Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5068 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5068 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Liko Dane, nato a Fier (Albania) il 23/04/1982
2. Arben Gishto, nato a Fier (Albania) il 28/08/1963
3. Klodian Kacaku, nato ad Elbasan (Albania) il 02/01/1984
4.

Nebojsa Krstick, nato a Skopie (Macedonia) il 26/02/1963

5. Alket Manahasa, nato a in Albania il 29/12/1977
6. Gjergij Mato, nato ad Elbasan (Albania) 1’08/11/1981
7. Ilir Oshafi, nato a Gjinavec Peshkopi (Albania) il 01/05/1971
8. Eduard Zenelli, nato ad Elbasan (Albania) il 31/12/1975
avverso la sentenza del 06/12/2012 della Corte d’appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Vito D’Ambrosio,
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di Gjergij
Mato e di Eduard Zenelli e la dichiarazione di inammissibilità degli ulteriori
ricorsi;
uditi l’avv.Daniele Sussman detto Steinberg per Liko Dane e l’avv. Antonio Foti
per Alket Manahasa, i quali si sono riportati ai rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Torino con sentenza del 06/12/2012, in parziale
riforma della pronuncia del Gup del Tribunale di quella città, esclusa la ricorrenza
della fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 contestata nei
confronti di alcuni degli odierni ricorrenti, ha confermato l’affermazione di

Data Udienza: 18/12/2013

responsabilità per gli specifici episodi di detenzione o spaccio di sostanza
stupefacente, rispettivamente ascritti agli imputati, rideterminando le pene loro
inflitte.
L’accertamento era sorto a seguito di alcune intercettazioni telefoniche
disposte in diverso procedimento, che avevano portato a verificare la presenza di
un vasto traffico di sostanza stupefacente nel territorio italiano, sostanza che

successivamente importata dall’Olanda per essere smerciata nel nostro territorio
da alcuni connazionali degli odierni ricorrenti. Le conversazioni avevano
consentito di accertare la presenza di ulteriori ramificazioni del traffico, verificato
nella sua effettiva consistenza grazie a numerosi arresti, che conducevano al
rinvenimento dello stupefacente, a conferma dell’oggetto delle conversazioni
captate. Seguendo l’attività di due dei concorrenti, tali Beni Grecia e Beni
d’Olanda, si verificava il contatto i due e l’odierno ricorrente Arben Gishto, il
quale, dopo aver preso contatti con il corriere solitamente utilizzato dai due Beni,
veniva sorpreso in possesso di eroina e cocaina e sottoposto a misura coercitiva.
Attraverso la continuazione dell’attività di captazione si individuavano le
ramificazioni dell’illecito commercio; ciò conduceva all’iscrizione degli indagati
nel registro sulla base della loro identificazione, avvenuta o per l’uso del nome, o
per il richiamo nel corso dei colloqui ad avvenimenti personali, a conoscenza
della p.g., o per l’attivazione di servizi di osservazione e controllo, o per il diretto
riconoscimento della voce, eseguito dagli operanti.
A seguito di tali accertamenti si procedeva anche ad una serie di arresti,
nel corso dello svolgimento delle operazioni controllate, seguite da ulteriori
ordinanze di custodia cautelare emesse al termine delle indagini.
2.1. Nei confronti di Like Dane la Corte d’appello ha confermato la
responsabilità per le fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309
rubricate ai capi 15), 18), 20), 21), 23), unificati ex art. 81 cod. pen.
rideterminando la pena in anni otto di reclusione ed C 50.000 di multa.
Con un primo motivo di ricorso la difesa rileva violazione di legge, con
riferimento alla valutazione indiziaria, e vizio di motivazione, quanto
all’accertamento di responsabilità, nonché nullità della sentenza in relazione alle
ipotesi di resto di cui capi 20), 21) e 23) per mancanza di prove della
consumazione del reato, specificando che la contestazione non coinvolge le
azioni rubricate ai capi 15) e 18) che risultano commesse in concorso con
Manahasa il quale, ammettendo la sua responsabilità, aveva riconosciuto nel
ricorrente il concorrente nel reato.

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veniva acquisita inizialmente grazie a contatti con persona di origine araba,

Si assume che su tale presupposto la Corte abbia provveduto ad
identificare per tutte le ulteriori accuse la persona che si qualificava Bledi,
entrata in contatto con Manahasa nelle due occasioni richiamate, con
argomentazione probatoria non corretta, ed apparente, non essendovi negli altri
casi la conferma dell’identificazione, nei termini richiamati, considerato che il
nomignolo usato non poteva ritenersi indicativo anche per gli altri casi, in quanto

diverse a cui era riconducibile quel nominativo.
In proposito, con riferimento al capo 20) la difesa ha osservato che il
Bledi captato nelle conversazioni che avevano dato causa all’imputazione, non
era riconducibile al ricorrente, per la diversità della voce, e tuttavia la Corte non
si era confrontata con tale rilievo, concludendo con l’individuazione generalizzata
richiamata.
In relazione al capo 21) la difesa ha depositato una consulenza di parte
sulla voce del Bledi conversante, che esclude la sua identificabilità con il
ricorrente, e la Corte ha concluso per l’inaffidabilità della consulenza, le cui
risultanze per converso, non erano mai state poste in dubbio nel primo giudizio.
Si esclude che per gli ulteriori episodi contestati ai capi 20), 21) e 23)
emerga dagli atti qualsiasi prova del collegamento di Dane con Brignolo, autore
di numerosi viaggi in Olanda, elementi tutti già segnalati nel gravame di merito,
che non hanno ottenuto risposta nella sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione della decisione, nella parte in cui si è esclusa l’applicazione delle
attenuanti generiche, malgrado l’incensuratezza, limitandosi a valutare la portata
negativa dello stato di latitanza, per converso ignorando l’analisi degli ulteriori
elementi favorevoli, quali il mancato esercizio di violenza nella condotta
realizzata, e la sottoposizione al processo.
3. Nell’interesse di Arben Gistho, condannato alla pena di anni sette di
reclusione ed C 36.000 di multa per i reati di cui ai capi 6), 7), 9), 10), 11), la
difesa ha eccepito nel ricorso la nullità della sentenza per carenza e vizio logico
di motivazione, e violazione del divieto di bis in idem.
Si lamenta in particolare la mancata analisi dell’eccezione svolta, con
riferimento all’impossibilità di distinguere gli episodi oggetto del presente
giudizio da quelli già giudicati con sentenza definitiva, di cui si assume identità,
aspetto sul quale la Corte di merito non ha fornito alcuna argomentazione a
sostegno della decisione di rigetto.
Si contesta la determinazione di escludere il contenimento dell’aumento di
pena per la continuazione, oltre che l’accertamento di responsabilità per i reati di
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dal complesso delle intercettazioni risultava la presenza di cinque persone

