Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50605 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 50605 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PORCU MICHELE ANGELO N. IL 29/08/1964
avverso la sentenza n. 91/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 14/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 7.-ro- gtgok, alawiL
che ha concluso per Anapkiktm•
Fa’d

o,’

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

( 24.52230

-1q1/Ipte

Data Udienza: 05/04/2013

Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 20 luglio 2009 il Tribunale di Nuoro dichiarava Porcu Michele Angelo
responsabili dei reati di cui agli artt. 589 co. 1 e 2 c.p. (capo A), artt. 48 co. 3 e 89 co. 2 lett. a
D.L.vo 626/94 (capo B), artt. 49 co. 1 e 2 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo C), artt. 22 co. 1 e
89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo D) in quanto per colpa cagionava la morte del proprio

violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Condannava lo stesso alla pena
di anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di ammenda oltre le spese, con sospensione condizionale
della pena.
In particolare il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del Porcu in
ordine ai reati ascritti per la posizione di garanzia dallo stesso rivestita quale datore di lavoro del
Mula e, quindi, titolare dell’obbligo giuridico di impedire l’evento verificatosi. Difatti dalle
risultanze processuali è emerso che in data 29 settembre 2005 il Mula rimaneva vittima di un
infortunio mentre provvedeva con un collega a caricare alcuni infissi in PVC, completi di vetro, su
di una pedana per il successivo trasporto, all’interno della società cooperativa S. Giuseppe, sita in
Dorgali, presso la quale prestava la sua attività lavorativa. Nel dibattimento si è anche accertato che
il Porcu all’epoca dei fatti rivestiva la qualifica di presidente e legale rappresentante della S.
Giuseppe e che con un atto privo di data aveva delegato al socio, Esca Giuseppe, la qualifica di
responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Inoltre nel corso dell’istruttoria è stato
appurato che la procedura utilizzata dal Porcu per il carico degli infissi si era rivelata pericolosa e
scorretta, agli operatori non era stata fornita un’adeguata formazione in relazione alla
movimentazione dei carichi ed ai rischi inerenti nonché in materia di salute e sicurezza sul posto di
lavoro, non era stato predisposto un ambiente sicuro ed i dipendenti non erano provvisti di
protezioni individuali atte ad evitare eventuali infortuni o, comunque, a limitarne i danni.
Proposto appello avverso la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Cagliari ha dichiarato il
non doversi procedere nei confronti del Porcu in relazione ai reati di cui agli artt. artt. 48 co. 3 e 89
co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo B), artt. 49 co. 1 e 2 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo C), artt.
22 co. 1 e 89 co. 2 lett. a D.L.vo 626/94 (capo D) in quanto prescritti e ha rideterminato la pena allo
stesso inflitta in un anno di reclusione.
Contro tale pronuncia il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione per vizio di
motivazione, inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 48 co. 3, 49 co. 1 e
2, 222 D.lgs. 626/94 nonché in relazione agli artt. 16 e 17 D.Igs. 81/2008. In particolare il ricorrente
censura la sentenza di appello sotto due profili: in primo luogo la difesa contesta la ritenuta

dipendente Mula Giammaria, colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed in

sussistenza delle contravvenzioni di cui agli artt. 48, 49 e 22 D.L.vo 626/94 (capi B-C-D) nonché
l’incidenza delle stesse a titolo di colpa generica e specifica sulla complessiva ricostruzione
valutativa della morte del Mula. In secondo luogo il ricorrente censura la riconosciuta inidoneità
della delega effettuata ad Esca Giuseppe dei poteri e delle facoltà in materia di sicurezza sul luogo
di lavoro secondo quanto previsto dal D.Igs. 626/94 osservando come la Corte di appello non abbia
attribuito adeguata importanza al fatto che l’Esca era socio della ditta, munito, quindi, di tutti i

origine diretto dirigente e datore di lavoro del Mula nonché soggetto preposto ad assicurare la
sicurezza sul luogo di lavoro.

