubblico funzionario – tutte le condotte già in
precedenza sanzionate dal modificato art. 317 cod. pen. (in questo senso Sez. 6,
n. 12388 del 11/02/2013, Sarno, Rv. 254441; Sez. 6, n. 11792 del 11/02/2013,
Castelluzzo, Rv. 254437; Sez. 6, n. 17285 del 11/01/2013, Vaccaro e Ammirata,
ancora non mass.; Sez. 6, n. 8695 del 04/12/2012, Nardi, Rv. 254114; Sez. 6,
n. 3251 del 03/12/2012, Roscia, Rv. 253935).
Allo scopo di dirimere il contrasto di vedute, sorto nella giurisprudenza di
legittimità, in ordine alla definizione dei criteri che permettono di distinguere la
figura della concussione, prevista dal ‘nuovo’ art. 317 cod. pen., da quella della
induzione indebita di cui all’introdotto art.

319-quater dello stesso codice, le

Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito – come si desume dalla notizia di
decisione – che la fattispecie di induzione indebita di cui all’art.

319-quater cod.

pen. è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che lascia al
destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si
coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio; laddove nella
concussione di cui all’art. 317 cod. pen., invece, si è in presenza di una condotta
del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del
destinatario (Sez. U., 24 ottobre 2013, Maldera ed altri).
Alla luce delle regulae iuris innanzi esposte, deve ritenersi che la condotta
posta in essere dall’odierno ricorrente, così come accertata dai giudici di merito,
debba essere qualificata in termini di induzione indebita ai sensi del nuovo art.

319-quater cod. pen. E ciò sia perché nella contestazione dell’addebito, al di là
t3,9-0
del formaleyenunciativo, l’ipotesi accusatoria era stata formulata in termini di
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concussione per costrizione di cui al previgente art. 317 cod. pen.; per altro

blande “pressioni” attuate mediante forme di “consigli” e di “suggerimenti”,
dunque con forme di pressione psichica non irresistibili, palesemente idonee a
lasciare al destinatario delle stesse un sostanzioso margine di
autodeterminazione (v. pag. 3 sent. impugn.); sia anche perché dalla
motivazione del provvedimento gravato emerge con chiarezza come il Marzaioli
si fosse determinato a versare le somme di denaro richieste allo scopo di
perseguire un indebito vantaggio, consistente nella possibilità di ottenere un
rapido dissequestro della zona utilizzata per la raccolta di rifiuti, oltre che per

particolare, l’Allari aveva garantito, tra l’altro impegnandosi ad effettuare un
prelievo di campioni di terreno da un’area diversa da quella sottoposta al vincolo
reale (v. pagg. 6, 10-11 sent. impugn.).
La riconosciuta riqualificazione giuridica dei fatti accertati ai sensi del nuovo
art. 319 quater cod. pen. comporta l’annullamento della sentenza impugnata con

rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna: ed infatti, se è vero che
i Giudici di secondo grado hanno espressamente stabilito di ridurre la pena fino
al limite edittale previsto dall’allora vigente art. 317 cod. pen., la significa
riduzione di entrambi i limiti edittali operata dal nuovo art. 319 quater cod. pen.,

in ragione del mutato giudizio di valore, rende necessaria una integrale
rivalutazione del trattamento sanzionatorio, che inevitabilmente dovrà involgere
anche i parametri utilizzabili ai fini dell’eventuale riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche.
In tale declaratoria di annullamento resta, perciò, assorbito l’esame del quinto
motivo dell’odierno ricorso che, negli indicati limiti in cui è necessaria una nuova
verifica circa le scelte di dosimetria della pena, deve reputarsi fondato.

3.3. Il quarto motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Oltre a non essere configurabile alcuna violazione di legge, non è neppure
ravvisabile un vizio di mancanza di motivazione, in quanto, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento,
dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi
considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (così Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n.
13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590).
9

R

una favorevole definizione dell’intera vicenda processuale, esito che, in

E’, dunque, irrilevante che la Corte di appello non abbia espressamente
esaminato la rinnovata richiesta difensiva di effettuazione di un confronto tra
l’Allari e il Sidoni, avendo, comunque, spiegato – con motivazione congrua e
logicamente non viziata, dunque non censurabile in questa sede – le condizioni e
le ragioni per le quali le deposizioni accusatorie dei due coimputati potevano
considerarsi parzialmente sovrapponibili tra loro (v. pag. 10 sent. impugn.).

3.4. Manifestamente infondato è, altresì, l’ultimo motivo del ricorso in esame.

difensiva di concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.,
la Corte di appello ha sinteticamente ribadito l’assenza delle condizioni per poter
qualificare come di minima importanza – intesa come minima e marginale, ossia
così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale
dell’iter criminoso – il contributo causale dato dallo Zaccaria alla preparazione ed
all’esecuzione del reato accertato (v. pag. 12 sent. impugn.).
Motivazione alquanto stringata, ma sufficiente ad escludere in questa sede il
riconoscimento di alcun vizio di motivazione, ben potendo rilevare come la
doglianza difensiva a suo tempo dedotta con l’atto di appello sia stata disattesa
dai Giudici di secondo grado sulla base di una complessiva valutazione delle
emergenze processuali, idonee a raffigurare la partecipazione del prevenuto alla
vicenda criminosa in termini tutt’altro che trascurabili o secondari.

P.Q.M.

Qualificata l’imputazione ai sensi dell’art.

319 quater cod. pen., annulla la

sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena e rinvia, per nuovo
giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23/01/2014

Nel confermare la decisione del giudice di prime cure di rigettare la richiesta

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