cui ai capi 10) e 11), intervenuto sulla base di presunzioni, deducendo sul punto
vizio di motivazione.
4.1. Klodian Kacaku è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo
24) e condannato in primo grado alla pena di anni due, mesi dieci e giorni venti l’uotA 4:4L.,
ed C 14.000 di multa, decisione confermata in appello.
La difesa nel suo ricorso deduce

vizio di motivazione riguardante

l’accertamento di responsabilità, fondato sulla ricostruzione dell’attività come

monitorata dai controlli e svolta dall’interessato nell’occasione del suo arrivo a
Milano, che risulta verificata sulla base di quanto già esposto dal giudice di primo
grado, e posto in dubbio in atto di appello con argomentazioni di cui risulta
omessa la considerazione. In particolare, contrariamente a quanto si ritiene
verificato nella sentenza impugnata, si esclude che risulti con certezza che il
ricorrente sia immediatamente ritornato a Torino dopo l’incontro monitorato, in
quanto questi non risulta sottoposto a controllo.
L’accertamento in tal senso è stato operato dal giudice di primo grado
sulla base di una considerazione deduttiva, contestata dalla difesa in atto di
appello, che il giudice di secondo grado ha omesso di valutare, incorrendo nel
vizio lamentato.
4.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alla decisione di escludere l’ attenuante di cui all’art.
73 comma 5 d.P.R. in esame, di cui era stata invocata nel grado di merito
l’applicazione, malgrado la minima partecipazione al fatto dell’imputato, che si
era limitato a trasportare la sostanza stupefacente per pochi minuti.
4.3. Con ulteriore motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento
alla decisione di escludere il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114
cod. pen. malgrado la minima partecipazione al fatto, secondo quanto già
esposto per illustrare il precedente motivo di ricorso, che attestano la marginalità
ed occasionalità della partecipazione al reato dal parte dell’interessato.
5.1.1. Nei confronti di Krstik Nebojsa è stata affermata la responsabilità
per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 contestato ai capi 27)
limitatamente alla condotta di importazione di 6 kg di coca il 7/6/2007 ed alla
cessione di parte di essa, 30) e 31); per l’effetto la sentenza impugnata ha
rideterminato la pena nei suoi confronti in anni sei e mesi sei di reclusione ed C
38.000 di multa.
Nel ricorso proposto nel suo interesse dall’avv. Enrico Fontana si
eccepisce con il primo motivo violazione di norma processuale di cui all’art. 521
cod. proc. pen., assumendo che l’affermazione di responsabilità ha riguardato
anche alla pretesa cessione di kg 3 di sostanza stupefacente in favore di Jolldashi
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Bellar, non contenuta nel capo di imputazione 27), in relazione alla quale si è
quindi verificata nullità assoluta, ai sensi dell’art. 178 lett. b) cod. proc. pen.,
risultando mancante sul punto l’esercizio dell’azione penale.
5.1.2. In relazione alla medesima imputazione si deduce con il secondo
motivo contraddittorietà della motivazione in rapporto al contenuto della
trascrizione integrale dell’intercettazione che ha costituito la base probatoria per

secondo l’affermazione contenuta in sentenza, l’imputazione di cui al capo 27)
comprende l’importazione, in concorso con terzo, di 6 kg di cocaina e la cessione
il giorno successivo in favore di Jolldashi di quattro panetti di tale sostanza, pari
alla metà dell’intero, si richiama da un canto l’evanescenza del dato sulla base
del quale si è ritenuto il concorso con tale Elezi, che aveva consentito il rapporto
di conoscenza con Jolldashi, fondato esclusivamente sull’identificazione delle
celle attivate dal telefono cellulare di quest’ultimo, analizzando poi l’estrema
genericità del contenuto della conversazione utilizzata dalla Corte di merito per
fondare la tesi dell’avvenuta consegna dei 3 kg di sostanza stupefacente.
In conseguenza di tale genericità si ritiene privata di sostegno la
ricostruzione in forza della quale si riteneva corretto identificare il termine
“bancali”, utilizzato in una precedente conversazione, con i panetti di sostanza
stupefacente, che risulta avvalorata solo dalla coincidenza tra il numero degli
oggetti cui si è fatto riferimento nella conversazione, ed il numero dei chili di
sostanza stupefacente rinvenuti nel corso dell’arresto di Jolldashi, coincidenza a
seguito della quale la cui mancata verifica effettiva del bene causa del contatto
faceva venir meno anche il fondamento dell’ipotesi di accusa relativa
all’importazione.
La ricostruzione in fatto operato dalla Corte territoriale risulta smentita,
secondo la difesa, da ulteriori conversazioni, dalle quali si poteva ricavare che la
persona che avrebbe dovuto prendere in carico la sostanza stupefacente non era
ancora giunta nel luogo ove l’attività doveva essere svolta, così ponendo in crisi
la premessa interpretativa sulla quale era fondato l’accertamento di
responsabilità dell’interessato.
5.1.3. Con ulteriore motivo si deduce contraddittorietà e carenza della
motivazione, con riferimento all’esclusione del riconoscimento dell’attenuante del
fatto di lieve entità, fondata sul presupposto della non univocità della chiave di
lettura della conversazione valorizzata per l’accertamento di responsabilità che,
privando di sostegno l’ipotesi di accusa relativa al quantitativo contestato,
rendeva possibile l’applicazione delle diminuente invocata.

