Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50631 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50631 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUSCO ANTONIO N. IL 22/12/1982
avverso la sentenza n. 2257/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
12/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
,_„
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/10/2013

ce,

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Il Tribunale di Bari, con sentenza del 7 aprile 2011, condannava
alla pena di anni sei di reclusione ed euro 12000,00 di multa,
riconosciuta la recidiva contestata, Busco Antonio, imputato: A) del
reato di cui agli artt. 477 e 482 c.p. per aver contraffatto la patente
di guida apponendovi la sua fotografia in luogo di quella di Indrago
Giuseppe; B) del reato di cui all’art. 494 c.p. per aver indotto in
errore, esibendo il falso documento di cui al capo A), il titolare di
una agenzia automobilistica intestando a nome dell’Indrago il
ciclomotore da lui acquistato per mezzo di detta agenzia; C) del
reato di cui agli artt. 337, 339 c.p. per aver minacciato con una
pistola personale di P.S. per opporsi in tal modo ai controlli di
polizia; D) del reato di cui agli artt. 2, 4 e 7 L. 895/1967 per aver
detenuto senza licenza un pistola Beretta cal. 9×21 con matricola
abrasa; E) del reato di cui all’art. 23 co. 3 L. 110/1975 perché
deteneva l’arma clandestina di cui al precedente capo; F) del reato
di cui all’art. 648 c.p. per aver ricettato l’arma detta; G) dell’art. di
cui all’art. 697 c.p. per aver detenuto cartucce cal. 9 senza averne
fatto denuncia all’autorità; H) del reato di cui all’art. 116 CdS per
aver circolato alla guida del motociclo targato AD 829 07
sprovvisto di patente di guida perché revocatagli; in Bari tra il 25
maggio ed il 31 agosto 2010.
2. Il tribunale in tal modo ricostruiva le vicende di causa: agenti
della Polizia di Stato, in borghese e con auto civetta, il pomeriggio
del 31 agosto 2010 avvistavano un giovane, già in precedenza
notato per il suo fare sospetto, a bordo di una Gilera Runner privo
del casco di protezione e gli intimavano di fermarsi per controllarlo;
il giovane rispondeva alla intimazione dandosi alla fuga inseguito
dall’auto della polizia; nel corso del lungo inseguimento in due
occasioni l’auto riusciva ad affiancare il motociclo; la prima volta il
giovane aveva puntato una pistola contro i poliziotti ottenendo il
rallentamento degli inseguitori e la seconda volta era rovinato a
terra nel tentativo di eseguire una manovra di depistaggio; anche in
questa seconda occasione, pur a terra, il giovane aveva nuovamente
minacciato i poliziotti inseguitori puntando contro di loro la pistola
in suo possesso, riuscendo in tal modo a dileguarsi nuovamente
anche grazie ad una vespa di colore rosso che lo aveva preso a
bordo; in detto parapiglia il giovane perdeva l’arma che veniva
sequestrata e riscontrata perfettamente funzionante ed armata per
l’uso; sul motociclo la polizia rinveniva una copia del passaggio di
proprietà redatto dall’agenzia Capurso e ciò consentiva il rapido
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accertamento delle falsificazioni contestate e la identificazione del
giovane nell’imputato attuale ricorrente.
A sostegno della decisione il giudice di prime cure, dopo aver
rigettato le eccezioni processuali proposte dalla difesa relative al
mancato rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del
difensore di fiducia, al mutamento del Collegio ed alla
contestazione della recidiva non chiaramente indicata nella copia
notificata all’imputato del decreto di citazione a giudizio, poneva: le
testimonianze dei due poliziotti impegnati nell’inseguimento, il loro
riconoscimento del Bosco come il giovane alla guida del motociclo
inseguito, le testimonianze del titolare dell’agenzia presso cui fu
esibita la patente intestata falsamente e di Indrago Giuseppe, il
verbale di fermo dell’imputato e quelli di perquisizione e sequestro.
3. Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello l’imputato
ribadendo le medesime eccezioni processuali e contestando il
quadro indiziario valorizzato dal Tribunale per la condanna
impugnata e la Corte di appello di Bari, con sentenza del 12.4.2012,
respingeva i rilievi procedimentali e le censure di merito, limitando
poi la riforma della pronuncia di primo grado alla pena, che veniva
ridotta ad anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 6000,00
di multa con la revoca delle sanzioni accessorie.
4. Ricorre per cassazione avverso detta sentenza il Busco, assistito
dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa un unico
motivo di impugnazione, variamente articolato tra censure
processuali e motivazionali relative, altresì, a tutte le norme
incriminatrici contestate ed a quelle relative alla recidiva, alla
determinazione della pena ed alle attenuanti generiche.
Deduce in particolare la difesa ricorrente: A. sul legittimo
impedimento del difensore per l’udienza del 16.2.2011 in
considerazione di concomitante impegno professionale del
difensore medesimo ed in costanza di adesione dell’imputato alla
istanza difensiva, che l’impegno ulteriore era dato da una udienza
davanti al tribunale del riesame di Messina, non rinviabile, e che il
difensore di ufficio non aveva svolto alcuna apprezzabile attività
difensiva; B. sulla violazione dell’art. 525 c.p.p., che nel corso del
processo il collegio dell’udienza del 22.10.2012 era mutato nella
sua composizione e che il nuovo Collegio aveva provveduto
all’espletamento dell’istruttoria dibattimentale con l’escussione di
testi ammessi dal primo collegio; C. sulla regolare contestazione

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della recidiva, che la stessa corte di merito riconosce la scarsa
leggibilità della medesima nella copia notificata all’imputato, che
nel dubbio deve darsi una interpretazione favorevole all’imputato,
che la mancata conoscenza della contestazione ha portato a
conseguenze negative per l’imputato il quale avrebbe potuto
scegliere un rito alternativo; D) sulla perizia ammessa in sede di
appello al fine di esaminare tracce papillari presenti sulla pistola,
perizia conclusasi con esiti negativi nel senso che le tracce erano
risultate confuse, che le imprudenti manipolazioni del personale di
polizia non poteva avere conseguenze negative per l’imputato, ma
anzi risolversi in suo favore; E) sul mancato controesame del teste
Capurso, impedito dal Presidente della corte nonostante si trattasse
di un teste indicato altresì dalla difesa, che trattasi di provvedimento
istruttorio nullo dappoichè inficiante il diritto della difesa.
Quanto ai rilievi motivazionali e di legittimità non processuali,
rilevava ancora la difesa ricorrente: testi estranei a contesti
delinquenziali, i testi Campanale e Capurso, hanno escluso la
riconducibilità al Busco della persona acquirente del motoveicolo in
sequestro; dette testimonianze devono ritenersi di gran lunga più
robuste di quelle dei verbalizzanti i quali, viceversa, hanno appena
scorto il volto del giovane inseguito in condizioni di concitazione e
scarsissima concentrazione; il teste Campanale ha negato in aula di
aver mai venduto il ciclomotore in sequestro a Busco, né dette
dichiarazioni, nonostante la minaccia del P.M. di udienza, sono mai
state trasmesse all’ufficio del P.M. per l’inizio dell’azione penale;
anche il teste Capurso ha rilevato che la persona che si rivolse alla
sua agenzia era più altro dell’imputato; il poliziotto Trentadue ha
dichiarato in aula di aver soltanto percepito che il giovane avesse
puntato la pistola; il giovane in fuga indossava una magliettina corta
eppertanto avrebbero dovuto i poliziotti notare i tatuaggi del Busco,
viceversa non notati; anche l’acquisto della scheda Mediaset non ha
carattere indiziante dappoichè potenzialmente riferibile alla
compagna; l’abitazione del Busco non era affatto ignota risultando
invece all’ufficio anagrafe; l’imputato ha fornito un alibi non
smentito dalla compagna, prova d’alibi del tutto ignorata dalla corte
di merito; l’Indrago ha riferito in dibattimento di non aver mai
smarrito la sua patente e questo priva di sostanza la contestazione di
cui al capo A) la quale, viceversa, descrive la condotta di falsificare
la patente dell’Indrago attraverso la sostituzione della fotografia;
anche la recidiva è stata contestata e ritenuta in assenza di
motivazione esplicita; del pari immotivato si appalesa il diniego
delle attenuanti generiche.
