Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5050 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5050 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPISI LUIGI N. IL 30/11/1937
DIAMANTE AGATA N. IL 30/03/1943
CAMPISI LIBERTO N. IL 08/01/1968
avverso l’ordinanza n. 32/2013 TRIB. LIBERTA’ di ENNA, del
05/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
1.t.té/sentite le conclusioni del PG Dott. 410 vANNI O’Am 6E09

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Data Udienza: 16/01/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza dei 4/10/2012, il Tribunale di Enna, in parziale
accoglimento dell’istanza di riesame proposta da Campisi Luigi, Diamante Agata
e Campisi Uberto (titolari di una pasticceria-panetteria in Enna ed indagati in
ordine al reato di cui all’art. 674 cod. pen.), ha disposto la restituzione di locale
commerciale e del beni ivi esistenti, limitando invece il sequestro preventivo
(originariamente disposto dal G.I.P.) al solo forno a legna.

sentenza n. 19530 del 04/04/2013, annullava con rinvio tale ordinanza
rilevando – per quel che ancora in questa sede interessa – che:
– nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non
debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve,
tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi
di reato; pertanto, ai fini dell’individuazione del

fumus commissi delicti, non è

sufficiente la mera postulazione dell’esistenza del reato da parte del pubblico
ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell’ordinanza deve
rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e
la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare la
congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la
misura cautelare reale sottoposta al suo esame (Sez. 4, n. 15448 del
14/03/2012, Rv. 253508; Sez. 3, n. 26197 del 05/05/2010, Rv. 247694; Sez. 5,
n. 37695 del 15/07/2008, Rv. 241632);
– nel caso di specie, dunque, il giudice di merito, per verificare il fumus del
reato ipotizzato, avrebbe dovuto innanzitutto accertare, sia pure nei limiti del
procedimento cautelare, che le emissioni in atmosfera provocate dal forno a
legna, o in forma diffusa o in forma convogliata, superavano la normale
tollerabilità indicando gli elementi di fatto che deponevano in tal senso; invece, il
Tribunale, dopo essersi dilungato su premesse di carattere teorico sulla verifica
delle condizioni di legittimità della misura cautelare, ha dato per scontato che i
fumi prodotti dalla pasticceria-panificio fossero potenzialmente nocivi e/o
nauseabondi e che pertanto potessero rientrare nella fattispecie di cui all’art. 674
c.p.: in altre parole, ha omesso completamente di dare conto della necessaria
premessa logica che avrebbe dovuto condurre ad una tale conclusione, non
essendo sufficiente ad integrare il fumus del reato la mera esistenza di un forno
e di una canna fumaria.

3. Con ordinanza del 19/6/2013 il Tribunale di Enna in sede di rinvio
pronunciava nuovamente l’annullamento solo parziale del decreto di sequestro
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Su ricorso degli indagati, la terza sezione di questa Suprema Corte, con

preventivo, mantenuto con riferimento al forno a legna.
Il collegio attribuiva valore indiziario sufficiente a tal fine alle risultanze
dell’attività ispettiva e di campionamento posta in essere dall’A.R.P.A. sul
terrazzo dell’abitazione del denunciante, quali emergenti dalla relazione resa in
data 1/8/2012 nella quale sì dava atto del rinvenimento di materiale carbonioso
e, al contempo, del rilevamento di una intensa emissione di fumi grigi da un
camino, proveniente dal laboratorio alimentare, la cui bocca di emissione era
posta a circa cinque metri dalle aperture prospicienti il terrazzo.

legga. che la concentrazione nel particolato di PM10, durante le ore di
funzionamento del forno, è risultata, in linea di principio, nella norma, dovendosi
eziologicamente imputare, con buona probabilità, a fattori esogeni la minima
eccedenza rilevata, tuttavia, viene anche precisato che le concentrazioni di
benzo(a)pirene adese al particolato – ossia quella quota parte di pulviscolo
direttamente derivante dalla legna da ardere – sono presenti in misura
significativa e «… possono essere indicative di una possibile pericolosità dei fùmi

Evidenziava inoltre che è stata riscontrata dagli ispettori la presenza di
fuliggine, fumi e odore di legna bruciata.
Tutti tali elementi riteneva, di per sé, idonei a integrare le molestie in
questione.