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l’accertamento di responsabilità. In proposito, richiamata la circostanza che,

5.1.4. Si deduce da ultimo insufficienza e mancanza di motivazione con
riferimento alla decisione di escludere l’applicazione delle attenuanti generiche,
fondata esclusivamente sulla scelta difensiva di non ammettere gli addebiti.
Si osserva che le ulteriori argomentazioni esposte sul punto in sentenza
riguardano tutti gli imputati ed appaiono prive di un esame individualizzato, che
sollecitato nel gravame di merito con il richiamo alla condotta successiva ai fatti

delle limitazioni imposte con provvedimento restrittivo, elementi tutti che la
Corte non aveva immotivatamente valutato al fine indicato.
5.2.1. Krstik Nebojsa ha proposto ricorso personalmente con il quale
deduce contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto le
conversazioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità per il capo
30) dell’imputazione aventi ad oggetto la sostanza stupefacente in luogo che le
autovetture, malgrado la stessa Corte abbia dato atto che l’interessato si
occupava del commercio di automezzi. Si segnala in particolare una
conversazione dalla quale era dato evincere il rinvio di una consegna, per la
mancanza di un accompagnatore, che non risultava rilevante per portare a
termine una vendita relativa a 500 gr di stupefacente, come ritenuto in tesi
d’accusa, valutata invece indispensabile per la consegna di un automezzo, che
richiedeva un doppio conducente per garantirsi il ritorno.
Analogamente priva di univocità risultava la conversazione nel corso della
quale l’interlocutore del ricorrente si lamentava della qualità di quanto ricevuto,
poiché il riferimento al pagamento del trasporto, ed ai vizi, identificati nella
scarsa velocità del mezzo, consentivano di valutare come equamente probabile
l’identificazione dell’oggetto dello scambio con l’autovettura, secondo quanto
prospettato. La chiave di lettura proposta non configgeva con il mancato
accertamento di una consegna di auto nel corso dell’incontro monitorato dalla

tenuta dall’interessato, al suo radicamento nel territorio, e al rigoroso rispetto

p.g., poiché tale attività non aveva condotto neppure all’individuazione di
passaggi di altri oggetti tra le parti, mentre l’azione si era poi conclusa con il
pedinamento dell’interlocutore del ricorrente, che in tesi d’accusa avrebbe
appena curato la consegna, non portando conseguentemente all’acquisizione di
alcun elemento di conferma dell’ipotesi di accusa.
5.2.2. Con riferimento alla medesima imputazione si deduce mancanza di
motivazione riguardo all’inquadramento dei fatti nell’ipotesi del tentativo di
acquisto, fondata sul mancato accertamento di uno scambio intervenuto nel
corso dell’incontro monitorato, osservazione rispetto alla quale la Corte di merito
si è limitata a richiamare il contenuto delle conversazioni che lamentavano la

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d/

scarsa velocità dell’auto, in relazione alle quali si richiamano dubbi sulla loro
riconducibilità all’oggetto illecito ipotizzato nel capo di imputazione.
5.2.3. Si contesta inoltre la congruità e linearità della motivazione per
relationem, con la quale è stata respinta la richiesta di riconoscimento per il capo
in esame della diminuente di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. cit., richiamandosi a
quanto dedotto in ordine al capo 27), omettendo di valutare la mancanza alcun
elemento specifico, desumibile dagli indizi valorizzati, per operare una

quantificazione dell’oggetto del preteso scambio.
6. Nei confronti di Alket Manahasa è stata ritenuta la responsabilità in
relazione ai reati di cui ai capi 14), 15), 18), 28), 29), 33), in relazione ai quali è
stato condannato alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed C 42.000 di
multa.
Nel suo ricorso la difesa, dopo aver richiamato l’ammissione di
responsabilità dell’interessato per gli illeciti di cui ai capi 18) e 33), eccepisce
manifesta illogicità della motivazione riguardo all’accertamento relativo ai capi
14), 15) e 28), ove risulta svolta una valutazione globale delle risultanze, senza
analizzare lo scarso interesse per il ricorrente di negare la responsabilità per gli
altri episodi, stante la confessione intervenuta sulle altre accuse.
Si lamenta in proposito che, con riguardo all’imputazione di cui al capo
14), si sia interpretato il riferimento di C 1.000 contenuto in una telefonata,
come riferito ad analoga entità di grammi di sostanza stupefacente, su base
logica, in conseguenza del contesto nel quale l’interessato risultava coinvolto,
negando quindi dignità all’altrettanto logica spiegazione alternativa offerta dalla
difesa.
Si deduce inoltre apparente motivazione sulla ricostruzione degli eventi
che hanno giustificato l’affermazione di responsabilità sul capo 15), fondata su
basi di mero sospetto, riferiti alla definizione del quantitativo della sostanza che
si assume trattato nell’occasione, che ha poi causato una determinazione, per
questo reato, della pena base per il reato continuato, con quantificazione in
misura superiore al minimo.
Analoghi rilievi di carenza motivazionale riguardano anche il reato
contestato al capo 28), per cui si ravvisano oltre che i limiti interpretativi
predetti, anche la mancata valutazione della smentita desumibile dall’esito
negativo del servizio di osservazione predisposto.
7.1. Gjergji Mato è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo 32)
in relazione al quale è stata riconosciuta la diminuente di cui all’art. 73 comma 5
d.P.R. in esame, e condannato alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione
ed C 10.000 di multa.
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Nel ricorso si deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione con
riferimento all’affermazione di responsabilità. Si assume che l’accertamento sia
fondato sul presupposto che da alcune conversazioni possa emergere il ruolo del
ricorrente di fornitore di stupefacente in favore di tale Hasa, per le improvvise
difficoltà affrontate dal cliente nell’approvvigionamento, che non gli consentivano
di soddisfare i suoi clienti. In tale quadro ricostruttivo risulta eccentrica la

quale è dato accertare la presenza nel possesso del ricorrente di un quantitativo
di stupefacente, che egli valuta di cattiva qualità, situazione che comunica ad
Hasa, del tutto incongruamente, ove si ponga tale comportamento in relazione
alla pretesa urgenza che questi aveva di fornire i suoi clienti.
Si contesta inoltre l’interpretazione fornita alle conversazioni tra i due,
avvenuta senza considerare le attività di lavoro da loro legittimamente svolte che
giustificavano le espressioni contenute nei contatti telefonici che, come avevano
segnalato le difese in atto d’appello, risultavano coerenti anche rispetto agli altri
rapporti, del tutto leciti.
A conferma della mancanza di univocità degli elementi di accusa si
sottolinea la circostanza che l’interessato non è stato trovato in possesso di
stupefacente, di attrezzatura idonea la formazione delle dosi, o di danaro,
situazioni che hanno condotto non ad escludere la responsabilità, come sarebbe
stato logico, ma a riconoscere l’attenuante, con valutazione di cui si contesta la
linearità.
7.2. Con ulteriore motivo si contesta erronea applicazione della norma
penale e vizio di motivazione in ordine alla decisione di negare le attenuanti
generiche, fondata sulla valutazione di incredibilità delle deduzioni difensive
dell’interessato, che si esclude possa costituire l’unico parametro per negare il
trattamento sanzionatorio più liene.
8.1. Ilir Oshafi è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo 13) e
condannato in primo grado alla pena di anni quattro di reclusione ed C 18.000 di
multa, con decisione confermata in grado d’appello.
La difesa nel suo ricorso con il primo motivo deduce inosservanza dell’art.
521 cod. proc. pen. e conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 522
cod. proc. pen. nel presupposto che la condotta attribuita nel capo di accusa
all’interessato -aver intermediato presso altri per procurare ad Hasa la sostanza
stupefacente- non potesse ravvisarsi né il concorso dei due imputati nel
medesimo reato, né una condotta di codetenzione o trasporto di sostanza illecita,
né il concorso nell’acquisto, che rimaneva attività esclusiva dell’acquirente,

