Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 507 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 507 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARTUCCI MASSIMO N. IL 13/07/1977
avverso l’ordinanza n. 167/2014 GIP TRIBUNALE di NAPOLI, del
05/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
ts,
lette/s~ite le conclusioni del PG Dott. 5A), 4ie
c.P.ké Rg2, el2d0-7M

diek

Uditi difenso Avv.;

Data Udienza: 17/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 5 giugno 2014 il G.I.P. del Tribunale di Napoli,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza, proposta dal
condannato Massimo Martucci volta ad ottenere la rettifica dell’errore materiale,
contenuto nella sentenza emessa dallo stesso Giudice in data 15 luglio 2011,
escludendo che nel calcolo dell’aumento stabilito per i reati satellite, unificati a

discrezionale da contestare mediante proposizione dell’impugnazione.
2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per avere
il Tribunale di Napoli tralasciato o mal interpretato il principio di diritto espresso
nella sentenza della Suprema Corte nr. 831 del 16 maggio 2012; nel caso di specie,
infatti, l’errore compiuto dal giudice di merito era consistito in un procedimento non
corretto di computo della pena per il reato, separatamente giudicato con sentenza
n. 3612/2008 della Corte di Appello di Napoli, avvenuto in contrasto con
l’indicazione, rinvenibile nella sentenza da emendare, della pena di un mese di
reclusione per ciascun reato satellite, mentre per quello oggetto della sentenza
distinta l’aumento era stato pari a due anni ed otto mesi di reclusione. In tal modo
la pena inflitta è stata calcolata in modo errato ed è illegale quindi modificabile da
parte del giudice dell’esecuzione sulla base di un’istanza che non ha censurato il
criterio seguito, quanto piuttosto il calcolo operato.
3.Con requisitoria scritta, depositata il 16 aprile 2015 il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, dr. Sante Spinaci, ha chiesto il rigetto del ricorso
perché infondato.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento.
1.Va premesso un rilievo preliminare; il ricorso censura la decisione
impugnata, richiamando il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con
la sentenza nr. 3612 del 2008, ma omette di articolare in modo chiaro ed
inequivoco per quale motivo, fra quelli tassativamente previsti dall’art. 606 cod.
proc. pen., comma 1, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
1.1 II provvedimento ha per contro chiaramente esposto le ragioni per le quali
ha escluso di poter ravvisare il segnalato errore di calcolo nella pena inflitta con la
sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato; ha specificato che l’indicazione
della pena di un mese di reclusione per ciascuno dei reati unificati per
continuazione era riferita esclusivamente ai sessantatre episodi di spaccio

quello più grave, fosse ravvisabile un errore, quanto una determinazione

stupefacenti contestati nel procedimento quali reati fine dell’associazione a
delinquere alla quale il ricorrente era stato accertato avere preso parte, mentre il
medesimo criterio non era stato applicato per il reato oggetto di separato
procedimento, anch’esso unificato per continuazione, per il quale la sanzione era
stata autonomamente determinata in anni due e mesi otto di reclusione. In tal
modo ha chiarito, ripercorrendone tutti i passaggi, il procedimento di computo
seguito della sentenza di condanna ed escluso la ravvisabilità di alcun errore

1.2 Ebbene, ad avviso di questa Corte le censure mosse dal ricorrente non
colgono nel segno, dal momento che l’ordinanza in verifica ha chiarito con
compiutezza argomentativa e pertinenti riferimenti ai passaggi motivazionali della
sentenza da correggere i diversi criteri di commisurazione della pena, adottati nel
titolo esecutivo per i reati satellite, unificati con quello associativo, ritenuto di
maggiore gravità; ha dunque esplicitato le ragioni della ritenuta esclusione
dell’illegalità della pena inflitta, negando motivatamente l’errore di computo. Ed in
effetti non è dato rinvenire tale situazione: con la sentenza di condanna il giudice
della cognizione ha semplicemente fatto ricorso a due criteri di determinazione del
“quantum” di pena da applicare per gli episodi compresi nell’unico reato continuato:
ha individuato in un mese di reclusione la congrua punizione delle singole violazioni
di cui all’art. 73, contestate in quel procedimento, ed in due anni e otto mesi, pena
inferiore a quella già irrogata nel separato procedimento per l’ulteriore episodio di
spaccio. Nulla quindi indica che, per una mera svista o per errore aritmetico, la
sommatoria dei singoli aumenti di pena abbia esitato un risultato difforme da quello
che i criteri giustificativi esposti o quelli legali, riferibili alla fattispecie, avrebbero
dovuto comportare e quindi che l’illegalità della pena finale complessiva dipenda da
un computo erroneo, quanto piuttosto da una diversa modulazione della risposta
punitiva, frutto di scelte discrezionali del giudice di cognizione, che avrebbero
dovuto essere contrastate con la proposizione del rimedio impugnatorio appropriato
previsto dall’ordinamento.
E’ dunque fondato il rilievo della diversità della situazione denunciata con
l’incidente di esecuzione rispetto a quella oggetto della pronuncia di legittimità
citata dal ricorrente, più propriamente identificabile in Cass., sez. 4, n. 26117 del
16/5/2012, Toma, rv. 253562, nella quale effettivamente la pena inflitta era
superiore a quella legalmente spettante sulla base del procedimento di
determinazione esposto nella stessa sentenza in conseguenza dell’applicazione della
diminuente per il rito abbreviato in misura inferiore a quanto stabilito dal
legislatore, pari ad un terzo.
1.3 Si ricorda che, come affermato da questa Corte, l’intervento modificativo
del giudice dell’esecuzione sul giudicato è giustificato nei soli casi il titolo esecutivo
2

materiale suscettibile di emenda in sede esecutiva.

contenga la comminazione di pena diversa per specie o quantità rispetto a quella
già stabilita in via generale dell’ordinamento giuridico, dato che il principio di
legalità della pena, enunciato dall’art. 1 cod. pen. ed implicitamente dall’art. 25
Cost., comma 2, informa di sè tutto il sistema penale e non può ritenersi operante
solo in sede di cognizione. Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per
le pene pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di
legge, anche se inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione ordinaria,

S.U., n. 42858 del 29/5/2014, Gatto, rv. 260697). E’ però pena illegale soltanto
quella indicata in riferimento al reato per il quale è stata pronunciata condanna nel
dispositivo della sentenza, mentre non può essere riconsiderato in sede esecutiva il
calcolo attraverso il quale il giudice è pervenuto a determinare la pena, ad
eccezione dei casi in cui esso sia frutto di un errore macroscopico e non di una
qualche valutazione sul punto da parte del giudicante, seppur giuridicamente non
condivisibile (Cass. sez. 1, n. 12453 del 3/3/2009, Pg. in proc. Alfieri, rv. 243742;
sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, Medulla, Rv. 259733; sez. 1, n. 38712 del
23/01/2013; Villirillo, rv. 256879) essendo detto calcolo modificabile solo
attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza.
Per le considerazioni esposte il ricorso va respinto con la conseguente
condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2015.

possa avere esecuzione, essendo avulsa da una pretesa punitiva dello Stato (Cass.

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