4. Avverso tale ordinanza propongono ricorso Campisi Luigi, Diamante Agata
e Campisi Liberto deducendo violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e
inosservanza dei termini di cui all’art. 324 cod. proc. pen..
Sotto il primo profilo in particolare lamentano che il giudice di merito ha
disatteso del tutto il principio di diritto fissato dalla terza sezione di questa
Suprema Corte.
Posto che il Tribunale espressamente riconosce, sulla scorta della relazione
A.R.P.A., che le eventuali concentrazioni di PM10 «in linea di massima non sono
attribuibili alle emissioni del panificio bensì a cause naturali …», concentrandosi
conseguentemente solo su quella piccola quota parte di pulviscolo direttamente
derivante da legna da ardere considerata ipoteticamente pericolosa dall’A.R.P.A.
(«… possono essere indicative di una possibile pericolosità dei fumi…»), rilevano i
ricorrenti che così argomentando il Tribunale ha disatteso il principio di diritto
affermato dalla richiamata precedente sentenza di annullamento, finendo con
l’attribuire rilievo alla mera postulazione dell’esistenza del reato, dando per
scontato che i fumi prodotti dalla loro attività siano potenzialmente nocivi, il che
invece non può desumersi dagli elementi valorizzati nell’ordinanza.
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Osservava in particolare il Tribunale che, sebbene nell’elaborato peritale si

Rilevano infatti che affermare che la rilevata quota di pulviscolo derivante da
legna da ardere può essere indicativa di una possibile pericolosità dei fumi,
ancora una volta altro non significa che postulare in via ipotetica e di mera
congettura l’esistenza di un reato senza alcun riferimento alle concrete risultanze
processuali.

Considerato in diritto

324 cod. proc. pen. appare generica e come tale inammissibile, avendo omesso i
ricorrenti qualsivoglia indicazione degli atti da cui dovrebbe desumersi il mancato
rispetto dei termini per l’emissione dell’ordinanza da parte del Tribunale del
riesame in sede di rinvio.

6. È inammissibile anche l’ulteriore doglianza, in quanto risolventesi di fatto
nell’allegazione di un vizio di motivazione, come tale inammissibile trattandosi di
misura cautelare reale.
Come ricordato nella richiamata precedente pronuncia della terza sezione di
questa Suprema Corte il vizio di motivazione può trovare spazio nei ricorsi per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o
probatorio quando sia tale da integrare in realtà vera e propria violazione di
legge per essere «così radicale da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice»

(Sez. U, n. 25932 del

29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv.
245093; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Nel caso di specie la motivazione posta a fondamento del provvedimento
impugnato sfugge a siffatta censura di radicale insussistenza e/o inconsistenza,
nella misura in cui attribuisce rilievo, come detto, agli esiti dei rilevamenti
eseguiti dall’A.R.P.A. e in particolare alla surrichiamata affermazione secondo cui
«le concentrazioni di benzo(a)pirene adese al particolato – ossia quella quota
parte di pulviscolo direttamente derivante dalla legna da ardere – sono presenti
in misura significativa e … possono essere indicative di una possibile pericolosità
dei fumi …».
Non sembra dubitabile che tale affermazione, per quanto in sé opinabile e
suscettibile ovviamente di approfondimento e rivisitazione in sede di giudizio di
merito, rende comunque comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo
investito del procedimento e vale quindi a integrare quel minimo di motivazione
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5. La doglianza relativa alla asserita inosservanza dei termini di cui all’art.

coerente e ragionevole (tanto più in quanto evidentemente ispirata a un principio
di cautela del tutto legittimo e ragionevole trattandosi per l’appunto di
provvedimento cautelare di natura reale), in presenza della quale ogni critica,
per quanto plausibile e ragionevole, si risolve pur sempre nella prospettazione di
un mero vizio motivazionale, come tale non consentita in sede di legittimità per i
provvedimenti di che trattasi.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna
dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese

a colpa degli stessi (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – al pagamento in
favore della Cassa delle Ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che
si reputa equo determinare nella misura di C 300,00 per ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di C 300,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 16/01/2014

processuali, nonché – dovendosi certamente la causa di inammissibilità imputare

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