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presenza di una telefonata, qualche giorno dopo tale evento, sulla base della

assumendo quindi che la condotta penalmente rilevante fosse diversa da quella
contestata all’interessato.
8.2. Si deduce con il secondo motivo violazione dell’art. 192 cod. proc.
pen. in quanto l’affermazione di responsabilità era fondata soltanto sul contenuto
di alcune conversazioni dal contenuto criptico, la cui interpretazione non aveva
ricevuto elementi di sostegno, risultando essere stata analizzate solo nella forma

8.3. Con ultimo motivo si deduce illogicità della motivazione posta a
sostegno della decisione di escludere la concessione delle attenuanti generiche,
fondata sulla latitanza mantenuta dall’interessato, malgrado la distanza
temporale trai fatti e l’emissione della misura non garantisse la consapevolezza
di esistenza del provvedimento restrittivo; si lamenta inoltre la mancata
considerazione da parte del giudice di merito della documentazione prodotta nel
corso dell’udienza preliminare, che dimostrava la lecita attività di lavoro
realizzata dal ricorrente tra il suo paese di origine e l’Italia.
9.1. Eduard Zenelli è stato condannato in relazione ai reati di cui ai capi
12), 24) e 25) alla pena di anni sei di reclusione ed € 36.000 di multa.
Nel suo interesse la difesa deduce violazione di legge penale e
processuale e vizio di motivazione con riguardo alla determinazione del
trattamento sanzionatorio, ove si è individuato quale reato più grave quello
contestato al capo 25), in luogo che quello di cui al capo 12), più grave per
quantitativi trattati e numero delle persone coinvolte, la cui considerazione quale
reato base avrebbe consentito l’applicazione dell’indulto. La circostanza, esposta
nel corso della discussione orale, non risulta essere stata affrontata dalla Corte,
con omissione di motivazione che si censura.
9.2. Si deduce inoltre violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento all’esclusione del riconoscimento delle attenuanti generiche, sul
presupposto dello stato di latitanza, in relazione al quale doveva considerarsi la
notevole distanza temporale tra gli episodi delittuosi e l’emissione della misura,
che non consentiva di rapportare alla volontà dell’interessato il suo
allontanamento dal territorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Deve invero ricordarsi, con riferimento ai motivi di impugnazione previsti
dall’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. che risultano proposti da tutti i
ricorrenti, che il sindacato di questa Corte sull’argomentazione della sentenza
ammesso dalla disposizione richiamata deve essere limitato alla valutazione della

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riassuntiva riportata dall’interprete.

completezza delle giustificazioni fornite, rispetto alla prospettazioni difensive che
hanno fondato l’impugnazione di merito, ed alla coerenza argomentativa,
secondo i criteri della logica, verificabili sulla base della corretta applicazione dei
criteri ricostruttivi della logica e di corretta applicazione delle massime di
esperienza che intervengono nella ricostruzione argomentativa, oltre che
dell’assenza di contrasti valutativi interni allo stesso sviluppo ricostruttivo. Ne
consegue che non possa valutarsi ammissibile l’impugnazione che, in luogo che

individuare gli specifici vizi richiamati, e valutati idonei al fine del controllo del
percorso ricostruttivo del giudice di merito, ripropongono i rilievi svolti nel
giudizio d’appello, così sollecitando in realtà una nuova, difforme valutazione di
merito, preclusa in questo grado.
La premessa risulta doverosa alla luce della natura simile dei rilievi formulati
dal ricorrenti, al fine di evitare ripetizioni nella trattazione delle singole posizioni
processuali.
Si deve inoltre rilevare che, nei casi ove viene contestualmente rilevata una
violazione di legge, riguardante la valutazione indiziaria, tale elemento di fatto
rimane del tutto generico, poiché non viene specificato in cosa si sostanzi tale
violazione, individuando elementi di prova acquisiti illegittimamente o in
violazione di norme sull’utilizzabilità, riconducendo quindi il vizio dedotto ad un
difetto argomentativo, rientrante nella lett. e) della norma in esame.
1.2. Sulla base del medesimo principio deve ribadirsi in questa sede, al fine
di evitare inutili ripetizioni, che la decisione riguardante la dosimetria della pena,
secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. cui deve farsi riferimento anche per
giustificare la decisione sul riconoscimento delle attenuanti generiche, può
essere sottoposta a valutazione in questa sede solo se la relativa
argomentazione è affetta dai vizi richiamati dalla disposizione di cui all’art. 606
comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
Peraltro in relazione ad essa la completezza della motivazione deve
riconoscersi le volte in cui il giudicante sviluppi un’argomentazione sfavorevole,
dovendo intendersi che questa superi tutte le opposte prospettazioni difensive
Sez. 6, Sentenza n. 42688 del 24/09/2008, dep. 14/11/2008, imp. Caridi,
Rv. 242419), sicché la pronuncia può essere censurata in questa sede sul punto
solo nell’ipotesi in cui sia stata omessa la giustificazione della propria decisione,
risultando in tal caso rilevante, in assenza dell’espressione della propria
valutazione, la mancata confutazione delle tesi difensive o se gli elementi di fato
valutati si pongono tra loro in contraddizione.
Tanto si puntualizza in via generale, per esigenze di sintesi, in quanto tutti i
ricorrenti hanno formulato istanze sul punto, con le quali, pur a fronte di opposte
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valutazioni del giudice di merito, ed in assenza di univoci elementi favorevoli non allegati in alcuni casi, in altri del tutto ipotetici- è stata in questa sede
sollecitato l’annullamento della sentenza sul punto, di fatto richiedendo una
difforme valutazione di fatto, estranea a questa fase.
2. La contestazione contenuta nell’atto di appello formulato nell’interesse
di Dane Liko, di cui si lamenta l’omessa valutazione, è fondata su un

