Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50589 del 30/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 50589 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARTINELLI ENRICO
avverso l’ordinanza n. 1034/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
26/04/2013
s’entita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
le

Uditi difensor AVv

Data Udienza: 30/09/2013

udito il PG in persona del sost.proc.gen. d.ssa E. Cesqui, che ha chiesto rigettarsi il ricorso,
uditi i difensori, prof. avv. V. Majello e avv. E. Martino, che, illustrando i motivi dei rispettivi
ricorsi, ne hanno chiesto l’accoglimento.
CONSIDERATO IN FATTO

2. A suo carico fu emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 2 marzo
2012. Il tribunale del riesame di Napoli, pur ravvusando sussistenti gravi indizi a carico del
Martinelli, ritenne non ricorrenti adeguate esigenze cautelari e, in data 26 marzo 2012, annullò
l’ordinanza a suo tempo emessa dal GIP.
3. Avverso detto provvedimento proposero ricorso tanto il Pubblico Ministero (per quel
che riguarda il diniego della sussistenza di esigenze cautelari), quanto i Difensori (per quel che
attiene la ritenuta sussistenza dei gravi indizi). I due separati ricorsi vennero attribuiti a due
distinte sezioni della corte di cassazione, le quali (sez. quinta sentenza 37690/12, sez. prima
sentenza 4764/13) entrambe annullarono, seppure sotto differenti aspetti, il provvedimento
del tribunale del riesame, con rinvio al medesimo giudice per nuovo esame.
4. In sede di giudizio di rinvio, il tribunale del riesame di Napoli, con il provvedimento di
cui in epigrafe, ha rigettato il ricorso per riesame presentato dal Martinelli e, per l’effetto, ha
confermato l’ordinanza pronunciata dal GIP presso il tribunale di Napoli, con la quale era stata
applicata la custodia cautelare in carcere.
5. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il prof. avv.
Vincenzo Majello, con atto depositato il 13 maggio 2013; ha proposto ricorso al che l’avv.
Emilio Martino, con atto depositato il 18 luglio 2013, sostenendo di essere in termini in quanto
il provvedimento del
tribunale del riesame, corredato dalla motivazione, non gli è mai stato notificato.
6. Ricorso prof. avv. Majello.
6.1. a) Deduce violazione degli articoli 125, 273, 192 cpp, riguardo alla valutazione di
attendibilità soggettiva e oggettiva del collaboratore di giustizia Venosa Salvatore, rispetto alla
vicenda del patto elettorale tra Martinelli e il predetto Venosa, nonché difetto e manifesta
illogicità della motivazione per travisamento della prova in ordine alla ritenuta inattendibilità
delle dichiarazioni rese, ai sensi dell’articolo 391 bis cpp, da Della Gatta Luigi, nonché difetto,
contraddittorietà e manifesta illogicità della valutazione probatoria delle dichiarazioni rese,
sempre sensi dell’articolo 391 bis cpp, da Diana Marco.
Sostiene il ricorrente, innanzitutto, che erroneamente è stato formulato giudizio preventivo di
credibilità con riferimento alla figura del collaboratore Venosa. Detto giudizio si fonda
unicamente sulla caratura criminale del predetto, come testimoniata dai verbali depositati
dall’ufficio di Procura, verbali tuttavia ricchi di omissis. Non è arduo, poi, individuare i motivi
per le quali il predetto si è deciso a collaborare, in ragione del suo coinvolgimento in numerosi
procedimenti a suo carico tuttora pendenti, delle sentenze di condanna già intervenute, della
necessità di salvare, per quanto possibile, il suo patrimonio e quello dei suoi congiunti. Peraltro
le dichiarazioni del Venosa risentono evidentemente della pubblicità di alcune notizie, ormai
oggetto di cronaca giornalistica. Il tribunale napoletano poi, pronunciandosi sulla mancanza di
motivi di astio del Venosa nei confronti del Martinelli, finisce per banalizzare un episodio che viceversa- è significativo, atteso che il Martinelli, proprio nella sua qualità di sindaco, dispose e
ottenne l’abbattimento di un muro che la famiglia Venosa aveva abusivamente costruito per
“fortificare” la sua abitazione nel corso di una sanguinosa guerra di camorra. Al di là dunque
del danno materiale, consistente nella distruzione del manufatto, vi è un danno di immagine,
un valore simbolico nell’abbattimento del detto muro, che il collegio cautelare ha
colpevolmente ignorato. Il Martinelli, in realtà, anche con tale iniziativa, si era impegnato per il

1. Martinelli Enrico (classe 1971), già sindaco del comune di San Cipriano d’Aversa, è
sottoposto a indagine con riferimento al delitto di cui all’articolo 416 bis cp, variamente
aggravato, per aver preso parte all’associazione camorristica, denominata dan dei casalesi.

