Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50592 del 19/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Ord. Sez. 3 Num. 50592 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASIELLO MICHELE N. IL 16/01/1953
avverso la sentenza n. 3106/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
13/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
1…c.._c-e.
che ha concluso per ,t, ‘,… 4)……,-C.A…;_.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

k t r4141-4 Ve?

Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Genova, con sentenza del 13.3.2013 ha confermato
la decisione con la quale, in data 12.1.2012, il Tribunale di Massa – Sezione
Distaccata di Carrara, aveva riconosciuto Michele CASIELLO responsabile del
reato di cui all’art. 2, legge 638\83 perché, quale legale rappresentante della

previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti per il
mese di maggio 2005 e per un importo pari ad euro 3.664,00 (accertato in Massa
il 15.5.2008. Recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Premesso che la società della quale era legale rappresentante era stata
posta in liquidazione dall’1.6.2005, che la liquidazione era stata iscritta nel
registro delle imprese il 6.7.2005, che il 4.8.2005 era stata ammessa al
concordato e il 16.11.2005 dichiarata fallita, con un primo motivo di ricorso
deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che il momento
consumativo del reato contestatogli andrebbe collocato non alla scadenza
dell’obbligo contributivo (il giorno 16 del mese successivo a quello al quale si
riferiscono i contributi non versati) quanto, piuttosto, alla scadenza del termine di
tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della
violazione di cui all’art. 1 comma 2-bis legge 638\83, con la conseguenza che la
sentenza impugnata meriterebbe di essere censurata sul punto.
Aggiunge che, avendo il primo giudice affermato che l’imputato avrebbe
dovuto attivarsi affinché la società in liquidazione ottemperasse all’obbligo
contributivo sia alla scadenza legale che nel termine successivo indicato
dall’INPS, avrebbe implicitamente individuato il momento consumativo del reato
allo scadere del termine di cui al citato art. 1, comma 2-bis ed avrebbe dovuto,
conseguentemente, pervenire ad una pronuncia assolutoria. Avendo, invece,
affermato la penale responsabilità dell’imputato, sarebbe incorso in un vizio di
motivazione che la Corte territoriale avrebbe fatto proprio riconoscendo la
correttezza del ragionamento giustificativo effettuato dal primo giudice.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia l’erronea applicazione dell’art.
2486 cod. civ., rilevando che, avuto riguardo alla data in cui la società era stata
posta in liquidazione (1.6.2005), egli avrebbe potuto compiere esclusivamente
operazioni strumentali alla liquidazione o al mantenimento del valore del

1

«Tirrena macchine in Liquidazione s.r.I.», ometteva il versamento delle ritenute

patrimonio e che in tale compito di mera conservazione non rientrava, come
invece ritenuto dai giudici del merito, il versamento delle ritenute previdenziali,
la cui omissione, considerata l’esiguità dell’importo, non era produttiva di
negativi effetti sul patrimonio sociale.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, affermando
che la prescrizione del reato sarebbe maturata il 16.12.2012, prima della
pronuncia della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è inammissibile.
Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso che, secondo il
prevalente orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende aderire, il
reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ha
natura di reato omissivo istantaneo, per il quale il momento consumativo
coincide con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il
versamento ed attualmente fissato, dall’art. 2, comma primo, lett. b) del d.lgs.
422\1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i
contributi (Sez. III n.10974, 21 marzo 2012; Sez. III n. 615, 12 gennaio 2011; Sez.
III n. 20251, 14 maggio 2009; Sez. III n. 29275, 11 luglio 2003; Sez. I n.6850, 28
gennaio 1998; Sez. I n.2136, 15 settembre 1989; Sez. I n.3452, 13 novembre
1987).
Si è inoltre precisato, come pure ricordato nella sentenza impugnata, che ai
fini dell’individuazione del momento consumativo non rileva la data della notifica
dell’intimazione di pagamento nei tre mesi successivi alla contestazione, poiché
la rilevanza di tale termine è limitata all’eventuale sussistenza della causa di non
punibilità di cui all’art. 2, comma 1-bis legge 638\83 (Sez. III Sez. III n. 20251, 14
maggio 2009, cit.).
La Corte territoriale, adeguandosi ai summenzionati principi, non è pertanto
incorsa in alcuna violazione di legge o carenza motivazionale. Ne consegue
l’infondatezza del motivo di ricorso.

6. A conclusioni non dissimili deve pervenirsi per quanto riguarda il secondo
motivo di ricorso.
L’art. 2486 cod. civ. stabilisce che, al verificarsi di una causa di scioglimento

2

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

della società e fino al momento della consegna dei libri sociali, della situazione
dei conti e del rendiconto ai liquidatori prevista dal successivo articolo 2487-bis,
gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della
conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e sono
personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci,
ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione di tale
limitato potere.
Sulla base di tale disposizione i giudici di merito hanno ritenuto responsabile

del debito previdenziale avrebbe evitato il detrimento patrimoniale conseguente
all’applicazione di sanzioni ed interessi di mora e l’osservazione risulta corretta.

7. Parimenti infondato risulta, infine, il terzo motivo di ricorso.
Per calcolare il termine massimo di prescrizione deve tenersi conto del
termine per il versamento, individuabile, nella fattispecie, nel giorno 16 giugno
2005.
Deve poi considerarsi la sospensione di cui all’articolo 2, comma 1-quater
Legge 638/83, il quale stabilisce che, durante il termine di cui al comma 1-bis (tre
mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della
violazione, concessi al datore di lavoro per provvedere al versamento), il corso
della prescrizione rimane sospeso.
Ne consegue che il termine iniziale di decorrenza della prescrizione è
collocabile alla data del 16.9.2005.
Trattandosi di fatto commesso antecedentemente alla data di entrata in
vigore della legge legge 5 dicembre 2005, n. 251, la quale, come è noto, ha
modificato le disposizioni in tema di prescrizione, deve tenersi conto anche della
disciplina transitoria e, segnatamente, dell’art. 10 della legge suddetta,
applicando al caso in esame il termine più favorevole, che risulta essere quello
stabilito dalla disciplina previgente.
Tale termine, tenuto conto della recidiva reiterata, specifica ed
infraquinquennale ritenuta dal giudice del merito, va infatti quantificato in
complessivi anni 7 e mesi 6 e risulta più breve rispetto a quello di anni 10
ricavabile applicando la disciplina attualmente in vigore.
Ne consegue che, per il reato oggetto di contestazione, la prescrizione non
era comunque maturata al momento della pronuncia della sentenza impugnata,
andando a spirare il 16.3.2013.

8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile

3

l’imputato per l’omesso versamento, in considerazione del fatto che il pagamento

a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in data 19.11.2013

prescrizione (Sez. IV n. 18641, 22 aprile 2004).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA