Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50597 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50597 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Ribeca Claudio, n. a Roma il 25/04/1955;

avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 23/12/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale A. Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. I. Blasi, in sostituzione degli Avv.ti M. Biffa e D. De
Zordo, difensori di fiducia, che ha chiesto l’accoglimento e, in subordine,
l’annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/12/2011 il Tribunale di Roma ha condannato Ribeca
Claudio, quale legale rappresentante della Cr Market Srl, alla pena di euro
1.200,00 di ammenda per il reato di cui agli artt. 374 e 389 lett. b) del d.P.R. n.
547 del 1955 per non avere mantenuto in buono stato di conservazione ed
efficienza i luoghi di lavoro.

Data Udienza: 28/11/2013

2. Ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore l’imputato lamentando,
con un primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione. Dopo avere premesso che il
giudice dell’impugnata sentenza non avrebbe richiamato le fattispecie
sanzionatorie in vigore successivamente all’intervenuta abrogazione del d. Igs. n.

tentativi posti in essere dall’imputato di risolvere i problemi della pavimentazione
del

locale

contattando

la

proprietà

dello

stesso,

ha

affermato

contraddittoriamente che quanto affermato dal teste Barbabella, secondo cui per
la Cr Market era impossibile assolvere alle prescrizioni, non era sufficientemente
documentato; lamenta inoltre che la stessa sentenza non abbia considerato che
la problematica effettiva di tali lavori era emersa anche in sede di assegnazione
di proroga dei termini per l’adempimento, essendosi dato atto, nel verbale
relativo, che per l’esecuzione degli stessi dovevano essere coinvolti la proprietà
dei locali e il condominio soprastante. Inoltre le zone del pavimento rovinate
erano state comunque transennate con conseguente mancanza di pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo, con cui si contesta la rimproverabilità della non conformità a
norma del pavimento del locale – supermercato gestito dalla società
dell’imputato, è manifestamente infondato.
Secondo quanto previsto dall’art. 389 lett. b) del d.P.R. n. 547 del 1955, vigente
all’epoca dei fatti, e secondo quanto previsto anche, attualmente, dall’art. 64,
comma 1, del d.P.R. n. 81 del 2008 (con riferimento all’art. 63, comma 1 stesso
d.P.R.) succeduto, in termini di continuità normativa, al previgente disposto, il
soggetto tenuto a provvedere affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai
requisiti di buono stato di conservazione ed efficienza è il datore di lavoro. Ne
consegue che la circostanza che il locale – luogo di lavoro non conforme a tali
requisiti sia di proprietà di terzi non esclude comunque la responsabilità del
locatore – datore di lavoro salvo non si dimostri che l’adeguamento è stato reso
impossibile dal comportamento del proprietario; in particolare, va escluso che il
rifiuto o l’inerzia del proprietario dei locali a far sì che le irregolarità siano
eliminate esima il datore di lavoro dal dovere, impostogli, come visto, per legge,
di effettuare il necessario adeguamento, per il tramite di opere, ordinariamente
consentite, di piccola manutenzione e di riparazione urgente salvo,
2

547 del 1955, si duole in particolare del fatto che la sentenza, pur dando atto dei

evidentemente, rivalersi, quanto agli esborsi economici sopportati, sul
proprietario del luogo di lavoro.
Quand’anche pertanto si ritenesse, nella specie, essere emersa tale inerzia del
proprietario, pur sollecitato dal conduttore dei locali, ciò non verrebbe ad
incidere, per quanto appena detto, a fronte della mancata prospettazione di
lavori impossibili da eseguirsi se non con il consenso e del locatore, sulla

impugnata posto in rilievo che la società conduttrice ebbe a detenere i locali,
nella condizione di irregolarità, ancora per parecchi anni dalla contestazione del
fatto sì da escludere che solo a causa della mancata ottemperanza del
proprietario a porre in regola la pavimentazione, l’imputato abbia deciso di
risolvere il contratto di locazione. Né lo stesso ricorrente adduce insuperabili
circostanze, impeditive, appunto, come già detto, di una condotta
regola rizzatrice.

4. Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato; quand’anche si
recepisse l’argomentazione in fatto, e pertanto già di per sé inammissibile,
secondo cui il pavimento era stato transennato, va ricordato che la natura
formale del reato contestato, per la cui sussistenza è sufficiente, da parte
dell’agente, l’omissione che costituisce l’elemento materiale della fattispecie,
esclude che sia necessaria anche una situazione di pericolo per l’incolumità (cfr.,
in generale, Sez. 3, n. 9216 del 06/07/2000, Monticelli, Rv. 217471; Sez. 3, n.
2105 del 13/10/1981, Rv. 152539).

5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. L’inammissibilità del ricorso per
motivi originari in conseguenza della sua manifesta infondatezza preclude il
rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l’estinzione del reato per
prescrizione, maturate successivamente alla pronuncia della sentenza
impugnata, essendo, come già enunciato da questa Corte a Sezioni Unite, detto
ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (per
tutte, Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca). Ne segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle processuali e, non essendovi ragione di ritenere
che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità”, quella al versamento della somma, determinata
in euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

3

configurabilità del reato a carico dell’imputato, tanto più avendo la sentenza

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

DEPOSITATA ‘ CANCELLERIA

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013

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