Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5072 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5072 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Carmelo Arizzi, nato a Palermo il 16/03/1979
2. D’Anna Matteo, nato a Palermo il 13/07/1961
3. Pietro Formoso, nato a Villafrati il 18/01/1949
4.

Paolo Priolo, nato a Palermo il 18/09/1962

avverso la sentenza del 05/12/2012 della Corte d’appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità
del ricorso proposto da Arizzi, ed il rigetto degli ulteriori ricorsi;
uditi gli avv.ti Raffaele Bonsignore e Savino Mondello per Formoso Pietro, nonché
l’avv. Mondello, anche in sostituzione dell’avv. Giuseppe Antonio Gianzi per
D’Anna, i quali si sono riportati ai rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Il 16 luglio 2008 il Tribunale di Palermo dichiarava, tra gli altri,
Carmelo Arizzi, Matteo D’Anna, Pietro Formoso, e Paolo Priolo, colpevoli dei
delitti previsti dagli artt. 74 e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, loro
rispettivamente ascritti e, riconosciuta nei confronti degli imputati Arizzi e Priolo
l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, in relazione al contestato delitto associativo e
quella di cui all’art. 73, comma 5, con riferimento alle contestazioni ex art. 73,
ravvisato nei confronti di tutti gli imputati il vincolo della continuazione e
dichiarata la diminuente di cui all’art. 74 comma 6, prevalente sulla recidiva
contestata a Priolo, condannava Arizzi, e Priolo alla pena di quattro anni di

Data Udienza: 19/12/2013

reclusione ed C 4.000 di multa, D’Anna e Formoso a quella di dodici anni di
reclusione -tenuto conto per Formoso della recidiva contestata-.
Il 31 maggio 2010 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della
decisione del Tribunale appellata dagli imputati, assolveva, per non avere
commesso il fatto, D’Anna e Formoso dal delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309
del 1990 (capo B) e, per l’effetto, rideterminava in undici anni di reclusione la

A seguito dell’annullamento della richiamata sentenza pronunciata da
questa Corte con sentenza dell’11/07/2011, limitatamente all’ipotesi associativa,
la Corte d’appello di Palermo pronunciava, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen.,
sentenza con la quale riduceva la pena inflitta a D’Anna, in relazione ai reati di
cui ai capo A), E) ed F) a lui ascritti, ed al Formoso, in relazione ai reati di cui ai
capi A) ed F); riduceva la pena inflitta ad Arizzi in riferimento ai reati di cui ai
capi A) e B), previo riconoscimento nei suoi confronti delle attenuanti generiche,
confermando la condanna di primo grado, per il delitto associativo, pronunciata
nei confronti di Priolo.

2. La difesa di Arizzi, la cui condanna concerne i reati di cui agli artt. 74
comma 6 e 73 comma 5 d.P.R. in esame, deduce violazione di legge penale e
processuale e vizio di motivazione con riguardo all’identificazione degli elementi
di responsabilità del delitto associativo, cui era limitato l’ambito valutativo del
giudizio di rinvio, in forza della pronuncia di annullamento di questa Corte.
Si rileva che sono state ritenute dimostrative dell’esistenza del vincolo
associativo telefonate criptiche, cui è stata fornita un’interpretazione soggettiva,
in assenza di successiva verifica di conferma del loro significato, dalle quali era
dato evincere la consumazione di più reati fine, non la dimostrazione della
persistenza del vincolo, ove il riscontrato legame personale tra i partecipi era
rafforzato dal vincolo di affinità, che, secondo l’impostazione difensiva,
giustificava la gran parte delle comunicazioni, ritenute invece sintomatiche
dell’esistenza dell’accordo criminoso.
Si ritiene che la sentenza non abbia individuato con certezza la presenza
del pactum sceleris finalizzato alla consumazione di una molteplicità di illeciti, né
lo specifico apporto causale dell’Arizzi a tale programma o elementi dimostrativi
della sua consapevolezza di contribuire ad un programma illecito, elementi
essenziali per la configurazione della fattispecie contestata. Si osserva che la
Corte di merito, in linea con la ritenuta marginalità nell’azione, ha riconosciuto
la minima entità del suo ruolo, ritenuto subordinato a quello altrui,
riconoscendogli per questo le attenuanti generiche, a dimostrazione della
mancanza di elementi rivelatori di un apporto consapevole.