3

5. Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza relativa alla
omessa motivazione circa il diniego delle attenuanti generiche e
quanto alla contestata recidiva, mentre è infondato nel resto.
5.1 Quanto ai rilievi processuali: in ordine al legittimo
impedimento, rileva il Collegio la palese genericità del’eccezione,
sia perché relativa essa ad una sola delle udienze di prime cure, sia
perché non illustrato il pregiudizio difensivo eventualmente
provocato, sia perché infine non adeguatamente illustrati modi e
termini in cui esso maturò e venne comunicato alla corte. E’ noto
infatti che il difensore, nel caso in cui l’impedimento legittimo, ex
art. 486 c.p.p., sia dovuto alla contemporanea fissazione di altro
dibattimento, non può riservarsi di scegliere fino al giorno
prefissato, ma deve, non appena ricevuta la comunicazione dei due
giudizi, effettuare la scelta e darne pronta comunicazione al Giudice
al quale deve chiedere il rinvio (Cass., Sez. VI, 17/04/2012, n.
28477; Cass., Sez. III, 18/10/2011, n. 44411). Rammenta inoltre la
Corte che in tema di legittimo impedimento del difensore, secondo
un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la
richiesta di differimento dell’udienza per concomitante impegno
professionale dello stesso deve essere corredata anche dalla
giustificazione della mancata nomina di un sostituto, come è
desumibile, oltreché da ragioni d’ordine sistematico, dall’ultimo
periodo dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5 (Cass., Sez. VI,
22/01/2010, n. 6668) giustificazione che nello specifico non risulta
essere stata fornita.
In ordine invece al denunciato mutamento del Collegio, deve
ribadirsi il rilievo di genericità d lla cce io e, giacchè rilevatane
in sede di appello la tardività n s deguata replica
difensiva, in questa sede di legittimita, alla puntuale confutazione
del giudice di secondo grado.
Va peraltro confermato il principio di diritto in materia formulato
da questa istanza di legittimità, principio in forza del quale, nel caso
di rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione
del collegio, la mancanza di un’iniziativa di parte che rappresenti il
dissenso, o la non perfetta condivisione o anche l’opportunità di una
rivisitazione della precedente fase (e dunque il tacito, implicito
consenso delle parti medesime) equivale a consenso espresso. Tanto
vale nella fattispecie in cui le parti avevano prestato acquiescenza
rispetto all’assunzione delle prove già ammesse e si erano astenute
dal proporre nuovamente richieste istruttorie (Cass., Sez. II,
04/06/2008, n. 34723; Cass., Sez. I, 14/01/2011, n. 18308, rv.
250220).
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In ogni caso non risulta specificato neppure in questo caso il vulnus
difensivo eventualmente subito dall’imputato e ritiene il Collegio di
confermare l’insegnamento di legittimità secondo cui “il principio
di immutabilità del giudice non è violato quando l’istruzione
dibattimentale sia stata condotta e portata a termine da un collegio
giudicante che, in una composizione parzialmente diversa, abbia
precedentemente ammesso le prove e nominato dei periti, senza che
nessuna delle parti abbia sollevato obiezioni o formulato richiesta di
rinnovazione degli atti anteriormente assunti sino alla deliberazione
della sentenza” (Cass., Sez. VI, 21/10/2009, n. 2928; Cass., Sez. VI,
03/04/2012, n. 43005, rv. 253789).
In riferimento, all’eccezione di non chiara contestazione della
ritenuta recidiva, non può che confermarsi la motivazione del
giudice di secondo grado, il quale ha rilevato, correttamente, che la
contestazione non era affatto omessa ma soltanto di non agevole
leggibilità eppertanto facilmente riscontrabile sia attraverso un
attento esame dell’atto notificato, sia attraverso il doveroso
confronto con l’originale.
