Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50569 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 50569 Anno 2013
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Merola Alberto, nato a Milano il 31/03/1955

avverso la sentenza del 29/10/2012 della Corte d’Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di
Milano del 03/02/2012 con la quale Alberto Merola veniva ritenuto responsabile
del reato continuato di cui agli artt. 646 e 476 cod. pen., commesso in Milano
quale commercialista incaricato della tenuta della contabilità e del versamento
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Data Udienza: 10/10/2013

delle imposte nell’interesse di Claudio Vincenzo Di Lello appropriandosi di parte
delle somme ricevute per il pagamento delle imposte relative all’anno 2006 e
contraffacendo i moduli di pagamento F24 relativi ai versamenti delle imposte
per gli anni 2005 e 2006, con l’apposizione di falsi timbri di ricevuta della Banca
Nazionale del Lavoro, per far figurare i versamenti come effettuati, dichiarandosi
estinti per intervenuta prescrizione analoghi reati di appropriazione indebita
contestati per gli anni dal 2002 al 2005; e condannato alla pena di anni due e
mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

1. Sul rigetto dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, in
quanto datata al 02/02/2012 e quindi ad un giorno precedente a quello del
03/02/2012 nel quale veniva conclusa l’istruttoria dibattimentale, il ricorrente
deduce violazione di legge nel riferimento alle risultanze della lettura del
dispositivo al 03/02/2012 e del deposito della motivazione al 06/02/2012,
osservando che tanto non esclude il ragionevole dubbio che il Tribunale abbia
formato il proprio convincimento già prima dell’udienza conclusiva, tenuto conto
che dei risultati della copiosa istruttoria svoltasi in quella sede la sentenza di
primo dava atto fra parentesi e solo nell’ultima pagina.
2. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di appropriazione indebita,
il ricorrente deduce illogicità della motivazione in una ricostruzione per la quale
la persona offesa avrebbe consegnato all’imputato, in base alla matrici degli
assegni dalla stessa prodotte, una somma minore di quella dovuta all’erario e,
quale provvigione, al Merola, e questi avrebbe comunque pagato parte
dell’imposta falsificando i modelli F24 per dimostrare versamenti comunque
parziali. Deduce altresì mancanza di motivazione sulla versione del Merola per la
quale le somme non versate potevano corrispondere alle provvigioni dovute
all’imputato anche per la redazione di un ricorso proposto dall’imputato alla
Commissione tributaria, nonché sul versamento da parte del Merola in favore
della parte offesa, come da bonifici prodotti nel corso dell’ultima udienza del
dibattimento di primo grado, della somma di C. 6.600. Lamenta infine la
mancata assunzione della prova decisiva costituita dall’acquisizione degli originali
degli assegni emessi dal Di Lello e della documentazione bancaria relativa al
conto corrente sul quale gli stessi venivano tratti.
3. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di falso, il ricorrente
deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione in quanto fondata su
un’apodittica comunicazione della Banca Nazionale del Lavoro in ordine alla
falsità dei moduli F24, formulata a seguito della visione di mere fotocopie degli
stessi, e comunque riferita per l’appunto a copie fotostatiche, la cui
contraffazione non integra il reato ove non risulti la falsificazione dell’originale.
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L’imputato ricorre sui punti e per i motivi di seguito indicati

Lamenta altresì violazione di legge nella ritenuta ravvisabilità del reato di cui
all’art. 476 cod. pen. per documenti, quali gli F24, viceversa qualificabili come
scritture private, in quanto destinate a provare un avvenuto pagamento in un
rapporto fra soggetti privati, o comunque come attestati, con le conseguenti
diverse configurazione del reato di cui all’art. 495 cod. pen, improcedibile per
mancanza di querela, o di quello di cui all’art. 478 cod. pen., estinto per
prescrizione.
4.

Sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e delle

versamento da parte del Merola, in favore della persona offesa, della somma di
C. 6.600, pari ad oltre la metà del danno contestato.
5.

Sulla determinazione del danno, il ricorrente deduce mancanza di

motivazione sul versamento di cui al punto che precede, sull’insufficienza delle
somme consegnate dal Di Lello all’imputato rispetto alle imposte ed alle
provvigioni dovute e sul nesso causale fra la condotta e le sanzioni tributarie
inflitte alla persona offesa per il mancato pagamento della cartella esattoriale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso relativo al rigetto dell’eccezione di nullità della
sentenza di primo grado è infondato.
Posto che la sentenza di primo grado riportava effettivamente in calce la
data del 02/02/2012, precedente a quella del 03/02/2012 nella quale risulta
essere stato pronunciato il dispositivo, la Corte territoriale qualificava
correttamente tale circostanza come il risultato di un evidente errore materiale,
nel momento in cui sulla stessa sentenza comparivano, a margine
dell’intestazione, indicazioni riferite all’effettiva data di lettura del dispositivo al
03/02/2012 ed al deposito della motivazione al 06/02/2012. Esclusa pertanto la
ricorrenza di elementi che rendessero incerta la reale data di pronuncia della
sentenza, altrettanto correttamente i giudici di secondo grado attribuivano
carattere meramente congetturale alla tesi, riproposta dal ricorrente, per la
quale la difformità nell’indicazione della data e la collocazione grafica nella
motivazione delle considerazioni relative ai risultati istruttori acquisiti all’udienza
del 03/02/2012 indicherebbero una predisposizione della motivazione in epoca
anteriore alla lettura del dispositivo della decisione di primo grado; trattandosi di
aspetti ugualmente spiegabili con l’errore nella materiale scritturazione della
data e con scelte non censurabili di composizione testuale della motivazione.
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attenuanti generiche, il ricorrente deduce mancanza di motivazione sul

