Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50447 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50447 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

ANGELELLI Franco, nato a Cutrofiano l’ 11 dicembre 1954

avverso la sentenza n. 1495/2014 della Corte di Appello di Lecce, in data 10 dicembre
2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paola Filippi,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore degli imputati, avv. Ubaldo Macrì che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza n. 1495/2014, confermava la sentenza emessa, in
data 10/5/2012, dal Tribunale di Lecce – Sezione di Gelatina, in composizione monocratica,
appellata da ANGELELLI Franco, che lo aveva dichiarato responsabile dei reati ascrittigli ai capi
b) e c), unificati tali fatti per il vincolo della continuazione con altri oggetto della sentenza
emessa dal medesimo Tribunale il 10/5/2011 (irrevocabile il 20/6/2011) e condannato, con le

multa.
All’ imputato sono contestati, al (capo b), il reato di cui all’art. 44, lett. a, D.P.R. 380/2001,
perché recintava il fondo agricolo di circa mq. 2.000 costruendovi abusivamente un muro di
cinta alto circa mt. 2,75 ed al (capo c), il reato di cui di cui all’art. 349, c. 2, c.p., perché
eseguiva i lavori di costruzione sopra indicati, nonché depositava nuovi rifiuti nonostante l’area
in questione fosse stata sottoposta a sequestro penale in data 10/5/2010 ed affidata alla sua
custodia, e dopo che aveva proceduto allo smaltimento dei precedenti rifiuti, così come era
stato autorizzato, con conseguente violazione dei sigilli.
L’ANGELELLI, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso per cessazione e chiede
l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni consequenziale disposizione, per due
motivi.
Con il primo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett, a) c.p.p., esercizio
dal parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi amministrativi e, ai sensi
dell’art. 606, c.1, lett. b), erronea applicazione dell’art. 23 D.P.R. n. 380/2001, in quanto il
ricorrente ha edificato, su terreno di proprietà, il muro di cinta, in base alla D.I.A. (Prot. N.
13029) presentata al Comune di Cutrofiano, in uno con la relazione tecnica di asseverazione.
Assume inoltre l’ANGELELLI che, come confermato dal responsabile dell’ufficio tecnico
comunale, Campa Ferruccio, il predetto Comune non aveva mai richiesto per tale tipo di opere
il permesso di costruire, sicchè, ad avviso della difesa, è stato illegittimamente disapplicato dal
giudice il provvedimento autorizzativo così ottenuto.
Con il secondo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell’art. 606, cd, lett, b) c.p.p.,
erronea applicazione della legge penale, in relazione al reato di cui all’art. 349 c.p., per essere
venuto meno, a seguito della pronuncia della sentenza di patteggiamento n. 93/2011, il vincolo
derivante dal sequestro del terreno disposto in altro procedimento, in relazione all’accusa che
sull’area fosse stata realizzata una discarica di rifiuti.
Precisa infatti l’ANGELELLI che nell’ambito di quel procedimento il P.M. aveva autorizzato la
bonifica dell’area, sotto la vigilanze della Guardia di Finanza, con provvedimento notificatogli
in data 1/6/2010, che la prescrizione era stata rispettata essendosi rivolto ad aziende a ciò
abilitate, e che anche se la istanza di dissequestro del bene, presentata in data 30/7/2010,
era stata rigettata “allo stato” dal P.M., quest’ultimo aveva poi dato il consenso per il
patteggiamento della pena, sicchè la misura cautelare reale, nonostante il silenzio serbato sul
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attenuanti generiche equivalenti, alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 600.000 di

punto dalla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., doveva implicitamente intendersi
revocato.
Conclude infine il ricorrente di aver realizzato il muro di cinta, allo scopo di evitare che terzi vi
scaricassero nuovamente rifiuti, che per quanto detto non aveva consapevolezza della
violazione dei sigilli contestatagli nel capo d’imputazione e che comunque andava mandato
assolto dal reato di cui all’art. all’art. 349, c.2, c.p. difettando l’elemento soggettivo richiesto
dalla norma incriminatrice.