ripristino della legalità nel comune del quale era sindaco. Tanto ciò è vero che l’abbattimento
causò la violenta reazione del Venosa e dei suoi congiunti.
Sempre Venosa ebbe a dichiarare di essersi incontrato con il Martinelli per offrire appoggio
elettorale, in cambio di favori negli appalti che il Comune avrebbe dovuto attribuire, chiarendo
che l’incontro avvenne nell’appartamento di tale Della Gatta Luigi. Ebbene quest’ultimo ha
recisamente negato la circostanza e il tribunale del riesame ha ritenuto di poter superare il
contenuto di tali dichiarazioni, sostenendo che Della Gatta non avrebbe potuto ammettere
l’incontro perché ciò lo avrebbe posto in una difficile situazione nei confronti degli inquirenti. A
dimostrazione del suo assunto, il collegio cautelare cita un controllo dei carabinieri a carico del
Venosa e del Della Gatta, controllo che proverebbe la frequentazione tra i due. In realtà, dalla
semplice consultazione degli atti, emerge che il controllo è avvenuto in data incompatibile con i
fatti per i quali si procede.
Parimenti illogica è l’ordinanza nella parte in cui svaluta le dichiarazioni rese da Diana Marco il
quale ha negato di aver condotto il Martinelli al cospetto dell’omonimo boss, Martinelli Enrico
(classe 1964). Secondo il tribunale napoletano, si trattava di dichiarazioni, in qualche modo,
obbligate perché altrimenti Diana avrebbe dovuto ammettere una sua equivoca frequentazione
con un latitante. Si tratta -di nuovo- di argomentazione tautologica ed autoreferenziale.
6.2. b) Violazione dell’articolo 192 comma terzo cpp e carenza dell’apparato
motivazionale in relazione alla utilizzabilità delle dichiarazioni di Lucariello Orlando, atteso che
le ragioni che lo hanno indotto alla collaborazione non sono state rese note. Il predetto,
peraltro, riferisce solamente notizie de relato, senza che neanche ne sia indicata la fonte.
Quanto alla sua attendibilità oggettiva, l’ordinanza è del tutto silente, ricorrendo a mere frasi di
stile.
6.3. c) Violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale in relazione alle
intercettazioni ambientali e telefoniche. Era stato rappresentato al tribunale partenopeo che le
trascrizioni sommarie, operate dai carabinieri, contrastavano significativamente con le
trascrizioni curate dal consulente di parte dell’indagato. Le trascrizioni operate dai militari,
invero, evidenziavano vistose omissioni, che hanno alterato significativamente il senso delle
comunicazioni. Le trascrizioni, viceversa, operate dal consulente dott. Cupperi stanno a
provare che, in realtà, il sindaco Martinelli non aveva avuto contatto con alcun imprenditore
colluso con la camorra, ma che detti contatti, seppure vi erano stati, erano effetto di una
triangolazione, che vedeva coinvolto un tale Luca (probabilmente l’ing. Diana Luca),
funzionario comunale. Vengono anche pretermessi dal collegio cautelare i contenuti di alcune
conversazioni in cui i predetti imprenditori parlano in termini negativi e addirittura scurrili del
sindaco, così come è evidente errore nell’interpretazione di una conversazione a proposito della
individuazione di tale Enrico, che non può essere il Martinelli sindaco, ma che viceversa è il
Martinelli omonimo e, all’epoca, latitante. Il riferimento al Comune (sci/. gli uffici comunali) non
deve trarre in inganno, perché è rimasto accertato che il boss Martinelli si nascondeva in un
rifugio nei pressi, appunto, della sede del municipio di San Cipriano d’Aversa.
In sintesi, le trascrizioni curate dal Cupperi [trascrizioni che, nel ricorso vengono riportate, per
non poche pagine], stanno a provare l’assoluta estraneità del ricorrente rispetto ai fatti dei
quali è accusato.
Ebbene, di fronte a tali articolate argomentazioni, il tribunale del riesame, in pratica, non dà
alcuna soddisfacente risposta, limitandosi a scrivere che le conversazioni vanno valutate nel
loro insieme, dimenticando -in tal modo- l’approccio metodologicamente corretto, in base al
quale gli elementi vanno, prima, singolarmente analizzati e, solo dopo, sinteticamente valutati.
Con riferimento ad altra conversazione, ritenuta significativa nel provvedimento impugnato,
vale a dire quella in cui l’assessore Paolella sembra fare riferimento a una riunione nel suo
appartamento, il collegio cautelare arbitrariamente ritiene che si tratti di una riunione alla
quale partecipavano sia il sindaco Martinelli che il latitante Martinelli. Il Paolella, viceversa, ha
sostenuto che trattavasi di una riunione degli appartenenti alla maggioranza, che si svolgeva a
casa sua; e che ciò sia realmente avvenuto è provato documentalmente dagli avvisi di
convocazione che la difesa è stata in grado di produrre.
6.4. d) Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 360 comma primo e terzo cpp in
relazione agli accertamenti tecnici condotti sul nastro carbografico installato nella macchina per
scrivere sequestrata in un appartamento di San Cipriano d’Aversa. Nel momento in cui fu
disposto l’accertamento tecnico, il nominativo di Martinelli Enrico era già iscritto nel registro
degli indagati e, dunque, trattandosi di atto irripetibile, come gli stessi esperti ebbero a

7. In data 24 settembre 2013 sono stati depositati motivi nuovi, con i quali si deduce
ancora violazione di legge (art. 416 bis cp) e manifesta illogicità della motivazione, rilevando
che l’impianto accusatorio si fonda essenzialmente sulla parola del Venosa, sulla base delle
quali si ipotizza la esistenza di un patto politico-mafioso. L’ipotesi, tuttavia è priva di
fondamento, in quanto, da un lato, il Venosa avrebbe mirato a un vantaggio personale
(dunque non della societas sceleris), dall’altro, avrebbe promesso i voti dei suoi familiari, non
dei sodali criminali. D’altra parte, se di patto sinallagmatico (tra Venosa e Martinelli) si deve
parlare, allora è evidente che i due non potevano militare nella medesima struttura criminosa.
Quanto ai cc.dd. “pizzini”, il tribunale non ha risposto ai rilievi mossi dalle Difese,e, comunque,
essi dimostrano che il Martinelli sindaco, non obbediva agli ordine del Martinelli boss.

qualificarlo, l’indagato avrebbe dovuto ricevere avviso per poter intervenire o far intervenire il
suo difensore. La irripetibilità atteneva alla fase di estrazione e srotolamento del nastro, fase
nella quale lo stesso avrebbe potuto essere manipolato o comunque danneggiato. Secondo il
tribunale partenopeo, l’avviso non avrebbe potuto essere dato al Martinelli, in quanto, solo a
seguito della ricostruzione dei messaggi scritti con la predetta macchina (i cc.dd. “pizzini”), era
emerso che essi riguardavano il ricorrente. L’assunto non è corretto, in quanto si trattava di un
accertamento tecnico su di un oggetto che, benché sequestrato nell’ambito di altro
procedimento, era stato ritenuto pertinente al procedimento nel quale risultava indagato il
Martinelli. Ne consegue, contrariamente a quel che ritiene il tribunale del riesame, la
inutilizzabilità del contenuto dei cosiddetti “pizzini”, che, per l’assunto accusatorio,
proverebbero la soggezione del sindaco Martinelli al suo più anziano omonimo. La macchina
per scrivere fu sequestrata in danno di tali signori Locusta; ebbene neanche costoro ricevettero
avviso per l’accertamento tecnico.
È da rilevare che l’eccezione di nullità, eventualmente limitata ai Locusta, ben può essere
dedotta dalla difesa del Martinelli, in quanto da tale omissione è derivata al predetto uno
specifico e attuale pregiudizio.
6.5. e) Violazione ed erronea applicazione degli articoli degli articoli 121,178 lett. c)
180,292 cpp con riferimento all’omesso esame del motivo relativo alla incompletezza
dell’accertamento eseguito sulla macchina da scrivere per mancata effettuazione della verifica
di compatibilità dattilografica, nonché con riferimento al mancato esame e valutazione delle
relazioni di consulenza firma dei consulenti Granata, Biondi e Bruzzone.
6.6. f) Violazione degli articoli 178 lett c), 180, 292 cpp in riferimento al mancato
esame della prova documentale attestante l’impegno del sindaco Martinelli nell’azione di
contrasto al clan dei casalesi, come emerge anche dalla documentazione della Commissione di
Accesso e da sentenze del giudice amministrativo.
6.7. g) Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416 bis cp in quanto non si
comprende, a tutto voler concedere, come la condotta del Martinelli possa essere inquadrata
nel paradigma criminoso di partecipazione all’associazione di stampo mafioso. Non è dato
comprendere perché Martinelli debba essere qualificato membro di una siffatta associazione e
quindi soggetto entratone a farne parte con obbligo di impegnarsi a realizzare il programma
operativo. La vicenda dei “pizzini”, al massimo, starebbe a provare il tentativo di opporsi e di
resistere nei confronti dei desiderata del capo dell’associazione malavitosa.
6.8. h) Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 275 comma terzo cpp in
relazione alla ritenuta sussistenza di presunzione di esigenze cautelari, per la mancata risposta
alle deduzioni illustrate e documentate dalla difesa con le sue memorie. In particolare, il
tribunale non ha tenuto conto del fatto che le dimissioni dalla carica di sindaco, come
ampiamente provato da pareri di esperti di diritto amministrativo, hanno prodotto l’effetto
della ineleggibilità futura del Martinelli.