2. I motivi di ricorso relativi all’affermazione di responsabilità dell’imputato
per il reato di appropriazione indebita sono anch’essi infondati.
La censura di illogicità della motivazione, oltre ad attenere a valutazioni di
merito, si fondano su presupposti di fatti contrastanti con i dati rilevabili dalla
motivazione della sentenza impugnata. Tanto ricorre in primo luogo a proposito
del rilievo per il quale le matrici degli assegni prodotte dalla persona offesa
evidenzierebbero la consegna all’imputato di somme già in partenza inferiori alle

errore di calcolo immediatamente individuabile nel testo della sentenza, ed in
particolare nella tabella riportante gli estremi delle matrici e la somma totale dei
relativi importi. Quest’ultima somma è effettivamente indicata, come evidenziato
dal ricorrente, in C. 16.924,53, e quindi in misura inferiore al carico di imposta
del Di Lello per l’anno 2006, che la stessa sentenza indica in C. 18.726; ma i
valori delle singole matrici, precisati nella tabella in C. 3.301 per l’assegno del
14/07/2006, C. 2.299,53 per l’assegno del 14/08/2006, C. 2.310 per l’assegno
del 19/10/2006, C. 2.316 per l’assegno del 17/11/2006 ed C. 8.778 per
l’assegno del 30/11/2006, danno luogo in realtà ad una somma di €.19.004,53,
tale dunque da comprendere l’intera somma dovuta per le imposte ed una
differenza imputabile alla provvigione. Ma analoghe considerazioni devono essere
svolte in relazione all’ulteriore rilievo per il quale l’imputato avrebbe falsificato i
modelli F24 per dimostrare versamenti comunque parziali. Dalla tabella trascritta
nella sentenza impugnata risulta invero che alle suindicate matrici del 14 agosto,
del 19 ottobre e del 17 novembre 2006 corrispondono modelli F24 attestanti
versamenti sostanzialmente coincidenti per i rispettivi importi di C. 2299,53, C.
2311,35 ed C. 2316; e che la differenza fra gli importi indicati nelle matrici e la
somma complessivamente risultante dai modelli è data per la gran parte dal
rilevante importo di C. 8.778 indicato nella matrice del 30/11/2006, oltre che da
una differenza fra il valore indicato nella matrice del 14/07/2006 ed un
corrispondente modello F24 attestante un minor versamento di C. 1282,07.
Nessuna illogicità è pertanto ravvisabile in una ricostruzione da cui risulta che la
quasi totalità dei modelli F24 consegnati dall’imputato alla persona offesa veniva
compilata in modo da farvi risultare versamenti corrispondenti agli assegni
rilasciati dal Di Lello.
Insussistente è il lamentato vizio di mancata acquisizione degli originali degli
assegni di cui sopra e della relativa documentazione bancaria, laddove nella
sentenza impugnata si argomentava coerentemente sul carattere non decisivo di
tali incombenti probatori, nel momento in cui la difesa nulla eccepiva
sull’autenticità delle. matrici degli assegni, e le stesse venivan lutate in
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imposte dovute ed alla provvigione spettante al Merola, se si prescinde da un

funzione di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa sull’effettivo
versamento al Merola delle somme necessarie per il pagamento delle imposte.
In quest’ultima prospettiva, a tale elemento di riscontro si aggiunge,
nell’argomentazione della sentenza impugnata, quello costituito dall’accertato
versamento di somme, in pagamento imposte dovute dal Di Lello per l’anno
2006, per la sola misura di C. 6588,28, largamente inferiore a quella per quanto
detto dovuta di C. 18.726. La rilevante dimensione di tale differenza consente di
ritenere implicitamente disattesa, in quanto logicamente incompatibile con le

Dessinnone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez.
4, n. 1149 del 24/10/2005, Mirabilia, Rv. 233187; Sez. 6, n. 20092 del
04/05/2011, Schowick, Rv. 250105), la versione dell’imputato sulla possibilità
che la somma non versata corrispondesse a provvigioni trattenute dal Merola
anche per la redazione di un ricorso; e rende d’altra parte irrilevante, come
osservato nella sentenza impugnata, il versamento del Merola in favore della
persona offesa della limitata somma di C. 6.600. Venendo ad essere esclusi per
entrambi gli aspetti i vizi di carenza motivazionale dedotti dal ricorrente.

