Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50440 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50440 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Corbo Antonio, nato a Benevento il 02-04-1963
avverso la sentenza del 18-11-2013 del tribunale di Benevento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Marilia Di Nardo che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 27/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Antonio Corbo ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la
quale il tribunale di Benevento lo ha condannato alla pena di C 4000 di ammenda
per il reato previsto dall’articolo 64 decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 per
avere, quale esercente di un’officina meccanica e datore di lavoro, omesso di
provvedere affinché i luoghi di lavoro fossero conformi ai requisiti di cui
all’articolo 63, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 in quanto ometteva

possibile, fuori dell’orario di lavoro e in modo da ridurre al minimo il
sollevamento della polvere dell’ambiente, oppure mediante aspiratori; in quanto
nelle adiacenze dei locali di lavoro e delle loro dipendenze, il datore di lavoro
consentiva che fossero tenuti depositi di immondizie o di rifiuti e di altri materiali
solidi o liquidi capaci di svolgere emanazioni insalubri, a meno che non fossero
adottati mezzi efficaci per evitare le molestie o i danni che tale depositi potevano
arrecare ai lavoratori ed al vicinato; in quanto ometteva di provvedere che le vie
e le uscite di emergenza rimanessero sgombre e consentissero di raggiungere il
più rapidamente possibile un luogo sicuro. In Benevento, accertato il 20 maggio
2011.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il

difensore, articola i seguenti sei motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione
dell’articolo 133 codice penale e l’illegittimità nonché la carenza di motivazione in
relazione alla determinazione della pena (articolo 606, comma 1, lettera b) ed
e), codice di procedura penale), sul rilievo che, trattandosi di una piccola società
a responsabilità limitata e gestendo il ricorrente una officina meccanica situata in
un piccolo capannone, il giudice avrebbe dovuto ritenere il fatto non grave sotto
tutti i profili di cui all’articolo 133 codice penale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge con
riferimento agli aumenti nella determinazione della pena in relazione agli articoli
3, 24 e 111 della Costituzione (articolo 606, comma 1, lettera d), codice di
procedura penale).
Assume che gli aumenti di pena sono stati effettuati in chiara violazione di
legge in quanto le diverse violazioni contestate con il capo di imputazione,
essendo riconducibili alla categoria omogenea dei requisiti di sicurezza relativi ai
luoghi di lavoro; andavano perciò considerate come un’unica violazione, con
conseguente ridimensionamento del trattamento sanzionatorio.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione degli articoli 516,517,518,
519,520,522 codice di procedura penale in relazione agli articoli 3,24 e 111

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di mantenere puliti i locali di lavoro, facendo eseguire la pulizia, per quanto

Costituzione, sul rilievo che “sulle nuove pene applicate, esse sono state
applicate su nuove violazioni, quindi andavano contestate all’imputato, che
peraltro era assente”.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della mancata assunzione di
una prova decisiva nonché della carenza di motivazione in ordine alla prova
offerta dalla difesa (articolo 606, comma 1, lettera d), codice di procedura
penale) lamentando che il giudice non avrebbe valutato le prove offerte in
udienza e neppure ritenuto di chiamare i verbalizzanti per verificare se, dopo la

l’accertamento effettuato anni addietro, l’imputato avesse ottemperato o meno e
se i luoghi erano così come riprodotti dalle foto esibite a discarico.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine
alla richiesta di oblazione nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione in ordine alle negate attenuanti generiche.
Si sostiene che all’imputato doveva essere consentito l’accesso alla
oblazione in quanto aveva regolarmente adempiuto alle prescrizioni e quindi non
vi era alcun impedimento in tal senso. Peraltro se il giudice avesse dato
importanza probatoria al documento offerto dalla difesa si sarebbe reso conto
che l’imputato aveva adempiuto alle prescrizioni e quindi che allo stesso
potevano essere riconosciute le attenuanti generiche.
2.6. Con il sesto motivo lamenta la mancata esclusione di un teste decisivo
che avrebbe dovuto deporre sulla gravità delle contestazioni e sull’ottemperanza
alle stesse alla data del processo, tanto sul rilievo che il teste geometra Pomaro,
operante presso il Dipartimento di prevenzione ambiente del lavoro dell’ASL di
Benevento, teste indicato dal pubblico ministero, era stato ammesso e non
escusso in carenza di una rinuncia espressa da parte del pubblico ministero e
delle altre parti processuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del secondo motivo.
I restanti motivi di gravame sono inarnmissibil per manifesta infondatezza
o perché presentati nei casi non consentiti.

