Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5052 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5052 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALENTE CORRADO N. IL 15/10/1944
avverso l’ordinanza n. 1/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
23/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Dott. Giovanni D’Angelo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio

Data Udienza: 17/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 23/01/2013 la Corte di Appello di Firenze ha rigettato l’istanza di
riparazione per errore giudiziario proposta da Valente Corrado, condannato alla
pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione con il beneficio della sospensione
condizionale per il reato di calunnia commesso in Roma il 2/06/1993 in danno di
Casuccio Angelo, accusato di essersi indebitamente appropriato di assegni
rilasciati da Sareli Guido in pagamento di opere eseguite dalla ditta San Marco
s.r.I., di cui Valente era titolare, per la Parrocchia di Ognissanti.

Sareli, erano emersi elementi nuovi che il ricorrente aveva utilizzato per inoltrare
istanza di revisione, accolta con sentenza 8/10/2010 dalla Corte di Appello di
Firenze, che aveva assolto l’istante perché il fatto non costituisce reato sulla
base della seguente argomentazione “E’ risultato che i pagamenti in favore del
Valente, contrariamente a quanto dichiarato, sono stati effettuati mediante
assegni, che il complessivo ammontare di quelli che si ha prova essere stati
bancati dal Valente non copre tutto l’importo dei lavori, che quantomeno parte
dei titoli che si ha fondata ragione di ritenere che la Parrocchia di Ognissanti
abbia emesso in relazione ai lavori appaltati al Valente sono pervenuti e sono
stati incassati da soggetti diversi da quest’ultimo (e in possibile relazione proprio
con l’architetto Casuccio), che – quando sono stati fatti oggetto di specifiche
contestazioni al riguardo da parte del Valente – sia il predetto Casuccio che il
Sareli hanno assunto le ambigue posizioni che si sono rievocate. L’insieme di
dette risultanze – emerse con le produzioni documentali effettuate in sede di
revisione o, comunque, se già emerse, compiutamente valutabili solo alla luce di
dette nuove produzioni – legittima l’affermazione in ordine al fatto che non sia
stata raggiunta, nei termini di necessaria certezza, la prova in ordine alla
sussistenza, in capo all’imputato, dell’elemento soggettivo del reato di
calunntaia”.
3. La Corte di Appello ha rigettato l’istanza ritenendo che il ricorrente avesse
dato causa con colpa grave alla condanna, avendo rilasciato a Sareli le quietanze
relative ai pagamenti ottenuti, l’ultima delle quali in data 20/06/1991 attestava
che “con il presente pagamento si devono considerare liquidate tutte le somme
dovute per i lavori eseguiti e nulla ha più da pretendere”. Tale comportamento,
secondo la Corte, ha condizionato in modo essenziale e decisivo ogni valutazione
in ordine alla prova dichiarativa e ai documenti acquisiti in giudizio, essendo per
altro il ricorrente legale rappresentante della società San Marco e, in tale qualità,
avrebbe dovuto tenere una condotta particolarmente rigorosa, prudente e
puntuale in relazione agli interessi della società che rappresentava.
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2. A seguito di denuncia per falsa testimonianza nei confronti di Casuccio e

4. Con riferimento alle conseguenze dannose della condanna, la Corte
territoriale ha ritenuto che il ricorrente non avesse potuto azionare il preteso
credito, peraltro mai accertato, a causa delle quietanze dallo stesso rilasciate,
delle quali non aveva peraltro fatto menzione nella sua denuncia-querela; che le
conseguenze del processo, individuabili nell’iscrizione sul certificato penale,
fossero state riparate con la conseguita revisione; che la successiva condanna da
lui espiata derivasse dall’avere lo stesso commesso reati; che il fallimento della
San Marco, i cui dettagli non erano stati chiariti, ove fosse stato riconducibile alla