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Cassazione sezione VI penale, rg. 19481/2013

pena inflitta ai predetti, confermando nel resto la decisione di primo grado.

3.1. I difensori di D’Anna e Formoso hanno dedotto i medesimi vizi,
lamentando che la sentenza impugnata abbia eluso la richiesta di
approfondimenti contenuta nella pronuncia di annullamento con rinvio di questa
Corte, in mancanza dell’acquisizione di elementi nuovi, e reiterato l’esposizione
di quanto già espresso nella pronuncia annullata, senza arricchirla con elementi
di prova sull’esistenza e stabilità del vincolo, contrariamente a quanto richiesto

In particolare, si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto l’esistenza di
due gruppi di venditori, grossisti e dettaglianti, omettendo di valutare l’elemento
di contrasto rispetto a tale ricostruzione, desumibile dall’assoluzione degli odierni
ricorrenti dall’imputazione di cui al capo B), intervenuta nel corso del primo
giudizio di appello, incompatibile con tale premessa ricostruttiva.
Si deduce al riguardo che la Corte ha omesso di motivare sulle
contestazioni specifiche operate in sede di appello, con riferimento alla
mancanza di rapporti tra Formoso e terzi diversi dal D’Anna e di quest’ultimo con
Cucchiara ed Arizzi, mentre aveva giustificato con causale lecita i rapporti con
Genna e Priolo.
Si omette inoltre di accertare nella pronuncia la presenza di elementi
essenziali del sodalizio, in assenza di una base logistica, di una cassa comune,
dell’individuazione di un criterio di suddivisione dei proventi, di una ripartizione
di ruoli, tanto che la sentenza accerta la presenza di un’anomala associazione,
priva di capi.
Da ultimo si segnala l’insufficienza dell’accertamento della pluralità di
cessioni per individuare la consumazione del reato associativo, nella fattispecie
assunta, poiché solo in un caso il contenuto delle comunicazioni era stato
individuato nel suo oggettivo significato dal successivo controllo.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riguardo all’esclusione del riconoscimento delle attenuanti
generiche, intervenuta per entrambi i ricorrenti, con motivazioni che non hanno
considerato la specifica situazione personale, che nel caso concreto poteva
fornire rilievo alla decisione del Tribunale di non applicare l’aumento per la
recidiva in favore di D’Anna e per Formoso, potevano essere giustificate dalle
gravi condizioni di salute.
4. Nell’interesse di Paolo Priolo la difesa deduce violazione di legge penale
e processuale e vizio di motivazione della sentenza osservando che la Corte
territoriale ha individuato a sostegno della propria ricostruzione le risultanze
delle intercettazioni telefoniche, interpretate in forza dei controlli eseguiti sul

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dalla pronuncia di annullamento.

territorio, di cui la difesa esclude la coordinazione, concludendo per l’assenza di
elementi di sostegno all’ipotesi di accusa.
Manca nella pronuncia l’individuazione di elementi caratterizzanti la
struttura associativa, mentre, con specifico riferimento al Priolo, erano state
ritenute rilevanti le comunicazioni con il figlio ed il genero, riguardanti interessi
di natura familiare, ed in ogni caso non indicative della stabilità del vincolo

La Corte territoriale, disattendendo le indicazioni interpretative contenute
nella sentenza di annullamento di questa Corte, ha individuato a sostegno
dell’ipotesi di accusa la presenza di plurimi episodi di cessione di sostanza
stupefacente, non fornendo per contro indicazione in ordine all’individuazione del
ruolo ipoteticamente svolto dal Priolo all’interno della compagine, risultando
conseguentemente omessa l’individuazione degli elementi costitutivi del reato
ritenuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
Preliminarmente si deve osservare che la precedente pronuncia di questa
Corte nel procedimento in esame ha limitato l’annullamento all’accertamento
della fattispecie associativa, richiedendo nuovo esame sul punto, sicché ogni
ulteriore valutazione, riguardante la verificazione dei rati fine deve intendersi
estranea al procedimento di rinvio, conclusosi con la sentenza oggi impugnata, e
conseguentemente al presente giudizio; pertanto non possono assumere rilievo
le osservazioni svolte in argomento nei ricorsi.
2. Il ricorso proposto nell’interesse di Arizzi denuncia assenza di elementi di
responsabilità del reato associativo facendo generico riferimento al contenuto
criptico delle conversazioni, alla presenza di un vincolo di affinità che giustificava
tali contatti, del tutto irrilevante al fine di escludere la sussistenza del legame
associativo, fondato, a seguito dell’accertamento della consumazione dei reati
fine, sulla sistematicità del suo intervento, sulla mancanza di indicazioni
fornitegli in ordine alle modalità esecutive dell’azione richiestagli, e
contestualmente, sull’immediatezza dell’intervento assicurato, elementi che
rimandano ad una programmazione la cui esecuzione non richiedeva ulteriori
specificazioni, ritenuta sintomatica, in uno con la reiterazione di condotte della
stessa natura, dell’esistenza di un accordo stabile sulla consumazione di reati
dello stesso genere, la cui realizzazione obbediva ad una previa
programmazione.

