Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50713 del 07/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50713 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PAGLIARICCI JOSHUA N. IL 10/02/1985
AVARO MARTIN N. IL 24/03/1980
avverso la sentenza n. 2295/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
25/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 07/11/2013

R. G. 11223 / 2013

Con sentenza del 25.9.2012 la Corte di Appello di Roma ha parzialmente confermato in punto di
responsabilità la sentenza del locale Tribunale, che ha dichiarato Martin Avaro e Joshua Pagliaricci
colpevoli dei reati, avvinti da continuazione, di concorso in resistenza e lesioni volontarie plurime a p.u.
(atti di ripetuta violenza contro le forze dell’ordine nel corso di una manifestazione politica non autorizzata
avvenuta il 18.6.2005, all’esito della quale più agenti di polizia riportavano lesioni). La Corte distrettuale ha
prosciolto gli imputati dal concorso morale nelle lesioni a p.u. non costituenti frutto di loro specifiche e
personali condotte lesive e, per l’effetto, ha ridotto le pene inflitte, con le già concesse attenuanti generiche
stimate equivalenti alle aggravanti e la già riconosciuta sospensione condizionale, a nove mesi di reclusione
per Pagliaricci e ad un anno e tre mesi di reclusione per Avaro (per la sua più intensa azione offensiva).
La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dal difensore dei due imputati, che ha
dedotto vizi di violazione di legge e difetto e illogicità della motivazione: a) quanto al Pagliaricci, per
elusione del principio di correlazione ex art. 521 c.p.p. con riguardo al reato di lesione personale a p.u.,
essendo stato condannato per un fatto (violenza nei confronti dell’agente Panzino) estraneo all’originaria
accusa (concorso morale in lesioni da cui è stato assolto) e, per altro, non supportato da un referto medico
asseverante le lesioni patite dal Panzino (gli atti contro costui compiuti potendo, al più, considerarsi
assorbiti nel reato di resistenza); b) quanto all’Avaro, per l’incongrua maggior pena comminatagli in
violazione dei criteri dettati dall’art. 133 c.p., vuoi perché le pendenze giudiziarie valorizzate dalla Corte di
Appello non si sono tradotte -alla data della pronuncia della decisione- in eventuali condanne (sì che lo
stesso è tuttora incensurato), vuoi perché anche Avaro ha riportato lesioni nella manifestazione, evenienza
che illogicamente la sentenza ha giudicato sintomatica della maggiore aggressività dispiegata dall’imputato.
I ricorsi sono inammissibili per indeducibilità e/o manifesta infondatezza delle rispettive censure.
Nessuna violazione del diritto di difesa del Pagliaricci è in concreto avvenuta nel giudizio di appello
in rapporto alla pretesa disapplicazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., atteso che il fatto lesivo in danno
dell’agente Panzino è stato specificamente menzionato in imputazione sebbene sub art. 337 c.p., quale
peculiare espressione della materiale condotta illecita del prevenuto. Né la circostanza che le lesioni non
siano state refertate assume valore dirimente per le ragioni linearmente enunciate dalla sentenza di appello,
che ha rilevato come il poliziotto (che ha senza incertezze individuato nel Pagliaricci uno dei manifestanti
che lo ha aggredito, colpendolo con calci e pugni e con un tubo di plastica) abbia oggettivamente subito
effetti lesivi, non refertati unicamente perché il Panzini non ha creduto di recarsi in ospedale.
Il trattamento sanzionatorio applicato al coimputato Avaro si sottrae a scrutinio di legittimità,
risultando sorretto da idonea e non illogica motivazione che, nel rispetto dei criteri fissati dall’art. 133 c.p.,
ha tenuto conto della personalità dell’imputato e delle connotazioni della sua globale condotta offensiva.
A tali osservazioni non fanno velo i rilievi critici espressi nella memoria depositata (18.10.2013) dal
difensore dei ricorrenti, con cui si rivendica l’ammissibilità delle impugnazioni, richiamando i profili di
stretto diritto che le caratterizzerebbero. Profili che, tuttavia, reintroducono al pari dei ricorsi originari
prospettive di rilettura meramente fattuale delle fonti di prova estranee all’odierna sede giudicante.
Considerate le sospensioni ex lege verificatesi nel giudizio di primo grado i reati ascritti ai ricorrenti
non risultano attinti da causa estintiva sopravvenuta alla sentenza di appello. In ogni caso la genetica
inammissibilità dei ricorsi, impedendo l’instaurarsi di validi rapporti impugnatori, precluderebbe la
possibilità di rilevare di ufficio la prescrizione (Cass. S.U., 22.11.2000 n. 32, De Luca, rv. 217266; Cass.
S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164; Cass. Sez. 3, 8.10.2009 n. 42839, Imperato, rv. 244999).
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali
e al versamento dell’equa somma di euro 1.000,00 (mille) pro capite alla cassa delle ammende.

P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Roma, 7 novembre 20 3

Motivi della decisione

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