8. Ricorso avv. Martino
8.1. Deduce violazione dell’articolo 311 cpp e degli articoli 273, 192, 292, 275, 274
stesso codice, nonché carenza dell’apparato argomentativo e motivazionale.
In particolare, la contraddittorietà e la manifesta illogicità si riscontrano in relazione ai
presupposti di utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, nonché ai
presupposti di utilizzabilità in ordine alla valenza indiziaria dei pretesi riscontri derivanti dalle
operazioni di captazione di conversazioni, e inoltre in relazione alla indicazione degli elementi
di fatto, dai quali sono desunti i gravi indizi di colpevolezza a carico del Martinelli, in ordine alla ,.._

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prestazione di un contributo consapevole alla vita del sodalizio e, infine, all’esposizione dei
motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti alla difesa. Neanche è stata
presa in considerazione -poi- l’ipotesi di una diversa, eventuale qualificazione giuridica del
fatto, ai sensi degli articoli 110, 416 bis cp. Infine, carenze argomentative si rinvengono anche
con riferimento alle ritenute esigenze cautelari che imporrebbero l’applicazione della misura
della custodia carceraria.
Va innanzitutto considerato che la permanenza del delitto contestato al Martinelli viene indicata
come protrattasi fino all’agosto del 2007. Il collegio giudicante pretende di aver individuato
una correlazione tra l’esercizio della funzione pubblica del Martinelli e il periodo di latitanza del
suo omonimo. Ebbene, le cose non stanno così, in quanto la carriera politica del Martinelli ebbe
inizio già nel 1994 e proseguì fino al momento del suo arresto. Vi è dunque una sfasatura
temporale nelle contestazioni con riferimento ai fatti come accertati. D’altra parte, il tribunale
partenopeo non prende posizione circa una diversa ricostruzione dei fatti. E invero le ipotesi
astrattamente formulabili sono due: la prima che prevede che Martinelli sia un uomo del clan
e, per tale ragione, venga politicamente sostenuto; la seconda, in base alla quale Martinelli
non è un uomo del dan e quindi egli ha un rapporto di accordo e scambio con Venosa. In
realtà poi, se si esaminano le dichiarazioni di quest’ultimo, si giunge agevolmente alla
conclusione che l’appoggio elettorale gli sarebbe stato richiesto, non in quanto esponente di
una consorteria camorristica, ma in quanto appartenente a una famiglia numerosa, dunque
come persona in grado di gestire un cospicuo pacchetto di voti.
8.2. D’altra parte, all’interno del racconto del Venosa, si devono distinguere due parti:
la prima, nella quale egli parla dei rapporti personali e diretti con il sindaco, la seconda che è
certamente de relato e si riferisce al ruolo che il sindaco avrebbe assunto rispetto al sodalizio
delinquenziale. Ebbene, il tribunale napoletano sembra non far distinzione tra queste due, pur
distinguibili, categorie di informazioni.
8.3. Quanto alla intrinseca credibilità del Venosa, si deve considerare che lo stesso ha
riportato condanna per associazione di tipo camorristico con contestazione chiusa al 15
settembre 2005; ne consegue che, nei periodi successivi, lo stesso non può considerarsi un
associato. Dunque: la presunzione in base alla quale egli sarebbe depositario di notizie e
segreti interni alla camorra di San Cipriano d’Aversa non ha fondamento negli atti di causa. Il
preteso riscontro documentale, poi, alle dichiarazioni del Venosa consisterebbe nella esistenza
di una sas, nella quale il predetto non risulta, almeno dal punto di vista documentale,
assolutamente coinvolto. Non si vede la concludenza di un simile fatto. Neanche va trascurato
poi che, di fatto, Venosa non ottenne dal sindaco la concessione per gestire l’istituendo
“mercato delle pulci” e ciò accadde, non perché egli fu poi arrestato, ma perché Martinelli, in
realtà, non si attivò per nulla in tal senso. Invero, il Venosa fu arrestato a distanza di due mesi
dal presunto giorno del colloquio con il Martinelli e il Martinelli ben avrebbe potuto, se avesse
voluto curare particolarmente la posizione del Venosa, imprimere un’accelerazione alle pratiche
burocratiche. Tutto ciò non è affatto accaduto, né alcuno sostiene che lo sia. Ebbene, tali
circostanze e considerazioni erano state rappresentate al collegio cautelare, il quale, tuttavia,
non ha minimamente replicato.
8.4. Quanto ai motivi di astio che ben possono aver indotto il Venosa a formulare
accuse calunniose nei confronti del Martinelli, anche nel ricorso dell’avvocato Martino, si fa
parola dell’abbattimento del muro e si svolgono considerazioni analoghe a quelle illustrate con
riferimento al ricorso dell’avvocato Majello; lo stesso dicasi per quel che riguarda la “vicenda
Della Gatta”, a proposito della quale si fa notare che, in realtà, il controllo cui fanno riferimento
i carabinieri e di cui è parola nell’ordinanza ricorsa consentì di accertare, non che il Venosa si
tratteneva con il Della Gatta, ma che Martinelli era in compagnia del predetto. Si tratta dunque
di un riscontro apparente, dovuto ad un travisamento della prova, addebitabile agli inquirenti.
Peraltro, sempre nelle parole del Venosa, si riscontrano imprecisioni ed errori, come quando
egli indica erroneamente l’ingegner Serao quale tecnico del Comune, laddove l’incarico in
questione era rivestito dell’ingegner Aversano; così come lo stesso erra nell’indicare l’importo
dell’appalto, che non era di 5 milioni di euro, ma per somma superiore. Si tratta di discrasie
significative, che ingiustamente vengono trascurate e minimizzate dal collegio cautelare. In
ogni caso, nessuno è stato in grado di indicare quale eventuale specifico contributo avrebbe
apportato alla vicenda il sindaco Martinelli, magari indicando anche a chi -in concreto- l’appalto
venne poi attribuito. In sintesi: il collegio cautelare cade in continue petizioni di principio,
dando per dimostrato ciò che avrebbe dovuto dimostrare.

