Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50662 del 20/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50662 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DMYTRENKO NATALIYA N. IL 24/08/1962
avverso la sentenza n. 151/2013 CORTE APPELLO di TRENTO, del
23/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO MICHELI;

Data Udienza: 20/11/2015

FATTO E DIRITTO
Il difensore di Nataliya Dmytrenko, persona condannata a pena ritenuta di giustizia
per un tentativo di furto semplice presso un supermercato, ricorre avverso la sentenza in
epigrafe, deducendo erronea applicazione degli artt. 122 cod. proc. pen. e 37 disp. att.
dello stesso codice di rito. Nell’interesse dell’imputata si fa presente che la querela in
atti era stata formalizzata da un soggetto che risultava delegato dal procuratore speciale

rappresentare la società nei procedimenti correlati alla gestione delle filiali ricadenti in un
dato ambito territoriale, con “facoltà di presentare querele o denunce penali e costituirsi
parte civile nei processi stessi”. L’atto, pertanto, non conteneva alcun profilo di
specificità, neppure con riguardo alla tipologia dei potenziali reati in relazione ai quali
valutare la presentazione o meno di istanze punitive; si richiama in proposito un
precedente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui può ritenersi valida una
procura che contenga quanto meno il riferimento alla prospettiva di sporgere querela per
eventuali delitti contro il patrimonio.
Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi.
Oltre a doversi rilevare che la procura speciale in atti appariva conforme ai requisiti
di legge, come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, l’istanza di
punizione venne avanzata da una assistente di filiale presso il punto vendita dove fu
realizzata la presunta condotta criminosa; ergo, da un soggetto che poteva intendersi
titolare del diritto di sporgere autonomamente querela. Infatti, come già affermato dalle
Sezioni Unite di questa Corte, «il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito non
solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso,
inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie, costituito da una detenzione
qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di
utilizzarla, gestirla o disporne. Tale relazione di fatto con il bene non ne richiede
necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un
titolo giuridico, nonché quando si costituisce in modo clandestino o illecito. Ne discende
che, in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa
legittimata alla proposizione della querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso,
quando abbia l’autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce» (Cass., Sez. U,
n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,

segue la condanna della ricorrente al

pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà della
ricorrente medesima (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al versamento in
favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.

della Lidl Italia s.r.I., e che detta procura speciale riguardava un generico potere di

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 20/11/2015.

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