Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50713 del 11/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 50713 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Emma Calogero, nato a Pietraperzia il 04/09/1931

Emma Francesco, nato a Enna il 27/07/1957

avverso la sentenza emessa il 02/04/2014 dal Tribunale di Enna

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Calogero e Francesco Emma ricorre avverso la pronuncia
indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa dal Giudice di
pace di Enna, in data 17/10/2012, nei confronti dei suoi assistiti; i giudici di

Data Udienza: 11/05/2015

merito hanno affermato la penale responsabilità degli imputati in ordine a reati di
cui agli artt. 110, 582, 594 e 612 cod. pen., in ipotesi commessi in danno di
Vincenzo Fano, nonché per ulteriori ingiurie e minacce, delle quali si assume
rimase vittima Roberto Rugolo. I fatti si inseriscono in un contesto di tensioni di
rapporti fra vicini: secondo l’accusa, i due imputati (unitamente al minore
Christian Emma) avevano aggredito verbalmente Vincenzo Fano vedendolo
uscire dalla propria abitazione, quindi si erano scagliati contro di lui
strattonandolo e schiaffeggiandolo; a quel punto era intervenuto l’altro vicino

subito le forze dell’ordine, venendo a sua volta minacciato e preso a male parole.
Ad avviso del Tribunale, le deposizioni delle persone offese risultavano lineari e
credibili, oltre ad assurgere a reciproco riscontro; ulteriore conferma a quelle
dichiarazioni proveniva dalla testimonianza di un Ispettore di P.S., che aveva
trovato sul posto tre persone (appunto, gli Emma) e ricordato costoro nell’atto di
inveire all’indirizzo del Fano e del Rugolo.

2. La difesa lamenta:
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché
carenze motivazionali della sentenza impugnata
Secondo la tesi dei ricorrenti, il Tribunale non avrebbe offerto alcun
controllo sulla valutazione delle risultanze probatorie da parte del giudice
di primo grado, limitandosi invece a sposarne le argomentazioni senza
confrontarsi con le specifiche doglianze mosse in sede di motivi di
gravame. In particolare, non avrebbe tenuto conto che – essendosi le
persone offese costituite parti civili – si imponeva una più rigorosa
verifica della loro attendibilità, sino a dover valutare l’opportunità di
cercare riscontri esterni al loro narrato; al contrario, le ricostruzioni del
Fano e del Rugolo sarebbero state apoditticamente ritenute meritevoli di
fede, a fronte delle prove a discarico offerte dagli imputati (volte a
dimostrare la reciprocità delle intemperanze).
Del tutto immotivata risulta poi la dichiarazione di penale responsabilità di
Francesco Emma quanto alle frasi pronunciate all’indirizzo del Fano,
malgrado costui ne avesse indicato l’autore nel solo Calogero Emma;
Francesco, figlio di quest’ultimo, non avrebbe dovuto essere considerato
un concorrente morale, essendosi limitato ad assistere ad una lite fra il
padre ed i vicini, per questioni cui egli era financo estraneo. L’Ispettore
intervenuto aveva peraltro riferito di un diverbio in atto, da ritenere
alimentato dalla condotta di tutti i presenti, tanto che si rese necessario
accompagnare in ospedale anche Calogero Emma

2

Roberto Rugolo, il quale aveva notato la scena e si era premurato di chiamare

inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62, n. 2, cod. pen., e
mancanza di motivazione
Il difensore degli imputati rappresenta che nei motivi di appello era stata
sollecitata la concessione dell’attenuante della provocazione, «fondandola
su specifici ed indicati elementi probatori emersi nel corso
dell’istruzione»; su tale espressa istanza, il Tribunale non si sarebbe in
alcun modo pronunciato. La ravvisabilità della circostanza in argomento,
in particolare, sarebbe stata desumibile dalla condotta delle persone

infondate pretese di carattere civilistico, ricercando la lite», così
determinando la reazione degli Emma
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 594 e 599 cod. pen.
Si legge nel ricorso che l’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato il
carattere di reciprocità delle offese intercorse fra i protagonisti della
vicenda: «non è revocabile in dubbio, infatti, che tra gli oppositori vi fosse
in atto una tensione dovuta a problemi di vicinato, legati al diritto di
veduta esercitato da una delle parti sul fondo di controparte, tensioni che
erano sfociate in una causa civile ed avevano determinato del livore tra le
parti»
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.
I ricorrenti si dolgono della mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche in loro favore.

