Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50572 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 50572 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUARINI ANGELO RAFFAELE N. IL 04/02/1957
avverso la sentenza n. 961/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
13/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 24/10/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 13/4/2012, ha confermato quella
del Tribunale di Brindisi, che ha condannato Guarini Angelo Raffaele a pena di
giustizia per avere, quale gestore di fatto della SIMAR srl, dichiarata fallita il

219 L.F.).
I giudici hanno disatteso la tesi difensiva, secondo cui il dissesto è da imputare
alle pretese estorsive esercitate da Leo Giuseppe, mafioso locale, e all’attività
usuraria spiegata in danno dell’impresa da Leo Cosimo nel periodo 1995-98,
essendosi la società costituita solo nel 2000.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. Cosimo
Rosato, che si avvale di tre motivi.
2.1. Col primo si duole della “manifesta illogicità della motivazione” e del
“travisamento del fatto”. Lamenta, sotto detto profilo, la “evidente erroneità
della motivazione” rispetto “alla piattaforma probatoria utilizzata ai fini
decisionali”, rappresentata dai complessivi elementi di prova raccolti nel corso
del giudizio di primo grado (esame dell’imputato, verbali dibattimentali del proc.
pen. n. 312/2007 a carico di Leo Cosimo, verbali di prova del proced. Penale n.
231/2004 contro Guarini Carmen Simonetta, sentenze varie, ecc.). Deduce, al
riguardo, che erroneamente i giudici hanno ristretto il fuoco dell’indagine al
periodo 2000-2001, in quanto la società SIMAR srl non era altro che la
prosecuzione della ditta individuale della moglie dell’imputato, Rossetti Maria
Sofia, esercente la stessa attività commerciale, le cui problematiche, sorte nel
periodo antecedente, si riversarono sulla neo costituita società, pregiudicandone
il funzionamento
Sotto la medesima rubrica il ricorrente lamenta poi la violazione degli artt.
238/bis, 187 e 192 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione, avendo i
giudicanti disatteso la tesi della causalità usuraria sulla base della semplice
sentenza di assoluzione di Leo Cosimo, pronunciata nel proc. n. 312/2007, senza
un esame ragionato delle prove acquisite nel processo suddetto, né in quello n.
231/2004 celebrato a carico di Guarini Carmern Simonetta.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 54
cod. pen., in quanto lo stato di necessità è stato escluso nonostante il processo
abbia fornito la prova dell’esistenza di un pericolo grave ed attuale per
l’incolumità dell’imputato, stante l’accertata qualità mafiosa di Leo Giuseppe, a

2

25/9/2001, distratto dalle casse sociali la somma di € 523.651,80 (artt. 216 e

cui era collegato Leo Cosimo. Sottolinea, al riguardo, che proprio per evitare
pericoli alla sua persona il Guarini, all’insaputa dei familiari, si era trasferito a
Rimini nel 2001, dove sporse la denuncia per estorsione ed usura.
2.3. Col terzo motivo si duole della motivazione esibita per negare le attenuanti
generiche, siccome fondata sull’erronea applicazione di “norme processuali”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con i primi due motivi il ricorrente ripropone questioni già sottoposte al vaglio
del giudice di primo e secondo grado e da questi motivatamente disattese,
laddove è stato rilevato che nessuna prova – salve le libere propalazioni
dell’imputato – vi è delle pretese attività estorsive ed usurarie poste in essere in
danno della SIMAR srl, costituita nel 2000. Con logica motivazione i giudici
hanno poi escluso che la società possa essere stata oggetto di estorsione negli
anni 1995-1998 (quelli indicati dall’imputato) in considerazione del fatto che la
SIMAR srl non era stata ancora costituita (prenderà vita a gennaio 2000), e che
possa essere stata oggetto di attività usuraria (che avrebbe avuto inizio, secondo
il dire dell’imputato, a partire dal mese di settembre del 1999, allorché cominciò
a corrispondere a Leo Cosimo la somma di £ nove milioni a settimana), giacché
in questo modo non si spiega l’accantonamento di disponibilità liquide per il 2000
di C 369.961,41 e la liquidità di cassa per il 2001 di C 523.651,80. Trattasi di
motivazione ampia, congrua e logica che non è contraddetta né svilita dalle
deduzioni difensive, totalmente assertive e completamente avulse dalle
risultanze processuali. Né appare dotata di forza eversiva l’affermazione che la
SIMAR srl era prosecuzione di una ditta individuale esercitata dalla moglie
dell’imputato, già oggetto di pretese estorsive, giacché anche in questo caso non
si spiega come l’imprenditore abbia fatto fronte, nel 1995-1998, alle pretese
suddette, visto che la liquidità necessaria sarebbe stata conseguita, a suo dire,
solo negli anni di vita della società fallita. Oltretutto, si tratta, ancora una volta,
di affermazione indimostrata e contraddetta dal comportamento dell’imputato,

il

quale, proprio in concomitanza con la cessazione dell’attività sociale, si mostrò
capace di avvalersi degli strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento e di
ricorrere alla protezione delle forze dell’ordine, dimostrando una capacità di
autodeterminazione e di scelta dei comportamenti totalmente in contrasto con
l’asserita prostrazione degli anni precedenti.
Del tutto fuor di luogo è, poi, la pretesa di ottenere dal giudice di questo
processo una rivalutazione del materiale probatorio del procedimento n.
312/2007, celebrato a carico di Leo Cosimo, e n. 231/2004 celebrato a carico di
Guarini Carmern Simonetta, trattandosi di richiesta extra-ordinem, su cui il
3

Il ricorso è inammissibile.

giudicante ha, per ovvi motivi, omesso di soffermarsi (secondo il ricorrente, il
giudice di questa causa avrebbe dovuto esaminare gli atti dei processi sopra
specificati – terminati con l’assoluzione degli imputati Leo Cosimo e Giuseppe per giungere a conclusioni diverse e per lui più favorevoli).
Ugualmente inammissibile è il terzo motivo di ricorso, con cui viene lamentata
la “inosservanza di norme processuali” da parte del giudicante. Dovrebbe
trattarsi, sembra di capire, degli artt. 238/bis, 187 e 192 cod. proc. pen. (le sole
norme processuali menzionate dal ricorrente), che nemmeno in via pindarica è

alla normativa sostanziale penale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per legge, la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore
della Cassa delle ammende, che, tenuto conto dei motivi di ricorso, si stima equo
quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2013

possibile ricondurre alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ancorato

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