Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50569 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50569 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Giardini

fano, nato ad Ancona il 9/6/1962

avverso l’ordinanza pronunciata dalla Corte di appello di Ancona in data
19/7/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19/7/2013, la Corte di appello di Ancona dichiarava
inammissibile l’appello proposto da Stefano Giardini avverso la sentenza emessa
dal locale Tribunale il 9/2/2010, con la quale lo stesso era stato riconosciuto
colpevole del delitto di cui all’art. 10, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 e condannato
alla pena di un anno e sei mesi di reclusione; la Corte di merito, in particolare,
riteneva privi di specificità i motivi di gravame, con i quali – di fatto – non era
stata mossa alcuna effettiva censura alla pronuncia di primo grado.

Data Udienza: 11/11/2015

2. Propone ricorso per cassazione il Giardini, a mezzo del proprio difensore,
deducendo – con unico motivo – la violazione degli artt. 581, 591 cod. proc.
pen.. La Corte di appello avrebbe erroneamente dichiarato aspecifici i motivi di
gravame, i quali – sia pur sinteticamente – contenevano invece precise critiche
alla prima pronuncia, in punto di elementi oggettivo e soggettivo del reato.
3. Con requisitoria scritta del 1°/6/2015, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 581-591 cod. proc. pen.,
l’impugnazione è inammissibile, tra l’altro, quando non enuncia 1) i capi o i punti
della decisione ai quali si riferisce; 2) le richieste che si intendono formulare; 3) i
motivi di gravame, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Con riferimento a tale ultimo elemento, poi, questa Corte ha più volte
affermato che la mancanza di specificità dei motivi si evidenzia non solo nella
loro assoluta genericità, ma anche nella palese assenza di correlazione tra la
motivazione della decisione impugnata e le deduzioni sulle quali si fonda
l’impugnazione, sì da giustificarne la declaratoria di inammissibilità (Sez. 3, n.
27479 del 30/5/2014, Guia, Rv. 259198; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013,
Sammarco, Rv. 255568); in questo caso, infatti, il gravame prescinde dagli
argomenti impiegati dal Giudice, tamquam non essent, e si risolve non già in una
ragionata critica degli stessi, ma nella mera asserzione – ovvero nella mera
reiterazione – delle medesime considerazioni già sostenute nel precedente grado
di merito.
Orbene, proprio in questi termini risulta l’appello proposto dal Giardini, come
da ordinanza della Corte di merito che ne ha dichiarato l’inammissibilità con
motivazione del tutto adeguata e priva della denunciata violazione di legge; in
particolare, il Collegio ha evidenziato che, a fronte di una pronuncia di primo
grado che aveva individuato tutti gli elementi a fondamento della contestazione
ex art. 10, d. Igs. n. 74 del 2000 (l’effettiva attività dell’impresa amministrata
dal ricorrente nel periodo di interesse; la mancata registrazione di fatture nelle
scritture contabili, invero non esibite alla Guardia di Finanza; l’avvenuta
distruzione o, comunque, l’occultamento delle scritture medesime), l’atto di
appello, «senza censurare specificamente la motivazione della sentenza
impugnata e senza alcuno specifico riferimento a circostanze concrete del
processo, si limita a ribadire che la ditta era inattiva, che non c’è la prova del

CONSIDERATO IN DIRITTO

dolo specifico e che le fatture erano stare emesse per operazioni inesistenti. Il
tutto, in modo esclusivamente assertivo». Al pari, poi, della richiesta di riduzione
della pena «ai minimi di legge», non sostenuta da alcun argomento.
Quel che, peraltro, è stato verificato anche da questa Corte, che ha preso
visione dell’atto di appello in questione, riscontrandovi quanto affermato nella
sentenza impugnata; atto di appello nel quale, infatti, il ricorrente si limita ad
affermare che «le scritture non sono state mai tenute», ribadendo «quanto
sostenuto in primo grado e disatteso dal Giudice, che nessun fine vi è stato di

dichiarata inattiva nel mentre le fatture che hanno dato luogo
all’accertamento…riguardano operazioni inesistenti».
Un adeguato percorso logico-giuridico, dunque, che fa buon governo dei
principi di diritto sopra richiamati ed impedisce ogni censura da parte di questa
Corte.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 novembre 2015

Il Presidente

evadere le imposte dato che la ditta individuale del Giardini è sempre stata

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