Non diversamente si deve dire per quel che riguarda la conversazione intercettata tra brio
Massimo, Diana Marco, Del Villano Vincenzo e Cristiano Vincenzo, conversazione che
l’ordinanza, peraltro, non riporta nella sua interezza e alla quale pure attribuisce importanza
decisiva. È viceversa evidente che detta conversazione non può costituire riscontro alle
dichiarazioni del Venosa, in quanto non vi è assoluta corrispondenza temporale dei fatti riferiti
dal predetto con l’oggetto della conversazione. Va poi rilevato che Diana non fa riferimento alla
data dell’ipotetico incontro e che l’unico elemento per risalire al periodo temporale è
rappresentato dall’indicazione che fa riferimento ai “primi passi” del Martinelli come sindaco. È
dunque presumibile che ci si riferisca all’anno 2004 o a un periodo temporale immediatamente
prossimo e neanche può affermarsi che, in quel periodo, Martinelli Enrico, classe 1964, fosse
latitante.
8.5. Quanto alle dichiarazioni provenienti dal collaboratore di giustizia Lucariello, a parte
il fatto che non è stato prodotto il testo integrale dette dichiarazioni, resta la circostanza che
non vi è nessuna prova che costui fosse un personaggio apicale della struttura camorristica
nella quale assume di aver prestato militanza. Le sue dichiarazioni poi sono chiaramente de
relato e prive di qualsiasi riscontro, anche perché, ogni volta che un riscontro è stato cercato,
esso non è stato trovato. Ai giudici del riesame -inoltre- è sfuggito che le circostanze riferite
da quest’ultimo “pentito” risalgono a un periodo non corrispondente a quello in cui va
inquadrato il racconto del Venosa e, dunque, anche sotto questo aspetto, le due dichiarazioni
non possono ritenersi convergenti.
8.6. Quanto alla riunione a casa del Paolella, non si comprende perché il tribunale del
riesame non creda che si sia trattato di una riunione dei consiglieri di maggioranza. Lo stato
d’ansia del padrone di casa è adeguatamente stato spiegato dallo stesso, il quale riferì che i
consiglieri Russo e Zippo si ponevano in maniera aggressive e fastidiosa nei suoi confronti.
8.7. Quanto alle intercettazioni eseguite, il collegio non si è posto il problema di una
eventuale, diversa (e pur possibile nel caso di specie) lettura alternativa della loro significato e
comunque non ha chiarito perché non siano credibili le ipotesi ricostruttive fornite alla difesa.
8.8. Del tutto travisati poi sono i contenuti dei cosiddetti “pizzini” e, anche in tal caso, le
argomentazioni difensive vengono semplicemente ignorate, così come ignorata, minimizzata e
pretermessa è la significativa azione di contrasto al dan messa in campo dal sindaco Martinelli,
azione certificata da documenti ufficiali riferibili ad organi dello Stato. Tali iniziative si
concretarono anche in provvedimenti ablativi, in vere e proprie confische di beni appartenenti
a soggetti ritenuti gravitanti nell’orbita dell’associazione camorristica dei casalesi (e
specificamente anche del boss Martinelli). Ebbene tutto ciò, per il collegio cautelare, non conta
o costituisce un puro e semplice mascheramento della effettiva condotta del ricorrente.
8.9. Per quanto specificamente riguarda la campagna elettorale del Martinelli, non vi è
alcuna prova, e dunque alcuna motivazione, circa il fatto che il voto sarebbe stato ottenuto
mediante programmatico ricorso a forme di intimidazione mafiosa, ovvero avvalendosi della
forza della minaccia che il dan dei casalesi avrebbero potuto mettere in campo. Anche su
questo punto, il collegio cautelare non ha speso una parola di motivazione, così come alcuna
motivazione esiste circa gli elementi costitutivi dell’a ffectio societatsi, che deve connotare
l’operato dell’associato. Le condotte ascritte al Martinelli, seppur fossero sussistenti, al
massimo dovrebbero essergli attribuite a titolo di concorso esterno, ma, a ben vedere,
neanche di tale ipotesi criminosa si può parlare.
8.10. Quanto alle esigenze cautelari, di nuovo la motivazione è carente, atteso che il
tribunale partenopeo sostiene che il legame del Martinelli con l’omonimo parente si sarebbe poi
esteso all’intero dan nel suo insieme. Si tratta di un’affermazione apodittica e priva di qualsiasi
riscontro e di qualsiasi argomentazione basata su dati fattuali; né la pericolosità sociale del
Martinelli può essere rinvenuta nelle parole del Venosa, atteso che, a tutto voler concedere, lo
“scambio di favori” con lo stesso sarebbe avvenuto sulla base di un interesse diretto e
personale del Venosa e non certo per favorire un eventuale dan, atteso anche che, come
premesso, la militanza camorristica del Venosa deve ritenersi terminata nel settembre 2005.
Non vi è dunque alcun elemento al quale ancorare la presunzione di attualità del legame e,
quindi, la pretesa di attualità della pericolosità, né va trascurato che il boss è stato tratto in
arresto e che dunque l’unico ipotizzabile contatto del Martinelli è di fatto stato troncato.
Il ricorrente, comunque, ha sempre mostrato atteggiamento collaborativo, ad esempio,
nell’interrogatorio reso ai sensi dell’articolo 294 del codice di rito. Lo stesso ha chiarito la
portata di alcuni dati, apparentemente criptici e ha riferito tutto quanto a sua conoscenza.