2. Il primo motivo (sulla determinazione della pena) è manifestamente
infondato avendo il Giudice del merito richiamato i criteri ex art. 133 cod. pen.
ed applicato, in alternativa alla pena detentiva, quella pecuniaria e peraltro in
misura ampiamente inferiore alla media edittale.
Questa Corte – con orientamento non recente e tuttora valido, al quale
occorre dare continuità perché condivisibile e mai contraddetto da contrarie

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stesura del verbale che indicava la mancata ottemperanza alle prescrizioni e

pronunce – ha affermato che l’irrogazione di una pena vicina a quella media non
deve essere motivata in modo specifico o particolarmente ampio, essendo
sufficiente il richiamo ai criteri fissati dall’art. 133 cod. pen., tanto sul rilievo che
l’applicazione della pena rappresenta infatti il frutto di una valutazione intuitiva e
globale, operata dal giudice in rapporto alla complessiva considerazione del fatto
ed alla personalità dell’imputato (Sez. 3, n. 1571 del 10/01/1986, Ronzan, Rv.
171948).
Nel caso di specie, l’applicazione della pena pecuniaria depotenzia

3. Il terzo motivo, di difficile comprensione, è parimenti inammissibile, posto
che la contestazione, come cristallizzata nel capo d’imputazione, non ha subito
modifiche e la sentenza è correlata agli addebiti, laddove la doglianza solo in
maniera apodittica denuncia il contrario.

4. Il quarto ed il sesto motivo, che denunciano violazioni del procedimento
di istruzione probatoria, possono essere congiuntamente esaminati perché affetti
dal medesimo vizio.
Essi sono parimenti inammissibili perché aspecifici.
Il tribunale ha tratto il convincimento della colpevolezza dell’imputato sulla
base di elementi documentali, ritenuti sufficienti per la formulazione del giudizio
di responsabilità, in ordine ai quali il ricorrente, con i motivi di ricorso, non si è
minimamente confrontato.
Ne consegue che la doglianza circa la mancata assunzione di prove
assertivamente ritenute decisive non può trovare ingresso quando dette prove
potevano essere assunte, come si evince dal motivo di ricorso, d’ufficio nella
misura in cui esse non sono state ritenute, come nella specie, necessarie per la
decisione.
Né il ricorrente specifica quali prove o documenti, allegati dalla difesa, il
giudice non abbia valutato, né la ragione della decisività delle stesse rispetto alla
ratio decidendi.

5. E’ inammissibile anche il quinto motivo di gravame circa la mancata
ammissione all’oblazione ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il tribunale ha affermato che l’imputato aveva provveduto solo parzialmente
all’eliminazione delle irregolarità contestate e ciò è stato ritenuto, con congrua
motivazione, indice del fatto che perdurassero le conseguenze dannose e
pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore (condizione perciò
ostativa all’ammissione all’oblazione) e dell’insensibilità e dell’indifferenza p

intrinsecamente la doglianza rendendola ictu ocull infondata.

dimostrata dal ricorrente, ritenuto per questo non meritevole della concessione
delle attenuanti generiche.
Per il cui diniego non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3,
n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

indicati.
Al ricorrente è contestato l’art. 64 d.lgs. n. 81 del 2008 il quale (rubricato
obblighi del datore di lavoro) dispone:
«1. Il datore di lavoro provvede affinché:
a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1,
2 e 3;
b) le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite o ad
uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di
consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza;
c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare
manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i
difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;
d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare
pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;
e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o
all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al
controllo del loro funzionamento».
La violazione dei precetti contenuti dall’art. 64 è sanzionata dall’art. 68 dello
stesso decreto (rubricato

“sanzioni per il datore di lavoro”)

che, nella

formulazione ratione temporis vigente, dispone:
«I. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:
a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40
euro per la violazione dell’articolo 66;
b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.096,00 a
5.260,80 euro per la violazione degli articoli 64, comma 1, e 65, commi 1 e 2;
c) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 548,00 a 1.972.80 euro per
la violazione dell’articolo 67, commi 1 e 2.
2. La violazione di più precetti riconducibili alla categoria omogenea di
requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all’allegato IV, punti 1.1,
1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 1.10, 1.11, 1.12, 1.13, 1.14, 2.1, 2.2, 3, 4,
6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, e 6.6, è considerata una unica violazione ed è punita con