3. Con atto depositato l’08/05/2015, il difensore della parte civile Vincenzo
Fano ha fatto pervenire una memoria, con la quale – ricostruite le scansioni del
processo in esame e richiamato il contenuto essenziale delle due decisioni di
merito – viene sollecitato il rigetto del ricorso degli imputati. La difesa di parte
civile fa osservare che «sia il giudice di prime cure, sia il giudice dell’appello
hanno rilevato che le dichiarazioni di entrambe le persone offese sono
assolutamente convergenti e non lasciano margini di dubbio su una possibile
ricostruzione alternativa dei fatti per cui è processo, ed esse non sono le sole
comprovanti la responsabilità degli imputati […], ma convergono nello stesso
senso anche le deposizioni rese da altro teste escusso, l’Ispettore Lambritto, che
ha fornito ulteriori elementi precisi e concordanti con la tesi sostenuta in giudizio
dall’accusa». Nella memoria si ribadisce che le dichiarazioni del Fano e del
Rugolo sono state considerate logiche, coerenti e prive di contraddizioni, e si
sostiene che non vi sarebbero emergenze istruttorie di sorta a riscontro della tesi
degli Emma (secondo cui si sarebbe trattato di un’aggressione reciproca).

offese «che, con petulanze e continue provocazioni, rivendicavano le loro

Il patrocinatore della parte civile allega al proprio scritto una notula
attestante le spese sostenute nel grado, delle quali chiede la rifusione a carico
dei ricorrenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile, per manifesta infondatezza dei

Innanzi tutto, è pacificamente condiviso nella giurisprudenza di legittimità il
principio secondo cui «le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc.
pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto
a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Cass.,
Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv 253214). Il massimo organo di
nomofilachia ha quindi precisato che – nel caso in cui la persona offesa si sia
costituita parte civile – può essere opportuno che le sue dichiarazioni vengano
riscontrate da altri elementi.
Ne deriva che non vi è l’indefettibile necessità di rinvenire riscontri esterni
agli assunti del soggetto passivo del reato, intendendosi rimessa al giudice di
merito la valutazione sull’opportunità che il narrato di costui abbisogni di
elementi di conferma: e ciò, del tutto ragionevolmente, accade nel momento in
cui le dichiarazioni della persona offesa presentino caratteri di non linearità,
ovvero la stessa persona offesa risulti protagonista di un pregresso contenzioso
con il destinatario delle sue accuse.
Nel caso in esame, neppure gli imputati appaiono in grado di evidenziare
discrasie nel racconto del Fano o del Rugolo; essi sottolineano invece la
situazione di conflittualità sottesa agli eventi

de quibus,

a causa di un

contenzioso civile che avrebbe visto contrapposti gli Emma ed il suddetto Fano.
Tuttavia, a quella controversia il Rugolo era del tutto estraneo, e non si vede
perché il suo racconto dovrebbe intendersi viziato da ragioni di prevenzione:
tant’è che, nei motivi di appello a suo tempo presentati avverso la decisione di
primo grado, il difensore di Calogero Emma definì il Rugolo «anchesso ostile nei
confronti della famiglia Emma per motivi di vicinato», in termini del tutto generici
(non a caso, non ribaditi all’atto del ricorso oggi in esame), salvo dover prendere
atto che lo stesso Rugolo, con condotta irreprensibile e niente affatto indicativa

motivi di doglianza.