avrebbe dovuto causalmente ricondursi al rilascio delle quietanze; che le altre
conseguenze relative alla vita professionale del ricorrente, oltre a risultare
sfornite di prova, non potessero ricondursi alla condanna, in difetto di prova che i
100 milioni non fossero stati pagati; che, sotto il profilo personale e familiare,
difettasse la prova del nesso di causalità tra la condanna e i danni vantati.
5. Ricorre per cassazione Corrado Valente sulla base dei seguenti motivi:
a) violazione di legge e vizio motivazionale per avere la Corte travisato i
fatti, posto che la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale lo aveva
condannato in data 6/03/1995 motivava la propria decisione sia perché il Valente
non aveva altro a pretendere per i lavori compiuti, sia perché il Casuccio non
aveva mai ricevuto dal Sareli denaro destinato al Valente, giungendo a tale
convincimento sulla base della testimonianza di Sareli, con conseguente scarso
rilievo del rilascio delle quietanze. Dopo soli quattro giorni dal rilascio dell’ultima
quietanza, aveva inviato una lettera nella quale chiariva che non poteva
rilasciare fattura a causa del fatto che 100 milioni degli assegni rilasciati al
Casuccio erano stati dallo stesso trattenuti indebitamente. Contrariamente a
quanto sostenuto dalla Corte territoriale, si assume, nella denuncia aveva
espressamente menzionato il rilascio delle ricevute. Anche a voler ammettere
che il rilascio delle quietanze abbia avuto un rilievo nella decisione del Tribunale,
secondo il ricorrente l’ordinanza impugnata contrasta con il principio secondo il
quale la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione dell’errore giudiziario deve
essere l’unica causa dell’errore, risultando la pronuncia carente sul punto per
l’incompleta valutazione degli elementi forniti dagli atti.
b) violazione dell’art.643 cod.proc.pen. per avere la Corte escluso una
rilevante parte della res iudicanda sottoposta al suo esame, omettendo di
analizzare l’argomento relativo alla falsità delle dichiarazioni testimoniali
riguardanti l’indebita appropriazione degli assegni quale concausa dell’errore
giudiziario.

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mancata corresponsione della somma rivendicata nei confronti del Casuccio,

c) vizio motivazionale per avere la Corte illogicamente affermato che il
processo non ha avuto dirette conseguenze al di là dell’iscrizione sul certificato
penale, laddove tale iscrizione per 15 anni ha determinato conseguenze alla sua
onorabilità di imprenditore di fronte ai possibili committenti e di fronte alle
banche erogatrici di eventuali finanziamenti; per avere solo apparentemente
giustificato il diniego del danno relativo al non aver potuto fruire
successivamente del beneficio della sospensione condizionale; per aver omesso
di motivare il diniego del danno concretato dal fallimento della San Marco s.r.I.,

precisione come fosse stato impossibile recuperare le somme in quanto in ogni
sede veniva opposta la sentenza di condanna; per avere illogicamente affermato
che non vi sia certezza che i 100 milioni non vennero pagati, pur basandosi il
giudizio di revisione sul rinvenimento di assegni spettanti al Valente e a lui mai
corrisposti; per omessa motivazione in merito al nesso causale tra il mancato
percepimento di quelle somme e l’impossibilità di dar seguito ad altri progetti
imprenditoriali; per aver solo apparentemente motivato circa i danni personali e
familiari.
6. Il Ministero dell’Economia e Finanze ha depositato memoria difensiva
sostenendo che la decisione della Corte di Appello sia correttamente motivata ed
esente da vizi logici.
7. Il Procuratore Generale, nella persona del dott.Giovanni d’Angelo, ha
concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Devesi, invero, considerare che si verte, nella specie, in tema di
riparazione per errore giudiziario (art. 643 cod.proc.pen. e ss.), istituto affine ma
non coincidente con quello della riparazione per ingiusta detenzione (artt. 314
cod.proc.pen. e ss.). In particolare, quanto alla colpa grave, impeditiva del diritto
alla riparazione, l’art. 314 cod.proc.pen., comma 1, fa riferimento a quella che
“abbia dato concorso a darvi causa …”, mentre l’art. 643, comma 1, fa
riferimento alla sola colpa grave che “ha dato causa … all’errore giudiziario”.
1.1. Tale ultimo testo normativo ha significativamente innovato la
precedente disciplina dell’istituto, come trasfusa nell’art. 571 cod.proc.pen. del
1930, comma 1, dove, invece, si faceva riferimento alla colpa grave che “ha dato
o concorso a dare causa all’errore giudiziario”. Appare, perciò, evidente che,
mentre per escludere il diritto all’indennizzo di cui al precitato art. 314
cod.proc.pen. è sufficiente che la colpa grave abbia solo concorso a dare causa
alla instaurazione dello stato detentivo, ad escludere, invece, il diritto alla
riparazione per errore giudiziario è necessario che la colpa grave abbia, essa,
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ignorando che a pag.5 della domanda di riparazione si era rappresentato con

dato causa all’errore giudiziario, non che abbia semplicemente concorso allo
stesso, così più restrittivamente delimitandosi l’ambito di operatività della
riparabilità della ingiusta detenzione, rispetto a quella dell’errore giudiziario
(Sez. 4, n.9213 del 04/02/2010, Giuliana, Rv. 246803).
2. Nella specie, il provvedimento impugnato ha fornito corretta motivazione
in merito alla causa ostativa della colpa grave secondo la più circoscritta
accezione di tale causa impeditiva in tema di errore giudiziario ritenendo, sulla
scorta dell’assoluzione ottenuta dal ricorrente in sede di revisione con la formula

