Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5044 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5044 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KAHALA FAKER N. IL 13/08/1981
avverso l’ordinanza n. 8/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
31/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consiglier,e -pott. LISA BIANCHI;
lette/solite-le conclusioni del PG DottjAVA
UCIAAL I’
#

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/01/2014

3337/2013

1.Con ordinanza in data 31 maggio 2012 la Corte di appello di Ancona
respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da
Kahala Faker in relazione alla custodia cautelare in carcere e agli arresti
domiciliari dal medesimo subita dal 10.12.2008 al 16.7.2009 perché indiziato
di rapina, lesioni personali e porto di coltello. Il 27.10.2010 il gup di Macerata,
all’esito di giudizio abbreviato, pronunciava sentenza di assoluzione perché il
fatto non sussiste per la rapina e il porto d’armi e dichiarava non doversi
procedere per il reato di lesioni per difetto di querela.
La Corte di appello riteneva che il Kahala Faker avesse dato causa alla
detenzione per colpa grave; le accuse erano derivate dalle dichiarazioni di
Cardelli Jessica e Jebali Mohamed Tahar che avevano riferito di una rapina nei
loro confronti da parte di Kahala Faker; quest’ultimo, fermato e sottoposto a
interrogatorio, rendeva dichiarazioni che il giudice della riparazione riteneva
intrinsecamente contraddittorie, illogiche e non supportate da riscontri specie
laddove il Kahala Faker aveva riferito di una condizione di ubriachezza del
Mohamed non riscontrata dagli inquirenti ed aveva raccontato che dopo
essere stato aggredito dal predetto Mohamed ed essere riuscito a bloccarlo
con una testata al volto e ad allontanarsi, era però tornato sul luogo dei fatti
e, incontrato di nuovo Mohamed armato di coltello, l’aveva affrontato insieme
al cugino e ad altri connazionali ed era riuscito a disarmarlo. Secondo la corte
di appello le condotte così poste in essere e specialmente il fatto che, secondo
il suo stesso racconto, egli una volta che era riuscito ad allontanarsi senza
riportare lesioni, anzichè rimanere ben lontano dal parco dove si era verificato
il primo fatto violento, vi era tornato e una volta incontrato il Mohamed,
completamente ubriaco e armato di coltello, lo aveva affrontato costituivano
comportamenti non normali e fortemente sospetti idonei a ingenerare la
convinzione della sua colpevolezza per i reati di rapina e lesioni. A ciò si
aggiungeva che Kahala Faker si era rifiutato di indicare alla polizia dove si
trovava la propria abitazione; che il medesimo era clandestino, più volte
segnalato sotto diversi alias, e, in occasione dei fatti di causa era sempre
accompagnato da altri stranieri parimenti clandestini; lui stesso aveva riferito
che uno dei tunisini che erano in compagnia di Mohamed gli aveva detto “di
essere venuti appositamente da Firenze per ammazzarlo”; il che dimostrava la
conflittualità esistente tra i vari personaggi.
2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, per il tramite
del difensore di fiducia; deduce violazione di legge, mancanza e illogicità
della motivazione per aver escluso la riparazione per colpa grave
dell’interessato; censura la motivazione che ha ritenuto di poter desumere la
colpa grave di Kahala Faker dal fatto di essere clandestino e di
accompagnarsi a soggetti clandestini ovvero dalla frase proferita da uno dei
tunisini che erano in compagnia di Mohammed secondo cui erano venuti
apposta da Firenze per ammazzarlo; sono circostanze prive di rilevanza ai fini
della riparazione dell’ingiusta detenzione. Sostiene che l’imputato non ha

-2.,

RITENUTO IN FATTO

3. Si è costituito in giudizio il ministero dell’Economia che resiste alla
impugnazione.
4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento
con rinvio dell’ordinanza ritenendo che non siano stati dalla stessa evidenziati
concreti e specifici comportamenti tali da connotare la condotta ostativa ex
art. 314 cod. proc.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso merita accoglimento.
L’articolo 314, comma 1, c.p.p. prevede che chi è stato prosciolto con
sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il
fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita.
Il diritto alla riparazione non spetta, per contro, a chi abbia dato o concorso a
dare causa per dolo o colpa grave alla custodia cautelare.
Ne deriva che la Corte di appello, in presenza di un provvedimento
irrevocabile caratterizzato dalle anzidette formule di innocenza, può
disconoscere il diritto e, di conseguenza, rigettare l’istanza solo qualora
dimostri che il richiedente ha tenuto una condotta, processuale o
extraprocessuale, dolosa o gravemente colposa, che ha avuto una effettiva e
concreta incidenza rispetto all’adozione della misura cautelare oppure che ha
determinato il mantenimento della custodia cautelare.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (sez. unite n.34559 del
26/06/2002 2) Rv. 222263) il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita
vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità; il giudice deve
fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere
supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima, sia