Infine, va rilevato che avendo, per ben due volte, rassegnato le dimissioni, il Martinelli non è
più rieleggibile alla carica di sindaco e, per tanto, non potrebbe, neanche in ipotesi, fornire più
alcun utile contributo al clan del quale pretesamente egli farebbe parte

1. La sola censura sub d) -oltre alla conseguente e collegata censura sub e)- appare,
allo stato, fondata; nondimeno i ricorsi meritano rigetto, non sussistendo le altre denunziate
violazioni di legge e rimanendo comunque saldo l’apparato motivazionale, a seguito della
verifica condotta alla luce della così detta “prova di resistenza”.
1.1. In merito alla natura -ripetibile o irripetibile- dell’accertamento tecnico condotto sul
nastro carbografico, il tribunale non ha assunto una posizione netta e precisa, limitandosi a
osservare che, quando anche si fosse trattato di atto irripetibile, il Pubblico Ministero si era
trovato nella impossibilità materiale di dare avviso al Martinelli, in quanto l’Organo dell’accusa
non poteva sapere ex ante che proprio il nome del ricorrente sarebbe scaturito dai ricordati
accertamenti.
Trattasi di una opzione motivazionale non corretta, a fronte delle precise doglianze
dell’impugnante, il quale ha sostenuto apertis verbis la natura di atto irripetibile
dell’accertamento sul nastro della macchina per scrivere in sequestro.
Tale (errata) opzione costringe questo giudice di legittimità a ritenere carente, sul punto, la
risposta motivazionale e ad assumere doverosa posizione garantista, ipotizzando, allo stato,
che si sia trattato di accertamenti non ripetibili.
1.2. Si legge nel provvedimento impugnato che il nominativo del Martinelli fu iscritto nel
registro di cui all’articolo 335 cpp il 23 febbraio 2010 (con la precisazione, per altro, che la
decorrenza andava retrodatata al 16 novembre 2009). Ebbene l’accertamento sul nastro della
macchina per scrivere sequestrata in un immobile di pertinenza di tale Locusta Danilo Raffaele,
sempre in base a quanto si legge nel provvedimento ricorso, ebbe luogo il 12 maggio 2010. Il
tribunale del riesame non sembra negare il fatto che lo smontaggio, l’estrazione e lo
srotolamento costituiscano accertamenti tecnici di natura non ripetibile (sul punto avanza
semplici dubbi), ma sostiene, come si è anticipato, che l’avviso ai sensi dell’articolo 360 del
codice di rito, non avrebbe potuto esser dato al Martinelli, in quanto, solo all’esito della
compiuta consulenza tecnica, era emerso che i “pizzini” redatti con la predetta macchina erano
indirizzati (anche) al ricorrente. Per la precisione, il collegio cautelare (cfr. pag. 25
dell’ordinanza) riferisce che il sequestro della macchina per scrivere avvenne nell’ambito di
separato procedimento giudiziario, per altro, in carico alla Procura della Repubblica presso il
tribunale di Santa Maria Capua Vetere (che convalidò l’atto di indagine). Successivamente, si
apprende sempre dal provvedimento impugnato, gli atti (ed evidentemente la res in sequestro)
furono trasmessi alla Direzione distrettuale antimafia presso la Procura della Repubblica
napoletana e furono “inseriti” (così si legge) in un fascicolo processuale intestato a numerosi
nominativi, tra i quali vi era quello dell’attuale ricorrente.
1.3. È allora evidente che, nel disporre un accertamento tecnico -ritenuto, a torto o a
ragione, irripetibile- nell’ambito di un procedimento penale in fase di indagini a carico di
soggetti noti, era onere degli inquirenti attivare la procedura di cui all’articolo 360 cpp, dando
avviso a tutti gli indagati (e dunque anche al Martinelli), in quanto, evidentemente, proprio
nell’ambito del predetto procedimento, si intendeva utilizzare le eventuali risultanze scaturenti
dal disposto accertamento. Il fatto che il nominativo del Martinelli sia emerso solamente
all’esito della consulenza non giustifica l’omissione dell’avviso, in quanto l’accertamento
tecnico, per sua natura, è solo potenzialmente in grado di dare risultati -favorevoli o
sfavorevoli- agli indagati, ma è proprio perché detti risultati -se conseguibili con accertamento
non più ripetibile- devono essere acquisiti nel contraddittorio delle parti che il codice prevede
che, appunto, le parti (e dunque certamente i soggetti già iscritti nel registro degli indagati)
siano avvisate; esse potranno così valutare se intervenire e farsi assistere da loro consulenti,
e, inoltre, il solo indagato potrà decidere se attivare la procedura di cui al quarto comma
dell’articolo 360 cpp.
In altre parole, una volta che l’accertamento tecnico sia disposto nell’ambito di un
procedimento a carico di persone note (e sia anche semplicemente ipotizzabile -come nel caso
in esame- che detto accertamento possa riguardare taluno degli indagati), il Pubblico