Ritenuto in diritto

Il ricorso, al limite dell’ammissibilità nella misura in cui sotto l’apparente deduzione di vizi di
legittimità in realtà censura l’apprezzamento delle prove effettuato dai giudici di merito, va
comunque respinto perché infondato. Come è noto, infatti, il controllo sulla motivazione demandato
al giudice di legittimità resta circoscritto al solo accertamento della congruità e coerenza
dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e
non può risolversi — come vorrebbe la difesa — in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine
alla ricostruzione e valutazione dei fatti.
In particolare, quanto al primo profilo attinente la sussistenza delle contravvenzioni di cui al D.Lgs.
626/94 ed all’incidenza delle omissioni ivi sanzionate sul tragico incidente che ha determinato la
morte del Mula occorre, innanzitutto, sottolineare che la Corte di appello, al pari del giudice di
primo grado, ha fondato la ritenuta sussistenza dei reati de quo sulla base di plurime ed univoche
risultanze processuali — diffusamente illustrate nel testo della sentenza — tra le quali le dichiarazioni
di altri lavoratori nonché una foto dalla quale emerge che il Mula non portava il caschetto
protettivo. Inoltre la Corte territoriale ha correttamente evidenziato il nesso causale tra l’omissione
delle precauzioni da adottare sul luogo di lavoro e della valutazione del rischio nella
predisposizione della procedura di carico in questione ed il fatale infortunio: gli infissi sono caduti
addosso al Mula, schiacciandolo, in quanto non erano autonomamente assicurati alla pedana ma
erano ad essa connessi da un semplice cordino che, di volta in volta, veniva slegato per aggiungere
ulteriori elementi. Dunque, al momento del carico dell’ultimo infisso, tutti gli altri, essendo liberi,
sono scivolati addosso al Mula travolgendolo. Peraltro la stretta correlazione causale tra l’incidente
e l’inadeguata valutazione dei rischi (nonché l’insufficienza del relativo documento) è resa evidente

requisiti normativi e fattuali non solo per essere delegato ma anche per essere considerato ab

da una circostanza giustamente posta in evidenza dai giudici di appello: subito dopo il sinistro la
fase di lavorazione interessata — cioè quella del carico degli infissi — venne sensibilmente
modificata.
Per quanto concerne, invece, la doglianza inerente l’obbligo di garanzia e l’inefficacia ai fini
dell’esclusione della responsabilità del Porcu, attribuita dai giudici di merito alla delega conferita ad
Esca Giuseppe, occorre rilevare che, come emerge dalla sentenza di appello, in detto documento

con conseguente impossibilità di collocarla con certezza in un momento antecedente al sinistro — è
finalizzata alla nomina di RSPP e non alla delega della posizione datoriale e non contiene alcuna
attribuzione di poteri finanziari né di alcun altro potere proprio del datore di lavoro e tali da
consentire al delegato di far fronte, in via diretta, alle esigenze in materia di prevenzione degli
infortuni.
Come è noto, infatti, in materia di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro non può andare esente da
responsabilità, sostenendo esservi stata una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che
abbia provveduto a designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Difatti la
presenza di un RSPP è obbligatoria ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 626/1994 per l’osservanza di
quanto previsto dal successivo art. 9, ma tale figura non coincide con quella, peraltro facoltativa, del
dirigente delegato all’osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori (ex

pluris Cass. Sez. IV, n. 47363/2005).
In particolare il RSPP non può incidere in via diretta sulla struttura aziendale ma ha solo una
funzione di ausilio finalizzata a supportare (e non a sostituire) il datore di lavoro nell’individuazione
dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di
informazione e di formazione dei dipendenti. Dunque nonostante si proceda, come nel caso di
specie, alla nomina di un RSPP il datore di lavoro conserva l’obbligo di effettuare la valutazione dei
rischi e di elaborare il documento relativo alle misure di prevenzione e protezione.
Il delegato per la sicurezza — figura come già detto del tutto eventuale — è invece destinatario di
poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro e, perciò,
deve essere formalmente individuato ed investito del suo ruolo con modalità rigorose, non ricorrenti
nel caso in esame (Cass., Sez. IV, n. 37861/2009). Peraltro in materia di prevenzione degli infortuni
sul lavoro, ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008, il datore di lavoro non può delegare, neanche
nell’ambito di imprese di grandi dimensioni, l’attività di valutazione dei rischi per la salute e la
sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
dei rischi (Cass. Sez. IV, n. 4123/2008).

l’Esca viene indicato quale “dipendente della Cooperativa”. Inoltre la delega risulta priva di data —

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma in data 5 aprile 2013.

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