riguardante la fase iniziale delle indagini, che risulta superata, sotto un primo
profilo logico, dalla limitazione delle contestazioni all’interessato ad alcune della
transazioni oggetto di accertamento, escludendo altre in cui risultano coinvolti gli
altri omonimi.
Il dato storico evidenzia che l’attribuzione del nominativo non ha
costituito elemento dirimente per l’individuazione di elementi di responsabilità; la
conclusione è confermata da quanto argomentato dallo stesso difensore in atto
d’appello, ove in relazione al capo 20) si escludeva che nelle comunicazioni si
facesse riferimento a Bledi, negando a tale dato la natura di unificante elemento
di identificazione.
Nel complesso argomentativo svolto nelle pronunce di merito sulla
posizione in esame preliminarmente si dà conto dell’individuazione intervenuta
nel corso degli episodi 15) e 18), che non costituiscono più oggetto di
contestazione; in relazione a tali eventi risulta realizzata un’osservazione diretta
dell’incontro da parte della p.g., cui è seguito un controllo dell’interessato con
verifica dei suoi documenti, subito segnalato con la medesima utenza
intercettata del controllato all’acquirente Manahasa, cui sono seguite
l’acquisizione delle informazioni sul nominativo con il quale l’interessato risulta
essere stato saltuariamente qualificato, che è emerso essere usato
comunemente dallo stesso per identificarsi, completato dal riconoscimento
dell’interlocutore richiamato.
Il collegamento tra tali episodi e gli altri, attualmente oggetto di
contestazione, risulta avvenuto con il confronto della voce, rafforzato per il capo
20) dal riconoscimento personale del coimputato Hasa, che ha ammesso i suoi
rapporti con l’odierno ricorrente.
Sul punto, conseguentemente, non è dato riscontrare la lamentata
discrasia ricostruttiva, derivante, in tesi difensiva, da una generica individuazione
avvenuta solo sulla base dell’uso di un nominativo di natura comune, sicché il
rilievo svolto in argomento non si confronta con l’effettivo contenuto della
pronuncia, risultando pertanto generico.

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presupposto di fatto – pluralità di persone cui era attribuito il nomignolo Bledi –

Si osserva inoltre che, dall’esame dell’atto di appello non risulta essere
stata formulata alcuna specifica contestazione, relativa al capo 20) e riguardante
la mancanza di riconducibilità della voce rilevata nella conversazione che ha dato
origine all’imputazione e quella delle altre conversazioni, omissione che impone
di escludere la sussistenza del vizio motivazionale per omissione rilevato sul
punto.
L’impugnazione peraltro, ad implicita conferma dell’insussistenza in fatto

della pretesa identificazione avvenuta esclusivamente sulla base dell’uso del
nominativo, contesta l’argomentazione svolta dalla Corte in ordine alla ritenuta
inaffidabilità della consulenza fonica di parte. In argomento, richiamando quanto
genericamente esposto in precedenza in ordine ai vizi della motivazione
denunciabili in questa sede, si deve escludere il vizio di difetto di motivazione,
per quanto articolatamente espresso dalla Corte sul punto, ove si è affermata
l’affidabilità degli accertamenti fonici disposti nel corso delle indagini, sulla base
della quale sarebbero stati operati gi accorpamenti delle comunicazioni, che
hanno poi generato le specifiche contestazioni. La Corte si è poi espressa in
maniera analitica sull’inidoneità della consulenza di parte a porre nel dubbio tali
conclusioni, sotto l’aspetto della metodologia usata, che si assume non
esplicitata, e per il contenuto probabilistico delle sue conclusioni, sia in quanto in
essa risultano sottoposte ad esame telefonate diverse da quelle oggetto di
approfondimento. Rispetto a tale analitica argomentazione nel ricorso non risulta
espressa alcuna controdeduzione, idonea ad individuare la presenza del vizio
logico o argomentativo sul punto, suscettibile di analisi in questa sede.
Analogamente generica risulta la contestazione in merito alla mancata
verifica dell’effettività delle transazioni eseguite, a fronte dell’individuazione nelle
pronunce di merito delle conversazioni ove le parti si accordano per le modalità
di acquisto, seguite da quelle con i fruitori successivi per la spartizione di quanto
ricevuto.
2.2. Richiamato quanto in generale già espresso sub 1.2. nella specie
mette conto di rilevare, per completezza, che nel ricorso risulta meramente
apparente la deduzione di circostanze di fatto favorevoli che si ritengono
ingiustamente ignorate, ridotte alla mancata sottrazione dell’interessato al
processo che, stante la sua condizione di latitante, individuabile esclusivamente,
quale atto volontario connesso al procedimento, alla nomina di un difensore di
fiducia, poiché manca qualsiasi atto di adesione volontaria dell’interessato al
procedimento, che del resto dalla difesa viene evocato, ma non indicato. Tale
attività non risulta in ogni caso rilevante al fine della valutazione favorevole

12

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 24350/2013

pi

auspicata, sicché correttamente il giudice d’appello non risulta averne tenuto
conto.
3.1. Il ricorso proposto nell’interesse di Arben Gistho reitera l’eccezione
fondata sulla pretesa duplicazione del giudizio già formulata nel grado di merito,
richiamando l’esistenza di un precedente giudicato. In realtà la valutazione
necessaria al riguardo risulta squisitamente di fatto e l’esame della pronuncia