della volontà di prendere le parti di chicchessia, «chiamava la Polizia affinché
intervenisse a calmare gli animi dei litiganti».
Neppure può sostenersi, come continuano invece a rappresentare i
ricorrenti, che il Rugolo descrisse un contesto di lite generalizzata, di
«scambievolezza della contesa» (così, ancora, l’atto di appello sopra ricordato) o
di offese che avrebbero avuto «il carattere della reciprocità» (v. il terzo motivo di
ricorso): come correttamente segnalato a pag. 6 della sentenza oggi impugnata,
«vero è che il Rugolo nella sua dichiarazione parla di un litigio, ma la difesa

schiaffeggiare e spintonare il Fano, non fornendo elemento alcuno che potesse
fare anche lontanamente intendere ad una “scambievolezza della contesa”». Un
contesto, quindi, pienamente coerente con il quadro descritto dall’ulteriore
testimone in posizione di terzietà, vale a dire l’ufficiale di p.g., dinanzi al quale
furono soltanto gli Emma ad inveire contro le parti civili, senza che queste ultime
(o, quanto meno, il Fano) assumessero un atteggiamento corrispondente. In
seguito, sempre a dire dell’Ispettore Lambritto, anche Calogero Emma venne
sottoposto alle cure dei sanitari del Pronto Soccorso, ma solo in quanto persona
cardiopatica.
In definitiva, le dichiarazioni delle persone offese furono tali da non
richiedere riscontri, ma – non di meno – ne ebbero. Nel contempo, non può
riconoscersi alcuno spessore alla tesi difensiva della provocazione: oltre alle
ragioni appena segnalate, immediatamente correlate alla dinamica dei fatti come
percepita dal Rugolo, deve rilevarsi che l’esistenza di uno stato di tensione sul
riconoscimento del diritto di veduta o su altre questioni di vicinato, per di più
oggetto di accertamenti giudiziali in corso, non poteva certo fondare un “fatto
ingiusto” ex artt. 62, n. 2, o 599 cod. pen.
Altrettanto inconsistente, e già confutata dal Tribunale, risulta la doglianza
relativa al ruolo assunto da Francesco Emma: il fatto stesso che tutti e tre gli
autori dell’aggressione fisica (i due imputati ed il minore Christian) si scagliarono
all’unisono contro il Fano nel medesimo contesto in cui Calogero Emma ricorse
ad offese e minacce verbali, ed anzi subito dopo che il loro congiunto aveva
pronunciato quelle frasi in loro presenza, dimostra la partecipazione – anche di Francesco Emma all’intero svolgersi della condotta. La circostanza che, alle
parole di Calogero Emma, fossero presenti anche il figlio ed il nipote,
immediatamente disposti a passare a vie di fatto, rese ancora più evidente per il
Fano la carica di denigrazione e di intimidazione portata dalle espressioni
percepite.
Infine, è di assoluta evidenza la genericità della censura in ordine alla
presunta violazione dell’art.

62-bis cod. pen., non risultando in alcun modo

5

omette di considerare che lo stesso specifica di avere visto gli Emma

illustrate le ragioni per cui gli imputati avrebbero meritato la concessione delle
circostanze attenuanti generiche.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla loro volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,

Gli imputati debbono altresì essere condannati a rifondere alla parte civile
che ha rassegnato conclusioni (il solo Vincenzo Fano) le spese sostenute nel
presente giudizio di legittimità; il collegio reputa conforme a giustizia liquidare
dette spese nella misura di cui al dispositivo, anche tenendo presente la
circostanza che la richiesta di liquidazione risulta essere stata depositata in
Cancelleria, senza la diretta partecipazione all’udienza del difensore del Fano.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi. e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, oltre al rimborso, in solido, delle spese sostenute dalla parte civile,
che liquida in complessivi euro 1.000,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso 1’11/05/2015.

così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

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