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associativo.

In particolare sul punto nella sentenza impugnata sono citate conversazioni
nelle quali è coinvolto Arizzi che denotano la piena coordinazione esistente tra la
condotta di questi e quella del cognato, in merito all’esecuzione delle consegne di
stupefacente in favore di un acquirente; la consapevolezza da parte di Arizzi
della disponibilità di merce da parte del suocero Paolo Priolo, al fine di soddisfare
le richieste dei clienti; l’esecuzione di un itinerario consueto per raggiungere uno

di ulteriori incarichi; il contatto diretto da questi curato con uno degli acquirenti;
l’esecuzione di compiti, quale l’acquisto di una particolare sostanza, utilizzata per
il taglio dello stupefacente, compresi malgrado la genericità della richiesta
imposta dal mezzo di comunicazione; l’interscambiabilità dei ruoli all’interno del
gruppo, posto che ad un appuntamento fissato da Giovanni Priolo con potenziali
acquirenti viene inviato Arizzi, che in più occasioni risulta officiato delle
consegne, elementi tutti ritenuti univocamente indicativi di un accordo stabile
sullo svolgimento dell’illecito, che costituisce l’essenza del reato associativo
contestato.
A fronte di tali deduzioni le contestazioni svolte in ricorso risultano la
riproposizione di generiche pretese di estraneità al programma associativo, che
non si confrontano con quanto posto in evidenza nella pronuncia, che dimostra,
in senso contrario, la piena consapevolezza del programma del gruppo, la cui
esistenza non può essere esclusa dalla presenza di un vincolo di parentela, da
solo inidoneo a giustificare la supina esecuzione degli incarichi conferiti, e che in
ogni caso non giustifica la compenetrazione nell’azione, posta in luce dalle
comunicazioni specificamente segnalate nella sentenza.
La coordinazione tra gli agenti, la ripartizione di ruoli tra essi evincibile dalla
indubbia natura di capo rivestita da Priolo, che risultava coordinare gli interventi,
dimostra anche la consapevolezza dell’esistenza della struttura organizzativa
stabile da parte dell’agente; ciò impone di pervenire al rigetto del ricorso.
3.1.

Il ricorso proposto nell’interesse di D’Anna e Formoso contesta

l’intervenuta individuazione di ulteriori elementi di conferma della presenza della
struttura associativa, rispetto alla prima pronuncia d’appello, oggetto di
annullamento.
In realtà la sentenza analizza cronologicamente l’attività svolta dagli odierni
ricorrenti, in uno con il coimputato Mancino, giudicato separatamente, cogliendo
lo stringente svolgimento di un’attività, secondo modalità esecutive costanti che
rimandano ad una specifica ripartizione di ruoli, in ravvicinata continuità
temporale, circostanza che ha consentito di concludere per la preesistenza di un
accordo sull’avviamento dell’attività commerciale illecita, la cui conclusione ha
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dei clienti fissi del gruppo, che diventa elemento di riferimento per l’esecuzione

poi consentito uno sviluppo autonomo dell’azione, che si fonda sulla realizzazione
di quanto già definito.
Come già richiamato nella sentenza di annullamento pronunciata da questa
Corte nel presente procedimento l’individuazione degli elementi caratteristici
dell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e quindi la prova
del vincolo permanente nascente dall’accordo associativo, può essere data anche

spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le
forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme
organizzative, sia di tipo gerarchico che caratterizzate da divisione dei compiti
tra gli associati, dalla commissione di reati rientranti nel programma criminoso e
le loro specifiche modalità esecutive, elementi che risultano da un canto
singolarmente indicativi, ma nessuno dei quali è necessario ed indefettibile, tale
essendo esclusivamente la prova del patto illecito concluso tra le parti, e la sua
proiezione ulteriore rispetto al compimento della singola attività esecutiva, sul
quale, salvo rare eccezioni, possono solitamente acquisirsi solo elementi indiziari.
Nella sentenza impugnata tali elementi sintomatici risultano individuati,
posto che dal complesso delle conversazioni intercettate, e dai movimenti
monitorati e richiamati in sentenza, è emerso che gli odierni ricorrenti avevano
concluso un accordo per l’acquisizione costante di partite di stupefacenti sulla
piazza di Napoli tramite Mancino, che ritiravano in quella città, o ricevevano a
Palermo dal coimputato, per poi smistare nei due canali commerciali di Palermo
e del marsalese, costituendo così una fonte costante di approvvigionamento dei
due mercati, che, dopo aver individuato referenti, ruoli e modalità di svolgimento
di massima, procedeva senza ulteriori acquisizioni di consenso.
Estremamente sintomatica della conclusione di un accordo stabile è, più
delle altre, la telefonata del 21/04/2004 richiamata nella sentenza impugnata,
nel corso della quale Mancino si accordava sulle modalità delle trasferte
necessarie, chiarendo che nel primo periodo sarebbe andato lui a Palermo, e
successivamente avrebbero dovuto i siciliani recarsi a Napoli, come poi risulta
concretamente avvenuto.
La circostanza che le stringenti comunicazioni che si succedevano nel tempo
con elevata continuità, specificamente elencate nella decisione impugnata, non
riguardassero qualità o prezzi, ma solo i dettagli degli incontri, dimostra la
presenza di un accordo a monte, riguardante un ben individuato canale
commerciale, la cui vitalità richiedeva solo comportamenti esecutivi già
concordati. La particolare natura dell’associazione finalizzata alla cessione di
sostanze stupefacenti, per la sua perfetta analogia con l’ordinaria attività
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per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli

commerciale, non richiede ulteriori elementi indicatori della stabilità, quale la
specifica predisposizione di mezzi strumentali, che può anche limitarsi
all’utilizzazione di canali comunicativi privilegiati e di modalità esecutive costanti,
quali quelli attivati nella specie.
La sentenza impugnata, in risposta alle argomentazioni della pronuncia di
annullamento che aveva rilevato nella precedente sentenza d’appello un difetto

le dichiarazioni di un collaboratore che ha indicato D’Anna e Formoso quali soci
nell’attività illecita. Sulla base del tenore delle comunicazioni e del successivo
controllo delle azioni svolte da ognuno nella pronuncia si attribuisce al primo il
ruolo di distributore sul territorio, al secondo l’attività di collaborazione, e
materiale apprensione della sostanza sulla piazza di Napoli, ed al Mancino quello
di loro tramite con organizzazioni presso cui si rifornivano, il quale teneva al
corrente i correi sulle oscillazioni dei prezzi sul mercato.
L’osservazione contenuta in ricorso, attinente alla contraddizione insita
nell’intervenuta assoluzione dei ricorrenti dal reato fine di cui al capo B)
pronunciata nel primo giudizio d’appello, ove letta in correlazione
all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, non valuta le ragioni di
tale pronuncia, che risulta fondata sulla verificata estraneità dei ricorrenti al
successivo smercio al dettaglio, e quindi al contatto con gli acquirenti finali, su
cui era modulata la contestazione del reato fine, ed è giustificata dal ritenuto
assorbimento della condotta presupposta dell’approvvigionamento al fine di
successiva cessione, loro direttamente ascrivibile, nell’attività già contestata
nella fattispecie associativa. Risulta da ciò evidente che la richiamata
assoluzione, lungi che essere giustificata da una verificata estraneità ai fatti, ha
collocato l’attività dei ricorrenti in un’azione necessariamente antecedente, già
sanzionata, e non può ritenersi integrante la contraddizione evocata.
Nel corso della discussione entrambi i difensori hanno proposto l’eccezione
di non corrispondenza dell’affermazione di responsabilità alla contestazione,
fondata sul rilevato accertamento della presenza di due compagini associative, la
prima costituita dagli odierni ricorrenti e da Mancino, che si interessava degli
approvvigionamenti all’ingrosso, e la seconda, che vedeva D’Anna smerciare,
attraverso i due canali territoriali sopra richiamati, la sostanza acquisita, rispetto
alla quale è stata riconosciuta la sussistenza della diminuente di cui all’art. 74
comma 6 d.P.R, in esame, secondo una prospettazione del tutto autonoma
rispetto al capo d’accusa.
Al di là di qualsiasi analisi sulla tempestività di tale rilievo nel presente
procedimento, in quanto proposto solo nel corso dell’odierna discussione, nella
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argomentativo, chiarisce i ruoli rivestiti dai singoli partecipi, richiamando anche