Del tutto generiche si appalesano infine le censure in relazione agli
esiti della perizia ammessa in seconde cure circa l’esame di tracce
papillari sulla pistola in sequestro ovvero sulla impedita possibilità
di rivolgere domande difensive al teste Capurso.
Sulla impossibilità dell’esame peritale perché compromesse le
tracce dalla manipolazione degli operatori di P.G., nessuna
apprezzabile tesi difensiva appare proponibile, né tampoco può da
essa impossibilità trarsi, come pure pare accreditare l’ardita tesi
difensiva, una prova a favore dell’imputato, dovendosi e potendosi
semplicemente dedurre dalla vicenda processuale la mancata
acquisizione di una prova a carico del prevenuto.
Quanto invece al mancato controesame, nulla di specifico evidenzia
la difesa in ordine alla decisività delle domande stesse, peraltro
considerate dal presidente del Collegio, con valutazione istruttoria
non censurabile per cassazione, già proposte in precedenza.
5.2 Venendo ora alle doglianze non procedimentali, giova ribadire
che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è
quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati
dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi
ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se
gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati
seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative
adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità,
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le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici.
Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal
giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra,
ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03
Curcillo). cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’ 1 1/4/2008, Baratti, Rv.239735;
cfr. in termini: Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell’ 11/01/2007, dep.
il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina); Sez. 6, n. 1307 del
14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).
Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle
argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di
un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice
territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova
indiziaria puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi
accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a
quello logicamente ritenuto con la sentenza impugnata.
Con indubbia coerenza logica e corretto sillogismo dialettico i
giudici di merito sono pervenuti a considerare provata la
colpevolezza dell’imputato in ordine a tutti i reati contestatigli sulla
base di un quadro indiziario complesso, grave e convergente.
Hanno innanzitutto valorizzato infatti i giudici territoriali il
riconoscimento dei due poliziotti che intimarono l’alt all’imputato e
che poi lo inseguirono allorchè lo stesso si diede alla fuga,
affiancandolo per due volte, provocandone la caduta rovinosa,
guardandolo quando puntò contro di loro la pistola, inseguendolo
ancora fino al suo definitivo dileguarsi. A parte siffatta acquisizione
processuale di per sé importante e fortemente significativa, vi è poi
il sequestro della pistola con matricola abrasa abbandonata dal
prevenuto, riscontro del racconto dei poliziotti e prova delle
contestazioni relative alle armi, nonché l’acquisizione del
documento attestante il passaggio di proprietà del motoveicolo a
tale Indrago Giuseppe, passaggio curato dall’agenzia di Capurso
Giuseppe il quale, con la documentazione in suo possesso relativa a
detta compravendita, ha consegnato fotocopia della patente di guida
dell’Indrago, disconosciuta da questi perché completata, con la
fotografia formato tessera dell’imputato. Questi è stato pertanto
riconosciuto come colui che acquistò il motociclo, che lo guidava in
occasione del suo inseguimento e che puntò la pistola contro i
poliziotti, pistola poi buttata per terra al momento di dileguarsi con
l’aiuto di un complice su una vespa rossa accora in aiuto.
Natura di prova indiziaria a carico devono altresì riconoscersi sia

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alle ferite riscontrate sull’imputato dopo la sua identificazione,
compatibili con la sua rovinosa caduta dal motociclo, sia allo
scontrino di acquisto rinvenuto nel sottosella del motociclo usato
dall’imputato, scontrino di acquisto di una tessera ricaricabile
Mediaset Premium acquistata pochi giorni prima dei fatti di causa
presso un supermercato nelle vicinanze dell’abitazione del Busco,
tenuto conto della circostanza che lo stesso giorno una tessera
analoga venne attivata nell’abitazione dell’imputato e della
convivente.
