Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50572 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50572 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Aria Giovanna, nata a Napoli il 4/5/1950

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 7/1/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7/1/2015, il Tribunale di Napoli rigettava l’istanza di
revoca dell’ordine di demolizione emesso dal pubblico ministero in sede il
9/10/2013 nei confronti di Giovanna D’Aria; ripercorsa la vicenda (connotata
dalla revoca di una precedente ingiunzione dal medesimo contenuto, in data
2/7/2013, perché relativa a sentenza diversa da quella che interessava la
D’Aria), il Tribunale rilevava l’insussistenza di motivi idonei a revocare o
sospendere l’ordine in oggetto, specie alla luce della mancanza di qualsivoglia

Data Udienza: 11/11/2015

documentazione a fondamento dell’asserita presentazione di una domanda di
condono degli abusi.
2. Propone ricorso per cassazione la D’Aria, a mezzo del proprio difensore,
deducendo i seguenti motivi:
– violazione degli artt. 666, 670 cod. proc. pen.. Il Tribunale avrebbe
rigettato l’istanza senza rilevare che l’indicazione – nell’ordine di demolizione dello stesso numero di analogo provvedimento relativo a diverso soggetto non
aveva consentito di esercitare appieno il diritto di difesa; tanto che

momento, dichiarata inammissibile, sul presupposto che reiterasse l’istanza già
accolta con la prima ordinanza del 2/7/2013;
– mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale avrebbe
disatteso la fondamentale circostanza dell’avvenuta presentazione, da parte della
ricorrente, di una richiesta di condono; quel che avrebbe imposto quantomeno di
sospendere l’ordine di demolizione in esame.
3. Con requisitoria scritta del 22/5/2015, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; per un verso, infatti,
non sarebbe ravvisabile alcuna lesione al diritto di difesa e, per altro verso, la
mera presentazione della domanda di condono nulla garantirebbe circa il
possibile accoglimento della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente, rileva la Corte che l’Avv. Amedeo Valanzuolo, legale della
ricorrente, il 9/11/2015 ha fatto pervenire dichiarazione di adesione
all’astensione dalle udienze proclamata dalla Camera penale di Napoli per i giorni
9, 10, 11, 12 e 13 novembre 2015, chiedendo il rinvio dell’odierno giudizio;
orbene, l’istanza non può essere accolta, atteso che il procedimento in oggetto è
trattato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., e, pertanto,
in deroga a quanto previsto dall’art. 127 cod. proc. pen., senza l’intervento dei
difensori.
4. Quanto, poi, al merito, il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, risulta alla Corte davvero arduo scorgere in
quali termini si sarebbe realizzata una lesione al diritto di difesa e, pertanto, la
dedotta violazione di legge. Ed invero, l’originaria ingiunzione di demolizione,
recante un errato riferimento alla relativa sentenza di condanna, è stata revocata
dal Tribunale il 2/7/2013; il successivo 9/10/2013, la Procura della Repubblica
ha quindi emesso nuova ingiunzione, recante però il numero (49/12) della
precedente, sì che il Giudice dell’esecuzione – con ordinanza 25/3/2014 – ha

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l’impugnazione avverso la stessa (nuova) ingiunzione era stata, in un primo

dichiarato inammissibile l’istanza di revoca o sospensione di questa, sul
presupposto che la materia fosse stata già definita con l’ordinanza del 2/7/2013;
da ultimo, con il provvedimento qui gravato, il Tribunale ha revocato il proprio
del 25/3/2014, atteso che il pubblico ministero – con parere 27/3/2014 – aveva
evidenziato trattarsi di nuova e diversa ingiunzione, contenente corretti
riferimenti alla sentenza, pur recante il numero della precedente revocata nel
luglio 2013.
Orbene, così ripercorsi i termini (pacifici) della vicenda, rileva il Collegio che

ingiunzione di demolizione, così come ha avuto modo di impugnare ogni
provvedimento del Giudice dell’esecuzione a lei sfavorevole, come nel presente
caso; dal che, l’assenza di qualsivoglia lesione alle facoltà difensive, di certo non
ravvisabile nella mera conferma del numero di registro tra una precedente
ingiunzione e la successiva, in sé irrilevante.
5. Del tutto infondato, poi, risulta anche il secondo motivo in tema di
condono.
Costituisce pacifico indirizzo ermeneutico quello per cui, in materia di reati
edilizi, il Giudice dell’esecuzione investito della richiesta di revoca o
di sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive di cui all’art. 31
d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza
di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di
condanna, è tenuto ad esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del
procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato
dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la
durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare
la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (per
tutte, Sez. 3, n. 47263 del 25/9/2014, Russo, Rv. 261212). Ciò premesso, nel
caso di specie non è stato offerto al Tribunale alcun elemento da valutare
nell’ottica appena indicata, e non è stata neppure fornita prova documentale
dell’asserita domanda di condono, in tal senso oggetto soltanto di mera
deduzione difensiva; quel che l’ordinanza impugnata ben sottolinea, senza
ricevere al riguardo alcuna censura nel presente gravame.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché

la D’Aria ha avuto modo di conoscere ogni provvedimento a lei diretto in tema di

quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Il Presidente

Così deciso in Roma, 1’11 novembre 2015

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