Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50426 del 24/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50426 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GENEPRO CLAUDIO N. IL 15/11/1966
avverso la sentenza n. 827/2007 CORTE APPELLO di CATANIA, del
08/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 24/10/2013

R. G. 7555 / 2013

Con la suindicata sentenza la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza
del locale Tribunale sezione di Mascalucia, che ha condannato Claudio Genepro, concessegli
le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena di sette mesi di reclusione per i
reati, unificati da continuazione, di resistenza, lesioni volontarie plurime a pubblico ufficiale e
danneggiamento aggravato (reazione violenta, consistita nel rivolgere minacce e nel colpirli
con calci e altri gesti lesivi e nel danneggiare la loro auto di servizio per opporsi ad un rituale
controllo autoveicolare dei carabinieri, essendo stato sorpreso alla guida del suo motoveicolo
in stato di ebbrezza e dopo aver tentato di fuggire per sottrarsi ai normali controlli di rito).
Contro tale sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato,
deducendo violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento: alla impropria
applicazione dei canoni di valutazione della prova indiziaria, atteso che il Genepro avrebbe
unicamente reagito all’arbitraria condotta aggressiva dei carabinieri (art. 393 bis c.p.) e non
si sarebbe opposto al compimento di alcun atto di ufficio, essendo già stato identificato dagli
operanti; alla connessa ritenuta sussistenza dei reati di lesioni volontarie e di
danneggiamento compiuti nel contesto del medesimo contegno difensivo dell’imputato; alla
ritenuta sussistenza, in subordine, della contestata recidiva.
Le proposte doglianze sono connotate da palese infondatezza e da indeducibilità
argomentativa. In vero esse riproducono sostanzialmente e in modo acritico le stesse
censure espresse con l’atto di appello e pur diffusamente e correttamente disattese dai
giudici di appello alla stregua di una esauriente e lineare ricostruzione del contegno
dell’imputato in tutte le sue fasi, in palmare assenza di qualsiasi ambito di arbitrarietà
dell’azione dei carabinieri operanti (intervenuti, per altro, come rileva la sentenza di primo
grado, per iniziali “finalità protettive” nei confronti del Genepro visto in difficoltà a causa
dell’evidente assunzione di bevande alcoliche). In ogni caso tali doglianze sono basate su
elementi di fatto di cui si propone una lettura alternativa non percorribile nell’odierno giudizio
di legittimità, avuto riguardo alla adeguatezza motivazionale della sentenza impugnata, che
con ricchezza di argomenti ha illustrato l’univocità degli elementi di prova che attingono la
posizione del ricorrente. Del pari indeducibili in questa sede vanno ritenuti i subordinati rilievi
in tema di sussistenza della recidiva qualificata contestata al ricorrente, e comunque inscritta
nel giudizio di bilanciata equivalenza, con tutte le altre aggravanti contestate, rispetto alle
riconosciute attenuanti generiche.
Alla luce di queste ultime osservazioni (motivato giudizio di equivalenza tra le
riconosciute attenuanti generiche e le aggravanti, inclusa la recidiva) inconferenti appaiono i
rilievi espressi nella memoria difensiva (depositata il 20.9.2013), con cui si rinnova la
doglianza sulla ritenuta recidiva qualificata (in luogo della recidiva semplice). Profilo sul quale
la Corte territoriale congruamente non ha indugiato, atteso che la riconsiderazione della
recidiva non avrebbe comunque inciso sul confermato trattamento sanzionatorio in presenza
delle altre contestate circostanze aggravanti.
Il ricorso, per tanto, va dichiarato inammissibile, all’inammissibilità dell’impugnazione
seguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della cassa delle ammende, che stimasi equo determinare in misura di euro 1.000,00
(mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 24 ottobre 2013

Motivi della decisione

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