Il ricorso è infondato e va respinto.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, questa Corte ha più volte avuto modo di
affermare che la realizzazione di un muro di recinzione necessita del previo rilascio
del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione
dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così
rientrando nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), del D.P.R.
n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Rv. 261521).
Le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi
di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni in merito all’estensione dell’area ed alla
natura permanente dell’ opera realizzata, sicché la struttura motivazionale della sentenza di
appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo
dal quale emerge univocamente appunto che si tratta di un muro in cemento, dell’altezza di
quasi tre metri, che corre lungo tutta l’area di proprietà dell’ANGELELLI, opera certamente tale
da modificare l’assetto urbanistico del territorio.
Quanto alla necessità o meno, a fronte della recinzione di un fondo rustico, del permesso per
costruire, va precisato che tale tipo di intervento non necessita di concessione solo nel caso in
cui lo stesso venga attuato con opere non permanenti, mentre il provvedimento autorizzativo è
sempre richiesto quando venga realizzato con materiale tipicamente edilizio, tra cui rientra la
zoccolatura di calcestruzzo (Sez. 3, n. 10566 del 30/9/1988, Rv. 179570).
E in altra pronuncia, nel valutare la realizzazione di un muro di recinzione in cemento armato
di dimensioni ben più modeste di quello che ci occupa, si era condivisibilmente affermata la
necessità della concessione edilizia (oggi permesso per costruire) di fronte all’erezione al
confine di un fondo rustico di un muro in cemento armato, o comunque in mattoni e malta
cementizia, anche alto fuori terra solo ottanta centimetri, affermandosi, invece, che la
concessione non è necessaria se la recinzione è realizzata con opere non permanenti, quali ad
esempio semplici paletti conficcati nel terreno e filo spinato o un muretto cosiddetto a secco,
(Sez. 3, n. 5395 del 25/1/1988, Rv. 178306).

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto al profilo di doglianza concernente itaTal’elemento psicologico, va ricordato che il
reato di cui all’art. 44, lett. a,

D.P.R. 380/2001, è un reato contravvenzionale, per la

sussistenza del quale basta la colpa, desumibile da tutti gli elementi di cui si è fin qui detto.
E’ appena il caso di ricordare che, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, nelle
fattispecie contravvenzionali, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione
che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto e derivi da un elemento positivo
estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del

fornita dall’imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per
osservare la norma (Sez. 4, n. 9165 del 05/02/2015, Rv. 262443, Sez. 3, n. 42021 del
18/07/2014, Rv. 260657, Sez. 3, n. 46671 del 05/10/2004, Rv. 230889).
Con riferimento al secondo motivo di doglianza, va considerato che, ai fini della ricorrenza del
delitto di violazione di sigilli, la Corte territoriale

ha condivisibilmente osservato che la

costruzione del muro di recinzione è stata accertata dal personale appartenente alla Polizia
Tributaria di Lecce, in data 2/2/2010, e che la sentenza di patteggiamento è stata emessa
invece nel maggio 2011, sicchè la ricostruzione dei fatti proposta dal ricorrente, volta ad
accreditare la tesi dell’ incolpevole ignoranza della permanenza del vincolo sul terreno
derivante dal – mai revocato – provvedimento di sequestro penale, è contraddetta da elementi
di giudizio inconfutabili.
Va inoltre rilevato che l’ANGELELLI, tramite ildifensore, aveva richiesto il dissequestro del bene

e non lo aveva ottenuto, sicchè era pienamente a conoscenza del vincolo a cui l’immobile di
sua proprietà era stato sottoposto, per cui lo stesso non può sostenere, in questa sede, nè la
inconsapevolezza nel commettere la violazione ad esso ascritta, nè la ignoranza della norma

penale, nè la necessità di intervenire al fine di evitare danni da parte di terzi.
In particolare, per questa ultima evenienza, il prevenuto avrebbe potuto rivolgersi alla autorità
giudiziaria competente, al fine di ottenere ogni autorizzazione alla eliminazione dei pericoli
ritenuti sussistenti e non agire motu proprio, come in effetti ha fatto.

A norma dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese
processua li.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2015.

comportamento tenuto, e che la prova della sussistenza di un siffatto elemento deve essere

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