Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50698 del 07/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50698 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
HELD GISAINO N. IL 30/08/1988
avverso la sentenza n. 72/2013 TRIBUNALE di TRENTO, del
18/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 07/11/2013

R. G. 10882 / 2013
Con l’indicata sentenza il Tribunale di Trento, su richiesta dell’imputato assentita dal p.m.,
ha applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. a Gisaino Held -disapplicata la contestata recidiva e
riconosciutegli le attenuanti generiche- la pena di sei mesi di reclusione per il reato di evasione dal
regime esecutivo penale della detenzione domiciliare ex artt. 47 ter co. 8 O.P. e 385 co. 3 c.p.
Il difensore dell’imputato impugna per cassazione la sentenza, deducendo erronea
applicazione dell’art. 385 co. 3 c.p. in rel. art. 47 ter co. 8 O.P. e difetto o insufficienza della
motivazione, sì che risultano violati i canoni probatori dettati dall’art. 192 c.p.p. Incongruamente il
Tribunale non ha inscritto il fatto nella disciplina di cui all’art. 30 co. 3 O.P. quale mera violazione
delle prescrizioni connesse alla esecuzione detentiva domestica (ritornato a casa entro 12 ore dal
termine in cui era autorizzato ad allontanarsi).
Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei motivi di censura,
incompatibili con il rito alternativo ex art. 444 c.p.p. prescelto dall’imputato, tale da precludere
temi che investano profili di colpevolezza o eventuali nullità relative del giudizio, ed altresì
distonici rispetto alle norme incriminatrici dell’evasione dalla custodia domiciliare (cautelare o
esecutiva) e rispetto ai caratteri di tale custodia.
Quanto alla supposta mancata applicazione dell’art. 47 sexies O.P. e alla generica eccezione
di illegittimità costituzionale sollevata con il ricorso, è appena il caso di osservare che la misura
detentiva domiciliare è misura coercitiva equiparata ad ogni effetto alla custodia in carcere, che -in
ragione di un meno stringente quadro di esigenze socialpreventive- il condannato è ammesso a
sopportare in luogo diverso dal carcere, cioè nella propria abitazione. Sicché i limiti, di natura
spaziale, motoria e relazionale, imposti con la custodia in carcere allo status libertatis del soggetto
sono interamente riprodotti nella cautela domestica. La struttura normativa della condotta
sanzionata dalla norma incriminatrice è realizzata da qualsiasi forma di sottrazione o elusione
rispetto alla misura domestica ed al suo stretto ambito spaziale di rigorosa interpretazione, senza
necessità alcuna di ulteriori evenienze fattuali. Il reato è perfezionato dal semplice volontario e
consapevole allontanamento dalla sede esecutiva domiciliare, pur se le motivazioni dell’agire non si
traducano nella decisione di sottrarsi in via definitiva alla misura domestica (Cass. Sez. 6,
22.2.1999 n. 3948, Fiore, rv. 213887). Il reato di evasione è caratterizzato da dolo generico, essendo
sufficiente che la condotta di uscita (id est evasione) dell’imputato o condannato dallo stretto
ambito del domicilio sia sorretta da consapevolezza di fruire di una libertà di movimento che gli
sarebbe preclusa (ove versasse in regime carcerario) dalla corretta esecuzione della misura
domiciliare. Con l’ovvia conseguenza che il fatto di allontanarsi dal domicilio o di non rientrarvi in
orario giammai può equipararsi a mera violazione delle prescrizioni attinenti agli obblighi imposti
con la misura domestica (cautelare o esecutiva) con effetti escludenti il reato di evasione, perché la
permanenza del soggetto nello stretto ambito domiciliare rappresenta per definizione l’obbligo
essenziale del sottoposto alla misura e non un’ imposizione accessoria (Cass. Sez. 4, 3.6.1997 n.
1554, P.M. in proc. Cuoco, rv. 207924; Cass. Sez. 7, 3.2.2011 n. 8604, Bartone, rv. 249649).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese
processuali e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si ritiene conforme a
giustizia determinare in euro 1.500,00 (millecinquecento).
P • Q•

M•

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.
Roma, 7 novembre 2013

Motivi della decisione

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