specie si rileva che la configurazione della struttura associativa secondo questa
duplicazione tra grossisti e dettaglianti è intervenuta fin dal primo grado, posto
che nella sentenza del Tribunale è stata attribuita la diminuente soltanto al
gruppo dei venditori al dettaglio, sicché, a tutto concedere, il contrasto di tale
inquadramento con la fattispecie contestata, avrebbe dovuto essere eccepito nel
corso del primo giudizio d’appello.

521 cod. proc. pen., non riguardando le ipotesi dell’art. 178 cod. proc. pen.,
valutate assolute dalla successiva disposizione, è a regime intermedio, e resta
sanata ove non rilevata nel grado successivo (da ultimo per tutte
Sez. 6, Sentenza n. 31436 del 12/07/2012, dep. 01/08/2012, imp. Di Stefano,
Rv. 253217) con la conseguenza che non può essere dedotta per la prima volta
in sede di legittimità, ed, a fortiori, nel corso della discussione dinanzi a questa
Corte nel giudizio sulla sentenza pronunciata dalla Corte d’appello quale giudice
del rinvio. Appare del tutto evidente quindi che nella specie, tale limite temporale
sia stato pacificamene superato, rendendo inammissibile l’eccezione.
Risulta infondato anche il rilievo di mancanza di motivazione, rispetto a
specifici motivi di gravame, poiché la Corte ha dato conto, con particolare
riferimento al Formoso, dell’insussistenza in fatto della sua pretesa estraneità a
rapporti con i terzi diversi da D’Anna, evidenziando in senso contrario i suoi
collegamenti diretti con Mancino, nel recarsi a Napoli per ritirare la sostanza
stupefacente, o nell’accoglierlo a Palermo, che evidenziano la personale
compenetrazione nel complesso dell’attività illecita, non mediata esclusivamente
dall’intervento di D’Anna, che giustifica l’accertamento della sua consapevolezza
dell’azione collettiva realizzata.
Il giudicato intervenuto sulle specifiche cessioni esclude invece che possa
costituire oggetto di accertamento la natura dei rapporti tra D’Anna ed i suoi
acquirenti, privando di sostegno l’eccezione difensiva attinente alla mancata
motivazione di tali rilievi nella sentenza impugnata, non potendo più discutersi la
natura dei rapporti con le persone che riforniva, ma esclusivamente l’esistenza di
un’azione associativa per la verificazione dell’attività commerciale svolta.
È bene ricordare che, proprio in ragione delle specifiche indicazioni in fatto
richiamate nella sentenza che ha disposto annullamento della precedente
pronuncia, non è essenziale all’accertamento dell’associazione verificare la
presenza di specifici beni strumentali per lo svolgimento dell’attività, o la
presenza di una organizzazione gerarchica al suo interno, essendo a tal fine
sufficiente l’individuazione di un modulo organizzativo costante e la verificazione

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È bene ricordare che per costante giurisprudenza la nullità prevista dall’art.

della sua esecuzione, nel senso lumeggiato nella sentenza impugnata, cui si è già
fatto riferimento.
Anche la contestazione riguardante la mancanza di prove sulla pluralità di
cessioni, ignora l’inferenza probatoria derivante dalla pluralità di indizi, ricavati
dalla presenza di comunicazioni telefoniche di identica natura, e dai
comportamenti di collegamento sul territorio riconducibili ad uno schema
comune, che se è vero che hanno condotto solo nell’ultimo caso al sequestro di