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6. E’ invece fondato il secondo motivo di gravame nei limiti di seguito

la pena prevista dal comma 1, lettera b). L’organo di vigilanza è tenuto a
precisare in ogni caso, in sede di contestazione, i diversi precetti violati>>.
Si tratta di interpretare il concetto di “violazione di più precetti riconducibili
alla categoria omogenea (…)”,

sul rilievo che l’inosservanza di precetti

riconducibili alla predetta nozione di “categoria omogenea” dà luogo ad “una
unica violazione”.
L’allegato IV del d.lgs. N. 81 del 2008, richiamato dal comma 2 dell’art. 68,
elenca i “requisiti dei luoghi di lavoro” e al punto 1. disciplina gli “ambienti di

stabilendo al punto 1.1.6. (prima contestazione elevata nei confronti del
ricorrente) che “il datore di lavoro deve mantenere puliti i locali di lavoro,
facendo eseguire la pulizia, per quanto è possibile, fuori dell’orario di lavoro e in
modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere dell’ambiente, oppure
mediante aspiratori” ed al punto 1.1.7. (seconda contestazione elevata nei
confronti del ricorrente) che “nelle adiacenze dei locali di lavoro e delle loro
dipendenze, il datore di lavoro non può tenere depositi di immondizie o di rifiuti e
di altri materiali solidi o liquidi capaci di svolgere emanazioni insalubri, a meno
che non vengano adottati mezzi efficaci per evitare le molestie o i danni che tali
depositi possono arrecare ai lavoratori ed al vicinato”.
Inoltre, al punto 1.5. l’allegato IV del d.lgs. N. 81 del 2008 si occupa di
disciplinare nei luoghi di lavoro le “vie e uscite di emergenza” stabilendo al punto
1.5.2. (terza contestazione elevata nei confronti del ricorrente) che “le vie e le
uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più
rapidamente possibile un luogo sicuro”.
Ciò posto, siccome ogni punto dell’allegato (per punto si intende ogni singolo
contrassegno numerico ossia 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 1.10,
1.11, 1.12, 1.13, 1.14, 2.1, 2.2, 3, 4, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, e 6.6 perché così
tipizzato nell’art. 68) disciplina i requisiti di sicurezza con riferimento ad una
classe di interessi riguardanti l’ambiente di lavoro (Stabilità e solidità = punto
1.1; Altezza, cubatura e superficie = punto 1.2; Pavimenti, muri, soffitti, finestre
e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchina e rampe di carico =
punto 1.3 ecc.), tutti i precetti che sono ricompresi in ogni singola classe di
riferimento, in quanto raggruppati sulla base di un criterio selettivo finalizzato
alla tutela di un comune interesse specifico o requisito di sicurezza (la stabilità e
la solidità oppure le vie di uscita e di emergenza oppure le porte e portoni ecc.),
rientrano nella stessa categoria omogenea.
Ne consegue che sono riconducibili alla nozione di “categoria omogenea” i
precetti contenuti in singoli punti dell’allegato IV oppure, ove specificati, nei
singoli sottopunti.

lavoro”, occupandosi al punto 1.1. della “stabilità e solidità” dei detti luoghi

In tal modo, tutti i precetti contenuti nel punto 1.1 (stabilità e solidità) dal
precetto 1.1.1 al precetto 1.1.7 (sottopunti) appartengono ad una categoria
omogenea e la violazione di più precetti rientranti in tale categoria non dà luogo
ad un concorso materiale di illeciti ma ad una violazione unica.
Ne deriva che erroneamente il tribunale ha considerato la violazione dei
precetti 1.1.6 e 1.1.7 come autonome violazioni, laddove esse andavano
considerate come una violazione unica perché riconducibili ad una categoria
omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all’allegato IV.

vincolo della continuazione, con il precetto 1.5.2, appartenendo la norma violata
ad una categoria disomogenea (1.5 e non 1.1) rispetto alla precedente in quanto
contenuta in un punto dell’allegato relativo alla tutela di un interesse non
attinente ad un requisito di sicurezza inerente alla stabilità e solidità
dell’ambiente di lavoro ma alla predisposizione e alla regolare tenuta delle uscite
di emergenza per consentire ai lavoratori di raggiungere il più rapidamente
possibile un luogo sicuro in caso di pericolo incombente nel luogo di lavoro.

7. La sentenza impugnata va tuttavia annullata senza rinvio in parte qua
potendo la Corte di cassazione porre rimedio all’errore evidenziato emanando, ex
art. 620, comma 1, lettera I), cod. proc. pen., i provvedimenti necessari con
l’eliminazione della relativa pena di euro 1.000,00 di ammenda comminata, in
continuazione, per una delle due violazioni erroneamente ritenuta concorrente,
cosicché la pena finale va determinata in euro 3.000,00 di ammenda.
Il ricorso va invece rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta
continuazione tra le ipotesi di cui ai punti 1.1.6 e 1.1.7 di cui all’allegato IV del
decreto legislativo n. 81 del 2008, da considerarsi unica violazione, ed elimina il
relativo aumento di pena di euro 1000,00 di ammenda.
Rigetta del resto ricorso.
Così deciso il 27/10/2015

Correttamente invece è stato ritenuto il concorso di reati, unificati dal

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