adottato condotte ostruzionistiche o silenti ma ha solo narrato la propria
versione della vicenda, evidentemente difforme da quella riferita dai
denuncianti ma poi ritenuta veritiera dalla sentenza di assoluzione; spettava
però al giudice valutare fin dall’inizio la attendibilità delle due versioni invece
che privilegiare quella resa dai denuncianti dichiaratisi aggrediti, poi smentita
dalla intervenuta assoluzione; tanto più che l’indagato aveva indicato un teste
presente ai fatti, sentito nel corso del giudizio a prescindere dalla sua
condizione di clandestino e che aveva confermato la versione del Kahala
Faker; che nella sua abitazione non era stata trovata la collana d’oro oggetto
della presunta rapina, che Mohamed presentava solo una contusione al volto
incompatibile con la minaccia con il coltello dal medesimo riferita, ed anche il
coltello non era stato mai trovato; circostanze tutte debitamente evidenziate
dal gup nella sentenza di assoluzione.

p.t.m.

dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale
conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non se tale condotta integri
estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato,
ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza
della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto.
Nella specie la motivazione resa dalla Corte di appello di Ancona non soddisfa
i canoni richiesti.
Certamente non può essere considerato elemento caratterizzante la colpa
grave il fatto che il ricorrente, al pari degli altri soggetti con cui si
accompagnava, fosse clandestino, privo di documenti e già segnalato con
diversi alias, trattandosi di dati personali che non giustificano l’adozione di
misure punitive da parte di uno stato di diritto e di per sé non indicativi di
colpa oltre che privi di specifico rilievo in ordine alla riparazione dell’ingiusta
detenzione perché non si pongono in rapporto di causa – effetto rispetto
all’adozione della misura di cui si discute.
Neppure appare logicamente motivata l’ordinanza laddove ha considerato
colposo il comportamento tenuto dall’istante per le dichiarazioni a sua discolpa
rese in sede di interrogatorio.
Kahala Faker infatti è stato sottoposto a restrizione della libertà personale in
quanto accusato di rapina, essendo stato prestato pieno credito alle
dichiarazioni accusatorie rivolte nei suoi confronti e ritenuta invece
assolutamente inattendibile la versione dell’imputato che protestava la sua
innocenza specie perché non sarebbe stato riscontrato che il Mohammed era
ubriaco, come da lui dichiarato e per il poco spiegabile comportamento di
essere tornato sul luogo dove già aveva incontrato Mohamed anche dopo il
primo incontro nel corso del quale asseritamente aveva subito aggressione.
Ora l’episodio si inserisce certamente in un più complesso ambito di rapporti
tra i soggetti che vi sono stati coinvolti non privo di ambiguità e di risvolti di
difficile comprensione e non completamente chiarito dall’ordinanza in esame,
ma ciò non giustifica la ritenuta colpa grave in quanto il comportamento di
cui trattasi, cioè l’essere tornato sul luogo dei fatti, era successivo alla
denunciata rapina e comunque privo di una effettiva connotazione negativa,
nulla essendo avvenuto di particolare in tale fase; la circostanza, come
quella della ubriachezza di Mohammed è stata in realtà evidenziata solo a
sostegno della ritenuta non attendibilità della versione fornita dal Kahala
Faker ma è proprio in tale contesto che si rivela l’illogicità del provvedimento
qui impugnato che non chiarisce perché, una volta che l’esito del processo
penale ha rivelato la falsità delle accuse mosse e la innocenza dell’imputato
debba ritenersi la colpa grave del medesimo in relazione a quelle
dichiarazioni sostanzialmente irrilevanti rispetto all’accusa per la quale è
stato sottoposto a restrizione della libertà.
Si impone dunque l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per
nuovo esame alla corte di appello di Ancona cui si rimette anche la
determinazione tra le parti delle spese di lite.

annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla corte di appello di Ancona per
nuovo esame.

Così deciso il 7.1.2013.

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