3. Infondati sono altresì i motivi di ricorso relativi all’affermazione di
responsabilità dell’imputato per il reato di falso.
La contraffazione dei modelli F24 era coerentemente affermata dai giudici di
merito in base ad una comunicazione della Banca Nazionale del Lavoro tutt’altro
che apodittica, in quanto riferita, come precisato nella sentenza impugnata, ai
dati specifici dell’accertata falsità dei timbri e delle sigle dei funzionari
dell’istituto di credito, presenti sui documenti. La generica affermazione del
ricorrente, per la quale tale accertamento sarebbe stato conseguito mediante
l’esame di mere copie fotostatiche dei modelli, non trova riscontro nella
ricostruzione della Corte territoriale, dalla quale risulta che oggetto di esame
siano state le copie dei modelli predisposte per il rilascio al contribuente e
riportanti le attestazioni autentiche sul versamento apposte a cura dell’istituto di
credito, trasmesse a quest’ultimo dal legale della persona offesa; non senza
considerare che, anche ove tale trasmissione avesse avuto ad oggetto copie
fotostatiche dei predetti modelli, la verifica della falsità dei timbri e delle sigle
renderebbe comunque logica la conclusione dei giudici di merito sulla
contraffazione dei documenti originali da cui dette copie sarebbero state tratte,
in mancanza di specifiche allegazioni della difesa su difformità di esse.
Per ciò che riguarda la qualificazione giuridica della contraffazione,
considerato che il modello F24 costituisce attestazione del pagamento, avvenuto
alla presenza del dipendente della banca delegata, e d conseguente
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argomentazioni della sentenza impugnata (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997,

adempimento dell’obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria, la
falsità realizzata su tale documento integra il contestato reato di cui all’art. 476
cod. pen. (Sez. 5, n. 5584 del 10/11/1999 (12/05/2000), Cerretti, Rv. 216110;
Sez. 5, n. 2569 del 24/11/2003 (26/01/2004), Canese, Rv. 227779; Sez. 6, n.
15571 dell’01/03/2011, Malisan, Rv. 250035). Minoritario e non condivisibile è il
diverso orientamento citato dal ricorrente (Sez. 5, n. 36687 del 13/06/2008, Di
Pasquale, Rv. 241427), per il quale la falsificazione integrerebbe il diverso reato
di cui all’art. 478 cod. pen. in quanto ricadente su una mera attestazione

modello destinata all’agenzia delle entrate. Posto che la stessa decisione da
ultima citata dà atto che la copia riservata all’ufficio tributario e quella rilasciata
al contribuente costituiscono due parti sostanzialmente identiche del modello, e
che il documento destinato al contribuente ha di per sé funzione di quietanza del
pagamento con efficacia liberatoria, non vi è alcuna ragione per differenziare la
qualificazione giuridica dei due atti, laddove entrambi documentano, con pari
efficacia nei confronti dei terzi, il compimento di un’attività svolta in presenza del
funzionario che vi appone le attestazioni, ossia l’avvenuto pagamento
dell’imposta. Correttamente pertanto la Corte territoriale riteneva sussistente
l’ipotesi criminosa contestata.

4. Ancora infondato è il motivo di ricorso relativo al diniego dell’attenuante
di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e delle attenuanti generiche.
Insussistenti sono i vizi di mancanza di motivazione denunciati dal
ricorrente, nel momento in cui nella sentenza impugnata si osservava, quanto
all’attenuante del risarcimento del danno, che il versamento di una somma da
parte dell’imputato, sia essa dell’importo di C. 6.000 indicato dai giudici di merito
o di quello di C. 6.600 precisato nel ricorso, aveva dimensione comunque
notevolmente inferiore a quella del danno corrispondente alla misura delle
imposte non versate; e che la negazione di risultanze dibattimentali da parte
del’imputato nella pretesa dello stesso di aver pagato il debito, la gravità e la
reiterazione delle condotte, considerate quelle coperte da prescrizione, ed i
precedenti penali del Merola per reati di appropriazione indebita ed esercizio
abusivo della professione, oltre a giustificare la quantificazione della pena inflitta,
ostavano al riconoscimento delle attenuanti generiche.

5. E’ da ultimo infondato il motivo di ricorso relativo alla determinazione del
danno.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, nella sentenza impugnata
si teneva conto a questo proposito della somma versata dall’imputato in favore
)
)
6
c_

derivata dell’atto di versamento, quest’ultimo individuabile nella parte del

della persona offesa, imputando al risarcimento la somma non pagata all’erario
unicamente nella restante misura di C. 12.137,90. La quantificazione del danno
risarcibile nella maggior somma di C. 20.000 era a questo punto adeguatamente
giustificata dai giudici di merito con riguardo al pagamento di sanzioni ed
interessi per il mancato pagamento delle imposte nelle rispettive misure di C.
4.256,27 ed C. 1163,60, evidentemente conseguenti ad una condotta che
rendeva il Di Lello inadempiente all’obbligo tributario contro la sua volontà, e ad
un danno morale prudentemente determinato con riferimento al tradimento del

psicologica del primo per il rilevante contenzioso con l’erario.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10/10/2013

Il Consigliere

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rapporto fiduciario fra il contribuente ed il professionista ed alla sofferenza

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