A fronte di un ‘sì complesso quadro indiziario univocamente
articolato a carico dell’imputato, la sua difesa evoca l’incertezza del
riconoscimento dei poliziotti, le testimonianze del venditore del
motociclo e del titolare dell’agenzia di vendita che non hanno
riconosciuto l’imputato, l’incertezza dell’indizio dato dallo
scontrino di acquisto della tessera mediaset premium .
Trattasi, giova ribadirlo, di valutazioni alternative delle circostanze
indiziarie valorizzate dai giudicanti, che devono necessariamente
cedere di fronte a dati documentali acquisiti al processo e probanti
oltre ogni dubbio: la patente di guida falsificata dell’acquirente del
motociclo, il falso Indrago Giuseppe in realtà Busco Antonio, che
rende palesemente incerta e fors’anche in malafede la testimonianza
del venditore (come peraltro motivatamente sostenuto dalle
sentenze di merito)
5.3 Rimane il rilievo di legittimità sulla contestazione di cui al capo
A), con la quale si imputa al Busco di aver apposto la propria
fotografia sulla patente di guida di Indrago Giuseppe eliminando
quella del legittimo proprietario del documento, mentre in realtà
l’Indrago ha confermato di non aver mai smarrito la propria patente
di guida. Di qui un fatto diverso e cioè la formazione di un titolo
autorizzativo alla guida totalmente diverso e non soltanto
parzialmente falsificato.
Trattasi di eccezione infondata.
Ed invero appare utile sul punto richiamare l’insegnamento di
questa Corte, nella sua più autorevole composizione, insegnamento
in forza del quale, in tema di correlazione tra imputazione
contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista
dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto
dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti

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della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la
violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e
mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza
perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è
del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del
processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di
difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Cass., Sez. Unite,
15/07/2010, n. 36551).
Nel caso in esame ed in applicazione degli esposti principi osserva
il Collegio che l’imputato non ha subito alcuna limitazione del
diritto di difesa, giacchè la condotta in conclusione imputatagli
doveva ritenersi ricompresa in quella più ampia e certamente
penalmente più rilevante descritta nel capo di imputazione. In altri
termini tra la contestazione iniziale di aver apposto la foto di una
persona diversa da quella i cui dati erano riportati nella patente di
guida e la condotta di aver, invece, formato ex novo una patente di
guida falsa, non sussiste alcuna apprezzabile diversità e comunque
tale diversità non ha in nulla inciso, né poteva essere il contrario,
sui diritti difensivi dell’imputato, di guisa che, in conclusione sul
punto, nessuna violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p. è
configurabile nella fattispecie in esame.
6. Come già innanzi anticipato l’impugnazione dell’imputato va
invece condivisa là dove censura l’omessa motivazione in ordine
alle ragioni di merito prospettate al giudice di secondo grado quanto
al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla ritenuta
recidiva.
Al riguardo è doveroso rilevare che la difesa dell’imputato ebbe a
prospettare col ricorso in appello l’onere motivazionale in capo al
giudicante di argomentare in ordine all’applicazione della recidiva,
tesi fondata sull’insegnamento di questo giudice di legittimità (in
tema di recidiva facoltativa, è richiesto al giudice uno specifico
dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la
rilevanza della stessa; Cass., Sez. Unite, 27/10/2011, n. 5859) e
sulle confutazioni difensive delle ragioni sviluppate dal giudice di
primo grado, del tutto ignorate dalla corte territoriale.
Del pari nulla ha opinato il giudice dell’appello in ordine alle
censure dell’imputato al diniego delle circostanze generiche giacchè
non adeguatamente valutato il suo comportamento processuale,
nello specifico descritto e valorizzato ai fini di un suo favorevole
bilanciamento rispetto alle circostanze viceversa nettamente
negative richiamate in prime cure.
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Sui punti detti si impone pertanto un annullamento parziale della
sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte
distrettuale barese per nuovo giudizio da esprimersi, a tali limitati
fini, in piena libertà di valutazione

la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena ed
alle circostanze e rinvia per nuovo giudizio sui detti punti ad altra
sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara nel resto
inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 16 ottobre 2013
Il Presidente
Il cons. est< P. T. M.

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