una rilevante entità di sostanza stupefacente, proprio per la sovrapponibilità
dell’azione compiuta da ultimo rispetto alle precedenti, e per la mancata
individuazione di una logica ed autonoma chiave di lettura alternativa dei fatti ha
legittimamente condotto a desumere la ripetizione del medesimo modulo
organizzativo, al fine di realizzare lo spaccio di sostanza stupefacente, sul quale,
anche in relazione alle successive cessioni curate da D’Anna nei confronti dei suoi
acquirenti, è intervenuto il giudicato. Rispetto a tali condotte, per la coincidenza
temporale tra acquisizione della sostanza e sua cessione a terzi, deve ritenersi
correttamente dimostrata la presenza di una univoca chiave di lettura dei
contatti posti sotto osservazione.
3.2. La deduzione attinente alla contestazione del mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche risulta inammissibile poiché in luogo che evidenziare
carenze motivazionali o contraddizioni nella valutazione in argomento, si limita
ad individuare ulteriori e diversi elementi di fatto, dai quali si assume possibile
ricavare un’alternativa decisione di merito, la cui valutazione è del tutto estranea
al presente giudizio, ove sul punto può solo verificarsi completezza e congruenza
dell’argomentazione a sostegno della decisione. Né pacificamente il giudice del
merito è tenuto a contrastare ogni indicazione favorevole offerta dalla difesa a
tal fine, ove, individuando nei fatti elementi di segno negativo, ne evidenzi la
rilevanza nel percorso decisionale, dovendo in tal caso ritenersi che i
contrapposti elementi siano stati valutati e ritenuti inidonei a superare la valenza
negativa di quanto valorizzato (per tutte Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 – dep.
23/11/2010, Straface, Rv. 248737).
Peraltro nella specie la Corte risulta aver specificamente fornito motivazione
sull’irrilevanza, in punto di qualificazione di minore gravità del fatto, delle
condizioni di salute di Formoso, poste dalla difesa a sostegno della richiesta di
applicazione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis cod. pen., sicché in argomento
non può neppure in astratto lamentarsi un difetto argomentativo.
Le deduzioni formulate dai ricorrenti sul punto, tendenti ad esporre
contrapposte argomentazioni, non segnalano specifiche contraddizioni della

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4/

pronuncia impugnata, e si limitano nei fatti a sollecitare una nuova, difforme
valutazione di merito, estranea al presente giudizio.
4. Risultano infondati anche i rilievi proposti nell’interesse di Priolo. In
particolare è generica l’affermazione della scarsa significatività della natura delle
comunicazioni intercettate, e della sottesa attività di spaccio, poiché, in senso
opposto a quanto dedotto è intervenuto sul punto l’accertamento della

richiamate nei relativi capi di imputazione; l’osservazione relativa alla natura
autonoma di tale comunicazioni, in quanto correlate ad interessi di natura
familiare, non si confronta da un canto con gli accertamenti definitivi conseguenti
all’annullamento della precedente pronuncia, limitato ai soli episodi associativi,
dall’altro con l’effettivo contenuto delle comunicazioni che danno conto di una
costante direzione, da parte dell’odierno ricorrente, dei suoi familiari nello
svolgimento di un’attività commerciale che si sviluppa nel territorio, per
realizzare la quale vengono disposte consegne, officiando il figlio o il genero,
Arizzi, e rispetto alla cui conclusione si svolgono conteggi e pianificazioni
operative.
Il dato ha permesso l’accertamento della natura illecita delle transazioni
concluse, conducendo all’affermazione di responsabilità per i reati fine.
L’ulteriore argomentazione rimessa alla Corte di merito nella sentenza
oggetto di impugnazione, riguarda l’individuazione di caratteristiche di un’azione
costante, ravvisata sulla base delle modalità esecutive, che prevedeva una
evidente ripartizione dei ruoli tra coordinatore, individuato nell’odierno
ricorrente, ed i suoi parenti, cui veniva attribuita la specifica esecuzione di
consegne, oltre che per l’individuazione della presenza di una cassa comune,
desunta dal contesto delle conversazioni intrattenute da Priolo con suo figlio.
Dal contesto delle comunicazioni la Corte ha tratto gli elementi indicativi
della persistenza di un accordo stabile per lo svolgimento ripetuto di attività
illecita, indicando anche il ruolo verticistico attribuito all’interessato, e quindi
adempiendo all’onere argomentativo in ordine alla individuazione degli elementi
costitutivi del reato associativo in maniera esauriente ed in linea con le
indicazioni contenute nella precedente pronuncia di annullamento, che, secondo
quanto già riportato, non imponeva l’individuazione di specifici elementi di fatto,
ma l’indicazione degli indizi della stabilità dell’accordo, circostanza che esclude la
fondatezza dei rilievi formulati nel ricorso sul punto.
5. Il rigetto del ricorso impone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.

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consumazione dei reati fine, che dà conto della verificazione delle cessioni illecite

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 19/12/2013.

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