Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50659 del 08/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50659 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VENOSA RAFFAELE N. IL 14/09/1969
avverso l’ordinanza n. 107/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
23/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
len/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/11/2013

Ritenuto in fatto.

1.11 23 aprile 2012 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice

dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da Raffaele Venosa, volta ad ottenere
l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p..
La Corte territoriale osservava che dalla lettura delle sentenze non emergeva

complessiva, costituente l’espressione di un medesimo disegno criminoso, e che
anzi, dai suddetti provvedimenti, risultava che l’adesione di Venosa al “clan dei
Casalesi” risaliva al 1994 e, quindi, ad epoca di gran lunga successiva a quella dei
reati di rapina, commessi il 24 agosto 1987 quando Venosa era minorenne.
2.Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Venosa, il quale lamenta violazione degli artt. 81 cpv c.p. e
671 c.p.p., carenza ed illogicità della motivazione per non avere il giudice
dell’esecuzione valutato compiutamente le risultanze delle sentenze e, soprattutto,
per non avere tenuto conto del fatto che, a sostegno della richiesta, la difesa aveva
allegato un’ulteriore sentenza dell’ 11 dicembre 2008 da cui risultava che il gruppo
Venosa, di cui il ricorrente faceva parte, esisteva già prima del 1987, periodo
coincidente con i fatti oggetto della sentenza pronunciata dall’Autorità giudiziaria
minorile.
Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
1. L’art. 671 c.p.p. attribuisce al giudice il potere di applicare ” in executivis”

l’istituto della continuazione e di rideterminare le pene inflitte per i reati
separatamente giudicati con sentenze irrevocabili secondo i criteri dettati dall’art.
81 c.p. Peraltro, la possibilità di applicazione della disciplina della continuazione in
sede esecutiva ha carattere sussidiario e suppletivo rispetto alla sede di cognizione,
stante il carattere più completo dell’accertamento e la mancanza dei limiti imposti
dagli arti. 671 c.p.p. (Sez.6, 8.5.2000, sent.n. 00225, ric. P.G. in proc. Mastrangelo e
altri, riv. 216142). Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso non
possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della
condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la
causale, le condizioni di tempo e di luogo. Anche attraverso la constatazione di
1

alcun elemento comprovante la riconducibilità dei reati ad un’iniziale ideazione

alcuni soltanto di detti indici – purché siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati
in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo in questione – il giudice
deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole
violazioni (Sez. 1, n. 01587 del 20 aprile 2000).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per aversi unicità del
disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od

quando si commette la prima azione, già si sono deliberate tutte le altre, come
facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono essere
ricollegate ad un’unica previsione, di cui i diversi reati costituiscano la concreta
realizzazione, cosicché i reati successivamente commessi devono essere delineati
fin dall’inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il
requisito psicologico indicato nell’art. 81 c.p. con un generico programma
delinquenziale.
2.Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p.
la “cognizione” del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile
collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle
sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumo essere “in
continuazione”. Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina,
tenendo presenti le ragioni enunciate dall’istante e fornendo del tutto esauriente
valutazione. La decisione del giudice di merito, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 5518 del 30 gennaio 1995; Sez. 1, n.
2229 del 7 luglio 1994; Sez. 5, n. 1060 del 7 maggio 1992).
3.L’ordinanza impugnata appare conforme ai principi giuridici in precedenza
illustrati. Il giudice dell’esecuzione, con motivazione esente da vizi logici e
giuridici, ha valorizzato, ai fini del diniego della continuazione in sede esecutiva, un
elemento inerente l’accertamento dell’epoca in cui Venosa iniziò a partecipare al
“clan dei Casalesi”; tale adesione, in base allo scrutinio dei dati effettuato dalla
Corte territoriale, risaliva all’anno 1994. Ha pertanto argomentato che tale
collocazione temporale non consente di ricondurre ad un’unica matrice deliberativa
le rapine che il ricorrente ebbe a commettere, in concorso con altro correo, nel
1987, quando era ancora minorenne. Ha, infine, sottolineato che la difesa non ha
prospettato elementi obiettivi, desumibili dalle sentenze, alla stregua dei quali

2

omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che,

potere affermare che Venosa, fin dal 1987, aveva deliberato la sua futura adesione
al “clan dei Casalesi”.
Il provvedimento impugnato ha, infine, correttamente sottolineato la diversità
dei reati (rapine consumate lungo il litorale domizio) posti in essere da Venosa
quando era ancora minorenne rispetto a quelli (estorsioni ai danni di imprenditori)
realizzati quando era partecipe dell’associazione di stampo camorristico.

pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma, 1’8 novembre 2013.

4.A1 rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al

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