trovato la ragione prima, essenziale e ineludibile, tale da condizionare ogni
valutazione in ordine alle altre acquisizioni istruttorie, nel rilascio da parte del
Valente di quietanze di pagamento dalle quali emergeva che tutte le somme
dovute per i lavori eseguiti erano state corrisposte.
2.1. Le argomentazioni svolte nel ricorso non sono idonee a scardinare tale
impianto motivazionale in quanto, esaminando la sentenza di condanna emessa
dal Tribunale di Roma il 6/03/1995, l’elemento soggettivo del reato di calunnia,
ossia la consapevolezza dell’innocenza della persona incolpata, è stato desunto
“dai rapporti personali economici intrattenuti esclusivamente con il Sareli”.
L’argomentazione logica rinvenibile nell’ordinanza impugnata, secondo la quale
senza il rilascio delle quietanze da parte del Valente le altre acquisizioni
istruttorie sarebbero state valutate diversamente, resiste alle censure del
ricorrente, ritenendosi corretta la deduzione per cui le dichiarazioni del testimone
Sareli di aver pagato il corrispettivo principalmente in contanti, talvolta con
qualche assegno bancario di piccolo taglio, a fronte dell’altra prova certa
(indicato al punto n.1 della sentenza) per cui il Sareli si avvaleva della
prestazione gratuita di assistenza e consulenza dell’architetto Casuccio, in difetto
della prova documentale costituita dalle quietanze rilasciate dallo stesso Valente,
sarebbero state valutate diversamente.
3. Tali considerazioni comportano l’assorbimento degli altri motivi di ricorso
dei quali, in ogni caso, non può non rilevarsi l’inammissibilità sia perché tendenti
ad una rivalutazione in fatto delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale,
laddove al giudice della legittimità non è possibile effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione finalizzata a sovrapporre una propria
valutazione a quella già effettuata dal giudice di merito, sia perché la mancata
rispondenza delle considerazioni effettuate dal giudice di merito alle acquisizioni
processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso solo qualora comporti il
cosiddetto travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica
ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
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“perché il fatto non costituisce reato”, che la pronuncia di condanna abbia

volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della
Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.
3.1. Il procedimento per la riparazione dell’errore giudiziario, per quanto
relativo ad una controversia circa l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei
confronti dell’interessato, è infatti regolato dalle norme di rito penale delineate
all’art.646 cod. proc. pen. ed il motivo di ricorso deve dichiararsi inammissibile

tendente ad una rivalutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità
(art.606 cod.proc.pen.). Deve rilevarsi, in particolare, che le doglianze difensive
proposte con riferimento alle conseguenze derivanti dalla condanna fanno
generico riferimento al contenuto della decisione impugnata e costituiscono, nella
sostanza, eccezioni in punto di fatto, poiché non inerenti ad errori di diritto o vizi
logici della decisione impugnata ovvero a travisamento della prova, ma dirette a
censurare le valutazioni operate dal giudice di merito. Si chiede, in realtà, al
giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una
diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del
ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perché in
violazione della disciplina di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
(Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002, P.O.in proc. Min. Tesoro, Rv. 222217;
Sez. 1, n. 10527 del 12/07/2000, Cucinotta, Rv. 217048; Sez. U,
n.6402 del 30/04/1997,Dessimone,Rv. 207944;Sez. U, n.930 del 13/12/1995
(dep. 29/01/1996), Clarke, Rv.203428). Infatti, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente
(Sez. 4, n.47891 del 28/09/2004, n. 47891, Mauro, Rv. 230568; Sez. 4, n.4842
del 2/12/2003-6/02/2004, Elia, Rv. 229369).
3.2 II ricorso che intenda far valere il vizio di travisamento della prova
(consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione
della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito
dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Sez.6, n.45036 del 2/12/2010, Damiano, Rv. 249035; Sez. 1, n.
20344 del 18/05/2006, Salaj, Rv. 234115): (a) identificare specificamente l’atto
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qualora difetti di specificità (art.581 cod.proc.pen.) ovvero sia sostanzialmente

processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l’elemento fattuale o il
dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente
incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la
prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché
dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i
materiali probatori ritualmente acquisiti al giudizio; (d) indicare le ragioni per cui
l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta
logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale

impugnato.
3.3. I motivi di ricorso concernenti le conseguenze derivanti dalla condanna
non presentano i requisiti sopra indicati e risultano, pertanto, inammissibili.
4. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, mentre risulta
congruo disporre la compensazione integrale delle spese tra le parti private in
ragione della laconicità ed inesattezza delle argomentazioni svolte dal Ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Spese tra le parti compensate.
Così deciso il 17/01/2014

“incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento

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