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Nonostante ciò, come premesso, sulla base del provvedimento impugnato e delle
stesse affermazioni contenute nei ricorsi, deve ritenersi -pur non potendosene, per quel che si
è detto sopra, utilizzare il contenuto- che effettivamente Martinelli Enrico del 1964 ebbe a
inviare “pizzini” al suo omonimo (classe 1971), rivestente all’epoca la qualifica di sindaco. Di
ciò infatti è traccia in una intercettazione telefonica (cfr. pag. 21 del provvedimento
impugnato), in cui colloquianti, Abbatiello e Zippo parlano, per l’appunto, di un biglietto che il
boss aveva inviato al sindaco, biglietto che conteneva disposizioni su di un appalto, rispetto al
quale non dovevano comparire ufficialmente i colloquianti stessi (anch’essi indagati nel
presente procedimento), anche se “l’affare” era certamente di loro pertinenza. Si tratta,
evidentemente, di un elemento, già di per sé, significativo e che -comunque- vale a
corroborare le accuse del collaboratore di giustizia Venosa, il quale, riferendo di una sua
personale vicenda collusiva col sindaco Martinelli, “allarga” poi il discorso alla attività di
complice appoggio che il ricorrente forniva al clan per quel riguarda gli appalti che dovevano
avere svolgimento nel comune da lui amministrato (“il Martinelli è sempre stato a disposizione
degli uomini del clan ed aveva un rapporto privilegiato con il suo omonimo Enrico Martinelli,
noto braccio destro di Antonio Iovine e legatissimo a Caterino Giuseppe”).
2.1. Non è dunque esatto che l’ipotesi accusatoria -come si afferma nei ricorsi e nei
motivi aggiunti- si fondi tutta ed esclusivamente sulla parola del Venosa.
Al proposito, è il caso di ricordare che Martinelli Enrico è chiamato a rispondere, nel
procedimento in corso, del reato associativo di cui all’articolo 416 bis cp e non di individuati e
specifici reati-fine attinenti all’assegnazione degli appalti, di talché le dichiarazioni di Venosa
hanno un valore principalmente sintomatico dell’intraneità del pubblico amministratore rispetto
al dan camorristico. È dunque irrilevante accertare se poi effettivamente, nel caso di specie, il
Venosa abbia ottenuto la concessione per la gestione del “mercato delle pulci” e quale sia la
ragione per cui il business non andò in porto.
2.2. Sempre in tema di conversazioni intercettate, il provvedimento impugnato (cfr.
pag. 14 ss.) mette in evidenza come dal colloquio tra Diana e altri emerga la sudditanza del
sindaco rispetto boss, dal quale il primo riceveva ordini (oltre a violente “lavate di capo”) e nei
confronti del quale aveva evidentemente un atteggiamento remissivo, tanto da sopportare
anche ingiurie ed umiliazioni (“…tu non rappresenti un cazzo…..” ecc.).
Al proposito è appena il caso di ricordare che costituisce ormai jus recptum (cfr. ASN
201021878-RV 247447 e, prima ancora, ASN 200113614-RV 218392) il principio in base al
quale il contenuto di un’intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno
di terza persona, indicata come concorrente in un reato, non è equiparabile alla chiamata in
correità e, pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e
valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all’art.
192, comma terzo, cpp.
2.3. Le due conversazioni appena ricordate, peraltro, non sembra siano toccate dalla
radicale critica che, nel primo ricorso (avv. Majello), si appunta sulla presunta infedeltà delle
trascrizioni operate dai Carabinieri (censura sub c).
Al proposito, è evidente che il ricorrente non può aver inteso sottoporre a questa corte di
legittimità, puramente e semplicemente, una diversa trascrizione delle parole dei colloquianti,
quasi che questo collegio debba “scegliere” tra la versione dei Carabinieri e quella del
consulente Gupperi. Il proposito del ricorrente è (e non può essere altro che) quello di
evidenziare come, in presenza di una possibile (e non palesemente infondata, perché
certificata da un esperto in materia) alternativa ricostruzione del contenuto dei colloqui, il
tribunale napoletano abbia acriticamente sposato la tesi degli inquirenti.
Tuttavia, da un lato, le censure del ricorrente non intaccano, come si è già detto, le due
conversazioni cui sopra si è fatto cenno -che sono certamente tra le più rilevanti e concludenti

Ministero, se trattasi di accertamento non ripetibile, non può esimersi dall’obbligo di seguire le
procedure di cui all’articolo 360 del codice di rito.
L’omissione, dunque, nel caso di specie, rivela la colpevole inerzia dell’ufficio di Procura,
ovvero un’errata valutazione preliminare dei potenziali esiti dell’accertamento in questione.
1.4. Ne consegue che, evidentemente, il contenuto dei “pizzini”, ricostruito attraverso
l’esame del nastro carbografico della macchina per scrivere in sequestro, deve ritenersi, allo
stato, non utilizzabile, in quanto, in assenza di prova del contrario e per quel che lo stesso
tribunale del riesame sembra ritenere, trattavasi di accertamento tecnico irripetibile.

3. Quanto alla censura sub a) del ricorso dell’avv. Majello e delle corrispondenti censure
contenute nel ricorso dell’avv. Martino, sembra superfluo ricordare che la motivazione
“mercenaria” che, quasi sempre, spinge alla collaborazione, non è, di per sé, indice di
insincerità delle dichiarazioni rese dal “pentito”. Lo scopo della legge 82/91 e delle successive
modifiche (segnatamente quella apportate dalla legge 45/01) è apertamente quello di
consentire un “percorso di uscita” alle persone che hanno militato nelle organizzazioni
criminali, offrendo loro, innanzitutto, protezione, quindi, assistenza economica e, ancora,
possibilità di rilevanti sconti di pena. E dunque la stessa ratio della legge che prevede un
rapporto di scambio tra il collaboratore e lo Stato. In un certo senso, può dirsi che il
collaboratore di giustizia “venda” notizie e informazioni, in cambio di un significativo
mutamento di status
(personale, giudiziario, economico). Naturalmente tali notizie e
informazioni vanno verificate e le stesse vanno “pagate” solo se riscontrate come utili e
veritiere. Il legislatore, peraltro, parte dal presupposto che il contributo di soggetti già
appartenenti a organizzazioni criminose debba essere attentamente vagliato sul piano
processuale e pertanto ha introdotto, come è noto, la norma di cautela di cui all’articolo 192
comma terzo cpp. Tuttavia, come è errato un preconcetto e fideistico atteggiamento nei
confronti del dichiarante, così è da rifiutare l’opposto preconcetto, vale a dire quello in base al
quale il “pentito” abbia interesse a mentire. In realtà, perlomeno ragionando in astratto e
facendo riferimento all’id quod plerumque accidit, il collaboratore ha interesse a riferire notizie
vere e verificabili, pena la sua espulsione dal programma di protezione (o la mancata
ammissione allo stesso), il che determina una pericolosissima posizione soggettiva nei
confronti degli antichi sodali.
3.1. Tanto premesso, la preliminare valutazione di credibilità che va condotta sul
dichiarante, solo da un punto di vista concettuale e astratto, può essere esperita in tempi
rigidamente separati dalla complessiva valutazione di attendibilità, quasi che Vanimus di un
soggetto fosse scandagliabile attraverso strumenti diversi da quelli che l’analisi e
l’interpretazione delle sue condotte può suggerire.
Certamente, nel valutare prima facie la potenziale credibilità di un collaboratore di giustizia,
non si può trascurare di conoscere quella che era la sua posizione all’interno della struttura
malavitosa nella quale ha militato, essendo evidente che posizioni di vertice o specifiche
mansioni esecutive determinano la conoscenza di fatti e notizie che ben possono essere ignote
ai semplici gregari o ad oscuri “manovali del crimine”.
3.2. D’altra parte, quando la collaborazione con la giustizia è agli inizi, e si deve
preliminarmente valutare -in astratto appunto- la credibilità del collaboratore (o aspirante tale)
il giudicante, ma anche il requirente, non ha, evidentemente, la possibilità di fare affidamento
su pregresse pronunzie, che possano attestare, appunto, il credito del quale il collaboratore ha
già goduto presso l’autorità giudiziaria.
E tale possibilità, ovviamente, non ha perché pregresse pronunzie (ancora) non esistono.
Diversamente ragionando, ne conseguirebbe, paradossalmente, che chi ha appena iniziato la
collaborazione non potrebbe mai, nemmeno provvisoriamente e in ipotesi, godere del credito
della astratta credibilità.
3.3. Venendo al caso in esame, il tribunale partenopeo si è soffermato adeguatamente
sul ruolo apicale del Venosa, sulla sua lunga militanza criminale (frutto anche di una poco
gloriosa “tradizione di famiglia”), sulle dichiarazioni di altri -e già collaudati- “pentiti”, che
hanno confermato che il predetto era inserito, a livelli elevati, nella struttura camorristica
operante in San Cipriano d’Aversa.
Il fatto che, come si legge nel ricorso dell’avv. Martino, la condanna per il reato associativo
riportata dal Venosa faccia riferimento, come termine finale, all’anno 2005, non sta certamente
a significare che lo stesso, in mancanza di un accertamento giudiziale, abbia perso i contatti
con il mondo criminale dal quale proviene. D’altra parte -e lo si evince dal ricorso dell’avv.