modo sorretta da deduzioni sul punto, mentre il giudicante, sulla base dell’unico
elemento valutativo rimessogli, costituito dal capo di imputazione, ha potuto
constatare che si tratta di episodi commessi in zone territoriali diverse,
concludendo per l’assenza di elementi di sostegno della tesi difensiva.
La mera reiterazione dell’istanza di merito, in assenza di qualsiasi
contestazione o ulteriore considerazione sull’effettività di quanto accertato dal
giudicante, evidenzia l’inammissibilità del ricorso.
In ordine ai rilievi sull’entità della pena e sull’affermazione di
responsabilità per i capi 10) ed 11) non può che accertarsi l’assoluta genericità
della deduzione, che costituisce riproposizione dell’altrettanto generico motivo
d’appello, che ha condotto già in quella sede alla dichiarazione di inammissibilità
dell’impugnazione, decisione rispetto alla quale non vengono contestati i
presupposti giustificativi, sicché il ricorso proposto al riguardo non si pone in
relazione con l’effettivo contenuto della pronuncia.
4.1. Le deduzioni proposte nell’interesse di Klodian Kacau non sono che la
riproposizione di quanto affermato in appello, a migliore dimostrazione della
mancanza di correlazione tra le censure formulate e quanto argomentato in
sentenza, esposizione che di fatto viene del tutto ignorata; invero,
contrariamente all’assunto difensivo, risulta chiaramente esposto nelle sentenze
di merito, in ragione delle conversazioni svolte e dell’osservazione di p.g
realizzata contestualmente, che il ricorrente fece immediatamente ritorno a
Torino dopo l’incontro con il fornitore, per effetto di quanto monitorato dalle
forze dell’ordine, il che esclude che vi sia stato spazio per un ulteriore
appuntamento di natura personale, che, secondo la difesa, giustificava tale
trasferta, in luogo che la consegna di stupefacente attribuitagli.
4.2. Analoga valutazione di inammissibilità deve attingere la deduzione di
violazione di legge e vizio di motivazione sollevata con riferimento alla mancata
applicazione della disciplina di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. in esame.
Sotto il primo profilo il richiamo alla rilevanza della funzione marginale della
sua condotta nella violazione realizzata è del tutto estraneo al dettato della
norma invocata, poiché, come si ricava dalla lettera della disposizione
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impugnata rivela che l’eccezione proposta in quella sede non è stata in alcun

richiamata, la qualificazione del fatto come di lieve entità si muove sul piano
della valutazione oggettiva dell’azione, non sull’analisi della specifica
partecipazione del singolo concorrente, e nella specie, la circostanza che la
condotta abbia riguardato due chilogrammi di sostanza stupefacente, di cui 400
gr di cocaina pura, unitamente alle stesse modalità di realizzazione della
condotta, con spostamento sul territorio dei partecipi dell’azione, dà conto della
corretta interpretazione resa dal giudice di merito al riguardo, stante l’esclusione

dell’inquadramento invocato in ipotesi della presenza anche di uno solo degli
indicatori individuati dalla norma, contrastante con la valutazione di minima
entità (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, dep. 05/10/2010, imp. Rico,
Rv. 247911 ), rendendo manifestamente inammissibile la contestazione svolta
sul punto.
L’esposizione delle circostanze di fatto citate, unitamente alla mancanza
individuazione di specifici rilievi in ordine alle ricostruzioni contenute in sentenza,
evidenzia la genericità della deduzione attinente al difetto di motivazione sul
punto, giustificando, anche sotto questo profilo, l’accertamento di inammissibilità
del ricorso.
4.3. Ulteriore sollecitazione ad una nuova e difforme valutazione di merito è
formulata con la segnalazione del vizio di motivazione quanto alla impossibilità di
applicare l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. poiché rispetto ad essa è
stata, in senso contrario, valutata la rilevanza del ruolo svolto che si è sviluppato
nell’organizzazione della consegna, e nella presa in carico della sostanza in città
diversa da quella ove questa era destinata, ove agivano le persone con le quali
l’interessato è risultato in rapporto di stabile collaborazione, elementi di fatto
che, contrariamente a quanto assunto dalla difesa, denotano la stabilità e non
marginalità della collaborazione prestata; anche in questo caso non si segala una
motivazione contrastante con la logica o con le risultanze, ma si contesta
esclusivamente l’effetto delle valutazioni operate, con deduzione inammissibile.
2~1 tk. KlacK fre40i4 ,-)
5.1.1.1( L’eccezione di nullità assoluta, per difetto di contestazione,
dell’ipotesi di accusa relativa alla cessione di kg 3 di cocaina, che si ritiene
estranea al capo 27) è inammissibile per carenza di interesse.
L’esame delle sentenza di merito ha consentito di verificare che in primo
grado l’affermazione di responsabilità dell’interessato è stata limitata al concorso
nella partecipazione all’importazioen di kg 6 di sostanza stupefacente, mentre
questi è stato valutato estraneo alla successiva cessione di parte della medesima
sostanza in favore del successivo acquirente. Solo un refuso della sentenza di
secondo grado ha consentito di ritenerlo responsabile di tale ulteriore condotta,
pur genericamente richiamata nel capo d i imputazione, tanto da condurre il
14

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 24350/2013

í

primo giudice frazionare la condotta ivi descritta in tre specifici episodi. Quel che
rileva è che l’errore in cui è incorso il giudice d’appello non ha avuto alcuna
influenza nella determinazione della pena, quantificata nella sua misura base,
senza aumento per la continuazione interna, sicché il rilievo proposto in questa
sede risulta inammissibile, per carenza di interesse.
5.1.2. Richiamando quanto esposto in premessa deve escludersi, in
relazione al medesimo capo l’eccepita contraddittorietà della motivazione, che la

difesa assume fondata sul travisamento del fatto.
Deve premettersi che nel procedimento di legittimità può essere
denunciato esclusivamente il travisamento della prova, che sussiste le volte in
cui il giudice abbia attribuito una interpretazione al risultato della prova del tutto
configgente con le risultanze, laddove il travisamento del fatto presuppone
sempre una ricostruzione degli eventi mediata dall’esame delle prove, che
necessariamente comporta per la sua valutazione, una difforme analisi deli
merito, preclusa in questa fase.
La stessa prospettazione del vizio evidenzia la sua inammissibilità, ove si
ripropone una chiave di lettura alternativa delle risultanze; l’esame delle
pronunce di merito evidenzia inoltre che l’interpretazione posta a fondamento del
ricorso ignora ulteriori conversazioni, valutate da entrambi i giudici di merito,
che non permettono la lettura alternativa riduttiva offerta, e sostengono, anche
sul piano della valutazione concreta, la conclusione di inammissibilità del ricorso,
operata sulla base della mera prospettazione del vizio.
Invero il difensore, nell’ipotizzare che l’oggetto della conversazione
fossero effettivamente i bancali, non fornisce risposta logica alla circostanza,
evidenziata nelle sentenze che dal susseguirsi delle comunicazioni risulta uno
scarico merce effettuato in pochi minuti, incompatibile con l’oggetto apparente,
oltre che una ripartizione della merce in due blocchi, uno dei quali consegnato
alla persona che il giorno dopo era risultato in possesso di 3 kg di stupefacenti,
contenuti in un involucro analogo a quello avvistato in contestualità con la
consegna della merce.
Risulta quindi evidente che, in luogo che una contraddizione interna della
valutazione, si segnali una prospettazione alterativa dei fatti, richiedendosi una
difforme valutazione di merito, estranea a questo giudizio.
5.1.3. Per l’effetto ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto al
motivo che lamenta la mancata applicazione dell’art. 73 comma 5 d.P.R. in
esame, nel presupposto della non univocità delle risultanze, in relazione ai
quantitativi trattati; l’esame degli elementi di prova sopra evidenziati, attesta la

