Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50710 del 07/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50710 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VENTURELLA ORAZIO N. IL 16/08/1960
avverso la sentenza n. 383/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del
16/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 07/11/2013

R. G. 11179/2013

Con l’indicata sentenza la Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza resa dal
locale Tribunale con cui, all’esito di giudizio abbreviato, Orazio Venturella è stato condannato
alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di evasione dal regime esecutivo penale della
detenzione domiciliare ex artt. 47 ter co. 8 O.P. e 385 co. 3 c.p.
Il difensore dell’imputato ha impugnato per cassazione la sentenza di appello, deducendo
erronea applicazione dell’art. 385 co. 3 c.p. in rel. art. 47 ter co. 8 O.P. e difetto o insufficienza della
motivazione, si che risultano violati i canoni probatori dettati dall’art. 192 c.p.p. In vero: i) il
Venturella, invalido in misura dell’85 %, già in passato autorizzato a recarsi dal medico e a
deambulare per ragioni terapeutiche, aveva preavvertito il 113, segnalando che stava recandosi dal
suo medico curante, contegno che certo non avrebbe tenuto se mosso da reale intenzione di
evadere; 2) nel detto contegno è comunque ravvisabile l’esimente putativa di cui all’art. 59 Co. 4
c.p. (in rel. art. 54 c.p.), avendo egli agito nella convinzione, seppure erronea, di poter uscire di casa
per salvaguardare la propria salute e tale erronea convinzione esclude il dolo del reato.
Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi di censura
nonché per loro genericità, agli stessi avendo dato adeguata risposta, conforme alla giurisprudenza
di legittimità, la Corte territoriale. I giudici del gravame hanno rilevato, infatti, che la telefonata al
113 effettuata dal Venturella suffraga la sua volontà elusiva della misura esecutiva domestica, dal
momento che l’operatore del 113 lo ha invitato a segnalare la sua esigenza sanitaria alla Divisione
Anticrimine e a chiamare, in caso di improcrastinabili ragioni sanitarie, il n8. Condotta che
l’imputato si è guardato dall’osservare. Per altro, ha ancora rilevato la Corte di Appello, il
Venturella non si è neppure peritato di chiamare o avvertire il proprio medico della sua intenzione
di essere sottoposto a controllo sanitario. Di tal che nella vicenda non è ravvisabile alcuna
situazione scriminante riconducibile nell’area dello stato di necessità reale o supposto.
In proposito è appena il caso di osservare che la misura detentiva domiciliare è misura
coercitiva equiparata ad ogni effetto alla custodia in carcere, che -in ragione di un meno stringente
quadro di esigenze socialpreventive- il condannato è ammesso a sopportare in luogo diverso dal
carcere, cioè nella propria abitazione. Sicché i limiti, di natura spaziale, motoria e relazionale,
imposti con la custodia in carcere allo status libertatis del soggetto sono interamente riprodotti
nella cautela domestica. La struttura normativa della condotta sanzionata dalla norma
incriminatrice è realizzata da qualsiasi forma di sottrazione o elusione rispetto alla misura
domestica ed al suo stretto ambito spaziale di rigorosa interpretazione, senza necessità alcuna di
ulteriori evenienze fattuali. Il reato è perfezionato dal semplice volontario e consapevole
allontanamento dalla sede esecutiva domiciliare, pur se le motivazioni dell’agire non si traducano
nella decisione di sottrarsi in via definitiva alla misura domestica (Cass. Sez. 6, 22.2.1999 n. 3948,
Fiore, rv. 213887). Il reato di evasione è caratterizzato da dolo generico, essendo sufficiente che la
condotta di uscita (id est evasione) dell’imputato o condannato dallo stretto ambito del domicilio
sia sorretta da consapevolezza di fruire di una libertà di movimento che gli sarebbe preclusa (ove
versasse in regime carcerario) dalla corretta esecuzione della misura domiciliare.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese
processuali e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si ritiene conforme a
giustizia determinare in euro 1.000,00 (mille).
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 7 novembe 2013

Motivi della decisione

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