in termini di indizi di colpevolezza- dall’altro, non sembra che, francamente, la (parzialmente)
diversa trascrizione del consulente di parte valga a scalfire il nucleo essenziale del contenuto
dei colloqui, come ricostruito dai Carabinieri e fatto proprio, prima dal Pubblico Ministero, poi
dal GIP e, in fine, dal tribunale del riesame.
2.4. La censura sub c) è, dunque, infondata, ai limiti della inammissibilità, così come
infondata è la corrispondente censura, contenuta nel -diversamente articolato- ricorso
sottoscritto dall’avv. Martino.

4. Manifestamente infondata è poi l’argomentazione in base alla quale, se l’accordo tra il
sindaco e il Venosa aveva natura sinallagmatica, allora non è concepibile che entrambi
facessero parte della medesima organizzazione criminale (cfr. motivi aggiunti ricorso avv.
Majello). L’assunto poggia evidentemente sull’erroneo presupposto che le organizzazioni
camorristiche siano regolate da una disciplina da “caserma prussiana” e che, quindi, nulla
possa avvenire al di fuori della rigida normativa criminale, che dovrebbe disciplinarne la vita.
Le massime di esperienza, in realtà, sono nel senso contrario e stanno a indicare che,
all’interno delle organizzazioni malavitose (e in specie in ambito camorristico), i singoli
associati si rapportano alquanto liberamente gli uni con gli altri, stringendo, se del caso, anche
accordi separati, personali e reciprocamente vantaggiosi.
5. Il collegio cautelare ha anche ritenuto non sussistenti serie ragioni di astio o
inimicizia fra Venosa e Martinelli, giudicando “l’episodio del muro” un fatto di non tale gravità
da determinare il primo ad accusare ingiustamente secondo. Si tratta di una valutazione di
merito, che questo giudice non può sindacare, se non alla luce -come si dirà in seguito- della
cogenza di quegli atti dovuti, atti che persino un sindaco colluso con le organizzazioni criminali
non può fare a meno di porre in essere, se “costretto” dalle contingenze del caso.
5.1. Quanto alle dichiarazioni del Della Gatta, la motivazione addotta dal tribunale del
riesame non appare manifestamente illogica; essa è frutto di una coerente valutazione della
posizione del Della Gatta stesso, la cui vicinanza, tanto al sindaco, quanto al Venosa, è dedotta
dall’esito dei controlli di polizia citati nel provvedimento impugnato. Al proposito, è da rilevare
che le osservazioni mosse dei Difensori appaiono intrinsecamente contraddittorie e quindi di
scarsa concludenza. E invero: a pag. 8 del ricorso avv. Majello si legge (penultimo rigo) che il
controllo sarebbe avvenuto in data 22 febbraio 2002 (dunque in data precedente all’incontro
tra Martinelli e Venosa a casa Della Gatta) e che avrebbe accertato la contemporanea presenza
di Martinelli e Della Gatta. I due -dunque- già si conoscevano e ciò rende credibile che il
secondo possa aver messo a disposizione la sua abitazione perché il sindaco potesse incontrare
riservatamente un notorio delinquente.
5.2. Infine, per quello che riguarda le dichiarazioni del Diana, i giudicanti, non
illogicamente, ritengono di attribuire maggiore credibilità alle parole spontaneamente
pronunciate nel corso di una conversazione telefonica (da un soggetto inconsapevole che altri
stesse ascoltando e registrando), piuttosto che alle affermazioni contenute nel verbale reso

Majello- a carico del Venosa pendono ulteriori procedimenti e lo stesso, evidentemente per le
sue dichiarazioni autoaccusatorie, deve essere indagato anche nel procedimento a carico del
Martinelli.
Quanto a quest’ultimo, va rilevato che la condotta gli è contestata come tenuta “almeno” fino
all’agosto 2007; il che sta a significare che detta condotta ben può essersi protratta oltre la
data in questione.
D’altra parte, le discrasie temporali lamentate nel ricorso dell’avv. Martino, seppur fossero
sussistenti, sarebbero di scarso rilievo, in quanto ciò che si contesta, allo stato, a Martinelli,
non è, come si è già scritto, la partecipazione a singoli reati-fine, ma l’appartenenza stabile
all’associazione malavitosa, nella quale erano inseriti tanto il suo omonimo (classe 1964),
quanto il Venosa stesso. Da questo punto di vista, non ha rilievo il fatto che la carriera politica
del ricorrente abbia avuto inizio nel 1994, ovvero posteriormente; ciò che rileva è che lo
stesso, guanto meno a un certo punto, si avvalse dell’appoggio della struttura camorristica
operante%S
-àn Cipriano d’Aversa.
3.4. E’ poi pretestuoso l’argomento in base al quale l’appoggio elettorale sarebbe stato
richiesto al Venosa in quanto appartenente a una famiglia numerosa e non anche in quanto
esponente di spicco di un dan malavitoso. Il collaborante, forse è inserito in una famiglia
numerosa, ma trattavasi, come sopra accennato con riferimento alle “tradizioni criminali” di
famiglia, di una famiglia di spicco nel firmamento delinquenziale della zona casertana e,
dunque, l’aperto appoggio che i Venosa potevano assicurare al Martinelli era un fatto, di per
sé, significativo, simbolico e paradigmatico. In tal senso, evidentemente, l’ha inteso il collegio
cautelare, anche in considerazione del fatto che, in zone permeate dalla ossessiva e capillare
presenza della criminalità camorristica, non è certo necessario che, ogni volta, la struttura
criminale, per ottenere i suoi scopi, ricorra a espliciti atti di intimidazione o a manifeste
condotte di pressione.