15

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o/

manifesta infondatezza del rilievo, imponendo l’accertamento di inammissibilità,
anche sotto tale profilo.
5.1.4. Con riferimento all’esclusione delle attenuanti generiche, non può
che richiamarsi quanto sul piano del metodo illustrato sub 1.2. sottolineando
che, mentre il giudicante ha individuato elementi negativi desumibili dalla
fattispecie, la cui esistenza non viene contestata, che da soli sorreggono

inerenti le condizioni di vita del ricorrente, che devono intendersi implicitamente
superati dalle difformi analisi svolte, la cui espressione non richiede, per
realizzare una valutazione completa, la confutazione specifica di ogni elemento di
segno opposto.
5.2. I

motivi di ricorso proposti personalmente dall’interessato

ripropongono integralmente i motivi di appello, senza segnalare contraddizioni
specifiche o vuoti motivazionali della pronuncia impugnata, di cui si lamenta
l’assenza di autonomia ricostruttiva.
In realtà con il ricorso si ripropone una propria lettura delle risultanze
delle conversazioni, quale ipotesi alternativa di ricostruzione del loro oggetto,
senza confrontarsi con i dati dissonanti emergenti dagli accertamenti di merito, e
relativi da un canto, quanto ai fatti di cui al capo 30), alla circostanza che
l’incontro tra le parti non poteva aver avuto ad oggetto la consegna
dell’autovettura, posto che le parti in contatto era giunte e ripartite a bordo dello
stesso mezzo con il quale erano arrivate, mentre avevano raggiunto il contatto
tra essi all’interno di uno degli automezzi; inoltre il giudicante ha dato conto
della continuità delle forniture, emergente dagli accordi, e dall’intervenuto
arresto del referente del ricorrente, in occasione della seconda fornitura non
eseguita, ma di cui si era riusciti ad individuare la programmazione e
svolgimento, grazie alle medesime conversazioni, nel possesso di oltre un

l’impianto motivazionale, genericamente la difesa deduce elementi favorevoli

chilogrammo, di cocaina, circostanza oggetto del capo 31) su cui anche l’odierno
ricorrente formula degli univoci commenti, valutati nella pronuncia ed
inconciliabili con la chiave di lettura alternativa fornita. Di tale circostanza di
fatto si dà atto nelle pronunce, che ancora una volta risultano immuni dai vizi
lamentati.
6. Nell’interesse di Alket Manahasa si deduce illogicità della motivazione
della sentenza, non rispetto ai criteri valutativi concretamente utilizzati dal
giudicante, o in relazione all’applicazione di dubbie massime di esperienza, ma
sulla base del preteso contrasto tra l’ammissione di responsabilità
dell’interessato, limitata ad alcuni capi, e la negatoria delle ulteriori accuse, che
secondo l’esponente alcun beneficio apporterebbe al trattamento dell’interessato.
16

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t

In tal modo si contrappone la propria versione, dei fatti, non superando le
pertinenti osservazioni ricostruttive del primo giudice, confermate dal giudice
d’appello, con particolare riferimento all’incompatibilità economica della diversa
operazione che l’interessato assume essere poste alla base delle conversazioni
analizzate, rispetto alla quale, anche nel corso della discussione dinanzi a questa
Corte, la difesa si è limitata a richiamare il diverso contesto nel quale operano gli

sollecitazione in questa sede ad una difforme valutazione di merito, ma non
riesce a scardinare la portata logica, sul piano delle ordinarie regole di economia,
della valutazione contestata.
Le medesime osservazioni coinvolgono anche l’accusa di cui al capo 28),
che attengono alla cessione di 3-4 kg di sostanza stupefacente, rispetto alla
quale nelle conversazioni intercettate emergeva la conclusione di un accordo e
l’indicazione di un appuntamento in un luogo specifico; giunti sul posto gli
operanti avevano modo di notare un’autovettura, che dopo manovre difficilmente
spiegabili, si fermava sul luogo convenuto, raggiunta poi da un autoarticolato che
usciva dall’autostrada per raggiungere quel luogo, e poi vi si allontanava dopo il
contatto compiendo manovre non spiegabili, per effetto delle quali gli operanti
non riuscivano a cogliere il momento del materiale contatto tra le parti, né a
bloccare i componenti dei due equipaggi.
I giudici di merito hanno rilevato che la prova dell’effettuazione della
consegna poteva ricavarsi dalle conversazioni intercettate in cui acquirente e
cedente, dopo aver concordato il luogo del contatto, si davano atto venticinque
muniti dopo della riuscita dell’operazione.
Ancora una volta, a fronte di una ricostruzione dei fatti minuziosa, non si
individuano contrasti logici interni alla pronuncia, ma si contrappone una propria
valutazione dei fatti, con motivo per l’effetto manifestamente inammissibile.
7.1. Anche nell’interesse di Gjergji Mato, pur formalmente deducendosi
vizi della motivazione, di fatto si ripropongono i medesimi motivi d’appello,
ignorando quanto dedotto sul punto dal giudice del gravame nella pronuncia
oggetto di impugnazione.
In particolare, contrariamente a quanto dedotto, la sentenza prende in
considerazione la chiave di lettura offerta alle conversazioni intercettate dalla
difesa, per escluderne la coerenza logica, alla luce del contenuto specifico di
alcune affermazioni, inconciliabili con la pretesa realizzazione di un’attività di
falegnameria, deduzioni rispetto alle quali nulla viene eccepito, riproponendosi
quanto già espresso nel gravame di merito, con argomentazione manifestamente
inammissibile, in quanto priva di specificità.
17

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 24350/2013

interessati, opponendo un’astratta chiave alternativa dei fatti, che denota la

7.2. Sull’impugnazione del capo della sentenza con il quale è stata negata
la concessione delle attenuanti generiche non può che richiamarsi quanto già
espresso sub 1.2., specificando che nel caso concreto il ricorrente contesta la
legittimità della valutazione, ma omette di individuare l’elemento di fatto positivo
che avrebbe potuto fondare la difforme decisione caldeggiata.
8.1. La deduzione di nullità della contestazione che sorregge il ricorso

condotta di intermediazione nell’acquisto, attribuitagli nella sentenza, rispetto
alla conclusione del contratto illecito, che costituisce l’oggetto dell’imputazione.
Al riguardo si deve osservare che il rilievo svolto ha costituito oggetto del
gravame di merito, rispetto al quale la Corte ha coerentemente argomentato
sull’insussistenza del vizio lamentato, posto che, non risulta contestato che
l’interessato abbia intermediato per la realizzazione dell’attività illecita, così
compiendo una parte dell’azione tipica della cessione, per la cui realizzazione
occorre coordinare l’azione di venditore ed acquirente. L’attività rientra nella
figura legale del concorso di persone nel reato, la cui responsabilità è attribuibile
a tutti coloro i quali, per effetto del previo accordo realizzino anche una parte
dell’azione, apparentemente priva del connotato dell’illiceità, ove funzionale alla
stessa, e direttamente coordinata con la sua verificazione (principio pacifico;
per tutte, da ultimo Sez. 2, n. 23395 del 13/04/2011 – dep. 10/06/2011,
Faccioli e altri, Rv. 250688).
Ciò specificato sul piano dei principi generali si deve inoltre rilevare che
nell’ampia casistica prevista nella descrizione della fattispecie di cui all’art. 73
d.P.R. in esame rientra pacificamente l’azione di procurare ad altri, elemento che
supera, anche in fatto la pretesa deduzione di nullità dell’imputazione, per difetto
di attribuzione della condotta tipica.
8.2. Analoga valutazione di inammissibilità deve attingere anche la pretesa
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in relazione all’esame delle risultanze
delle intercettazioni.
La disposizione richiamata evoca la necessità di una valutazione indiziaria
plurima e concordante, ma non richiede, per tali elementi di prova, la necessità
di riscontri, richiamata solo con riferimento alla portata dimostrativa delle
chiamate di correo.
Nella specie la sentenza impugnata specifica da quali plurime e convergenti
intercettazioni è dato desumere l’univocità del senso delle comunicazioni, mentre
la contestazione della difesa, fondata sulla pretesa ambiguità dei brogliacci
riassuntivi esaminati è il frutto della scelta difensiva della scelta del rito
abbreviato. La pretesa ambiguità o non rispondenza alle comunicazioni effettive
18

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 24350/2013

formulato nell’interesse di Ilir Oshafi è fondata sulla pretesa estraneità della

poteva porsi in dubbio solo con la dimostrazione della difformità valutativa,
possibile alla difesa, in quanto le è sempre riconosciuto il diritto dell’esame
diretto delle risultanze. Nel caso concreto l’eccezione risulta svolta con deduzione
del tutto priva di specificità, poiché non segnala quale elemento ricostruttivo sia
stato travisato nel resoconto riassuntivo, che diversamente risulti dall’ascolto
diretto delle conversazioni, oltre che formulata per la prima volta nel corso di

8.3.

Analogamente inammissibile è il rilievo attinente alla mancata

motivazione dell’esclusione delle attenuati generiche, in ordine al quale, oltre che
richiamare quanto genericamente precisato sub

1.2.

si deve nella specie

contestare l’assenza di completezza della motivazione del giudice d’appello al
quale non erano stati offerti elementi valutativi di carattere favorevole che
suggerivano il riconoscimento, sicché rispetto alle generiche deduzioni, effettuate
solo in dato odierna, alcun rilievo di illogicità della motivazione risulta essere
fondatamente proposto.
9.1. Con riferimento al ricorso proposto nell’interesse di Eduard Zenelli si
lamenta l’immotivata individuazione del reato più grave nel capo 25), in luogo
che nel capo 12), relativo a quantitativi di stupefacente più elevati, che avrebbe
consentito la fruizione dell’indulto, spettante con riferimento all’epoca del
commesso reato.
In realtà la richiesta formulata in sede di conclusioni in appello, se pur
non è stata accolta in assenza di motivazione, poiché riguarda una valutazione di
diritto, ben può essere analizzata in questa sede, al fine di verificare la
correttezza del procedimento seguito, risultando pacifico che la soluzione delle
questioni di diritto, possa essere confermata, se corretta, anche se non
argomentata, secondo quanto stabilito dal più autorevole collegio di questa
Corte, non viziando l’omessa deduzione al riguardo la pronuncia di merito (Sez.
U, n. 155 del 29/09/2011 – dep. 10/01/2012, Rossi e altri, Rv. 251496). Si è
infatti dedotto in argomento che “La soluzione da dare alle questioni di diritto,
processuali o sostanziali che siano, non attiene però al contesto della
giustificazione, ma al contesto della decisione, sicché quello che importa per la
validità della sentenza è soltanto la correttezza di questa, e non rileva che la
Corte di appello non abbia espressamente motivato in ordine all’infondatezza o
inammissibilità delle eccezioni, se esse sono effettivamente infondate o
inammissibili”.
Passando alla valutazione di fondatezza del rilievo difensivo si osserva
che in tema di individuazione del reato più grave, ai fini della determinazione

della pena nel reato continuato, questo va ricercato sulla base della pena
19

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 24350/2013

questo giudizio.

edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice, in rapporto alle singole
circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, ed all’eventuale giudizio di
comparazione fra di esse, in forza di quanto statuito recentemente in ulteriore
pronuncia delle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013 dep. 13/06/2013, P.G. in proc. Ciabotti e altro, Rv. 255347) .
Ne segue che correttamente nella specie sia stato individuato il reato più

persone, fattispecie rispetto alla quale, conseguentemente sussiste una gravità
riconosciuta giuridicamente superiore a quella del reato non circostanziato di cui
al capo 12). La decisione della Corte d’appello sul punto risulta
conseguentemente corretta ed insuscettibile di censura, per effetto della
mancata argomentazione, rispetto alla quale la deduzione contenuta in ricorso si
connota per genericità.
9.2.

Con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti

generiche la deduzione è chiaramente inammissibile, per quanto già esposto,
contestandosi il merito della decisione non l’unico dato aggredibile in questa
sede, costituito dalla coerenza del percorso argomentativo.
10. In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen. all’inammissibilità del
ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e ciascuno a quella della somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quelle della somma di € 1.000 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/12/2013.

grave nella contestazione di cui al capo 25), aggravata dal numero delle

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