6. Infondate sono anche le censure relative al contributo offerto dal collaboratore
Lucariello, le cui dichiarazioni sono solo in parte de relato (ma non per questo certamente
inutilizzabili: cfr. S.U. sent. n. 20804 del 2013 -ud. 29 novembre 2012- ric. Aquilina e altri),
atteso che (cfr. pag. 19 dell’ordinanza impugnata), si dà atto che il predetto collaborante è
stato personalmente presente agli incontri tra i due Martinelli, incontri avvenuti quando il boss
era detenuto ed era tradotto in aula per la trattazione del processo a suo carico. In quelle
circostanze, il ricorrente, approfittando della sua veste di avvocato, si avvicinava
frequentemente all’omonimo, con il quale aveva colloqui, suscitando -peraltro- l’imbarazzo, se
non addirittura l’ira, del boss, il quale riteneva inutilmente rischiosi tali pubblici colloqui con il
sindaco del suo comune.
6.1. Quanto all’intrinseca credibilità del Lucariello, vale quanto appena scritto in ordine
al Venosa, considerando che la posizione apicale anche del Lucariello, per quel che si legge nel
provvedimento impugnato, non è un ruolo autoattribuito, ma è data per certa dal giudice del
riesame.
7. La censura sub f) e la corrispondente censura contenuta nel ricorso a firma dell’avv.
Martino sono manifestamente infondate, atteso che il tribunale del riesame non ha ignorato
quelle che sono state le “iniziative antimafia” del sindaco Martinelli, ma le ha giudicate atti
dovuti, ai quali lo stesso non poteva sottrarsi, in considerazione dell’attenzione -istituzionale e
mediatica- che si andava concentrando sul dan dei casalesi. D’altra parte, il collegio cautelare
ha ritenuto che, a fronte di tali, non evitabili, condotte, ben altri fossero gli elementi (sci/.
quelli puntualmente elencati nel provvedimento) militanti in senso contrario.
8. Quanto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti (censura sub g. avv. Majello e
corrispondente censura nel ricorso avv. Martino), l’intraneità e l’affectio societatis del
ricorrente, vengono dedotte, innanzitutto, dal contenuto delle conversazioni intercettate, e in
secondo luogo, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Si deve ripetere quanto già
sopra anticipato, vale a dire che Venosa riferisce certamente un episodio specifico, ma riferisce
anche della stabile disponibilità che il sindaco aveva nei confronti della societas scelerum. E
non si dica che si tratta di notizie de relato, in quanto, proprio per il ruolo apicale che lo stesso
rivestiva, egli era in possesso di quelle informazioni diffuse all’interno del dan e note a911
associati (maxime a quelli in posizione di vertice), associati che, per la stessa natura otel
sodalizio cui appartengono, partecipano di un comune patrimonio cognitivo (ASN 2010004977RV 245579; ASN 200906134-RV 243425 e altre precedenti).
8.1. D’altra parte, il tribunale napoletano non manca di porre in evidenza (sempre sulla
base delle eseguite intercettazioni) che il sindaco Martinelli -unitamente a quelli che gli
tenevano bordone (ad es. l’assessore Paolella)- strumentalizzava anche momenti istituzionali
della sua funzione per incontri con i boss, tanto è vero che a casa del Paolella, mascherato da
riunione dei consiglieri di maggioranza, si tenne un incontro con Martinelli Enrico, classe 1964.
La alternativa spiegazione fornita dal Paolella circa la ragione per la quale era allarmato e
nervoso (la condotta scorretta di due dei partecipanti) non supera la soglia della genericità e si
pone come una excusatio inaccettabile sul piano logico.
8.2. Tale essendo il quadro indiziario appare, allo stato, corretto ritenere, sotto il profilo
della valutazione cautelare, il Martinelli, non come un concorrente esterno, ma come un
associato pieno jure al dan camorristico attivo nel centro urbano del quale egli era sindaco.
9. Quanto infine alle esigenze cautelari, non può farsi a meno di prendere le mosse
dalla sentenza di annullamento con rinvio (37690/13), che questa stessa sezione ebbe a
pronunciare mesi addietro, sentenza con la quale si ricordava la consolidata giurisprudenza, in
base alla quale la presunzione di pericolosità di un appartenente a un’associazione di stampo
mafioso viene a cessare solo per comprovata rescissione del vincolo, ovvero per la cessata
operatività della associazione. Ebbene, mentre la perdurante operatività del dan dei casalesi è
notoria e comunque non viene posta in dubbio da nessuno dei ricorrenti, va detto che

quando era in corso un procedimento penale a carico di notori, pericolosi personaggi operanti
nel centro abitato nel quale il predetto Diana vive.
5.3. La censura sub a) del primo ricorso e la corrispondente censura del secondo ricorso
sono dunque infondate.

10. Consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
del grado. La cancelleria provvederà alle comunicazioni ai sensi dell’art. 94 disp. att. cpp.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; manda
alla Cancelleria per le comunicazioni ai sensi dell’art. 94 disp. att. cpp.

Così deciso in Roma, camera di consiglio in data 30 settembre 2013.-

certamente la rescissione del vincolo non può essere automaticamente dedotta neanche dallo
stato di detenzione dell’interessato. Nel caso in esame, poi, nemmeno la intervenuta
detenzione di Martinelli Enrico, classe 1964 (il boss), può, di per sé, avere incidenza
significativa, atteso che la tesi di accusa, fatta motivatamente propria dal tribunale del
riesame, è che il ricorrente aveva, ormai, instaurato rapporti con il dan in quanto tale e non
solo con il suo omonimo (e lontano parente).
9.1. Infine, la cessazione dalla carica istituzionale di sindaco di S. Cipriano di Aversa
non è circostanza di per sé dirimente (cfr. ASN 200633928-RV 234801), atteso che, anche al
di fuori dell’istituzione, in un piccolo centro abitato, pervaso dalla mentalità e dal costume
camorristico, il ruolo “politico” dell’ex sindaco ben può continuare ad avere la sua incidenza
(cfr. ASN 201206566-RV 252037).

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