Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5038 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5038 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

Data Udienza: 08/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PACCA VIA CLAUDIO N. IL 02/03/1958
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 33/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
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lette/s~le conclusioni del PG Dott.
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Ritenuto in fatto
Ricorrono per cassazione i difensori di fiducia e procuratori speciali di Paccavia Claudio
avverso l’ordinanza emessa in data 29.1.2013 dalla Corte di Appello di Milano con la
quale, per un verso, veniva respinta, per la ritenuta condotta gravemente colposa con cui
l’interessato aveva dato causa ai provvedimenti restrittivi, la domanda di riparazione per
ingiusta detenzione subita a seguito di due ordinanze di custodia cautelare, una del G.i.p.
del Tribunale di Reggio Calabria, poi transitata per competenza a Milano (per 851 giorni
tra custodia carceraria e domiciliare, per i delitti di cui all’art. 416 c.p. e 110, 610, 615

non sussiste) ed altra emessa dal G.i.p. del Tribunale di Verbania per 140 giorni di
custodia carceraria e di 196 giorni per custodia domiciliare per i delitti di cui agli artt. 455
e 458 c.p. poi qualificati ex artt. 416, 110, 648, 110, 640 cc. 1 e 3, 61 n. 7 c.p. dai quali
veniva poi assolto con formule di merito); mentre, per altro verso, veniva riconosciuto
che il periodo di detenzione agli arresti domiciliari dal 6.12.2004 al 15.7.2005 (pari a 222
giorni) atteneva al primo procedimento ed era stato sofferto nonostante che dal
6.12.2004 il titolo custodiale presupposto fosse divenuto inefficace, onde veniva
attribuito, in relazione solo a tale ultimo periodo, l’indennizzo di C 26.640,00.
Deducono la violazione di legge in ordine al mancato accoglimento della domanda per il
periodo di efficacia della misura ed il vizio motivazionale in relazione al

quantum

dell’indennità determinata per il periodo di inefficacia della misura custodiale.
L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato per il Ministero dell’economia e delle
Finanze una memoria a sostegno dell’impugnata ordinanza.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per
l’accoglimento del ricorso limitatamente al quantum con rigetto nel resto
(subordinatamente alla presentazione di rinuncia delle parti interessate alla trattazione in
pubblica udienza del procedimento, attesa la pendenza del giudizio d’illegittimità
costituzionale sul punto).
I difensori del ricorrente hanno presentato la rinuncia alla trattazione in udienza pubblica.
Considerato in diritto
Il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.
L’ordinanza resiste

in parte qua

alle censure del gravame in quanto enuclea

correttamente la sussistenza della condotta ostativa del richiedente ex art. 314 c.p.p. Il
predetto, infatti, nel primo procedimento, ha tenuto “intensissime ed articolate relazioni
con Fazzari Vincenzo, finalizzate alla monetizzazione dell’assegno emesso dal Tesoro
Pubblico di Parigi a favore della C.G.P. Primagaz, dell’enorme importo di 25.153.525
franchi francesi, sottratto a tale società.” (pag. 14 ordinanza impugnata) e, nel secondo
procedimento, ha mantenuto contatti, accertati dagli elementi documentali richiamati a
pag. 15 dell’ordinanza gravata -annotazioni sull’agenda di Garavaglia Alberto- “con
Alberto Garavaglia (sicuro autore dei reati di riciclaggio e truffa di cui ai capi 18 e 19 ) e
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c.p., laddove dal primo veniva poi prosciolto per prescrizione e dal secondo perché il fatto

con Lorenzo Carbone (coinvolto nella truffa consumata in danno della Banca Popolare di
Intra, contestata ai capi 2, 3 e 4 che individuano a loro volta la contiguità rilevante ai fini
del rigetto dell’istanza” (pag. 15 dell’ordinanza impugnata).
La decisione è, infatti, conforme ai principi di diritto sanciti in subiecta materia da questa
Suprema Corte e così esposti in plurime pronunce tra cui quella n. 363 dell’8.1.2008 della
Sezione terza penale (ed altre conformi, quale, Cass. pen. Sez. III, 30.11.2007 n.
363, Rv. 238782) secondo cui: “In tema di riparazione per ingiusta detenzione, le
frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere

parentela e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti
in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo
ad escludere la riparazione stessa”.
Per quel che riguarda, invece, il quantum dell’indennizzo liquidato, giova premettere che
le SS.UU. della S.C. hanno sancito, con sentenza n. 24257 del 2001, che in materia di
riparazione per ingiusta detenzione la liquidazione dell’indennizzo va compiuta con
riferimento al parametro aritmetico che è costituito dal rapporto tra il tetto massimo della
riparazione di cui all’art. 315 c.p.p. e il termine massimo della custodia cautelare ex art.
304 c.p.p., espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di
ingiusta detenzione subita.
Tale criterio di determinazione, non vincolante in assoluto, è comunque criterio che
raccorda a dati certi e paritari il pregiudizio che scaturisce dalla perdita ingiustificata della
libertà personale e, come tale, è il criterio base della valutazione del giudice della
riparazione che potrà derogarvi o in senso ampliativo -purché nei limiti del tetto massimo
fissato dall’art. 315 c.2 c.p.p.- o in senso restrittivo, a condizione che, in un caso o
nell’altro, dia congruo conto della valutazione dei relativi parametri di riferimento e ciò
nel contesto di una delibazione ispirata al metodo equitativo, in coerenza con l’indole
indennitaria, e non risarcitoria, della somma liquidata a titolo di riparazione.
Nella quantificazione dell’equa riparazione per l’ingiusta detenzione deve utilizzarsi un
metodo composito fondato su due criteri concorrenti: quello aritmetico, uguale per tutti,
costituito dalla moltiplicazione del numero di giorni d’ingiusta detenzione subita per il
quantum giornaliero (euro 235,82 per la carceraria e la metà per quella domiciliare)
derivante dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo ex art. 315 c.p.p. e il termine
massimo di custodia cautelare ex art. 303, comma 4, lett. c) c.p.p.; e quello equitativo,
costituito dall’attribuzione di rilevanza, ai fini dell’aumento dell’importo derivante dal
calcolo aritmetico, agli eventuali, ulteriori effetti pregiudizievoli, personali, familiari,
professionali e sociali che siano scaturiti dalla detenzione ingiusta, col solo limite del
tetto massimo ex art. 315, comma 2, c.p.p. (Cass. pen. Sez. Un. n. 24287/2001, sopra
richiamata; Sez. IV, 16.6.2006, n. 11950). Inoltre, il giudice, nel liquidare con criterio
equitativo il quantum dell’indennizzo dovuto, non è tenuto ad una analitica motivazione
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interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di

in riferimento ad ogni specifica voce di danno, essendo sufficiente che dia conto dei
profili pregiudizievoli apprezzati e di tutte le circostanze che hanno condotto alla
conclusiva determinazione equitativa dell’indennizzo; determinazione che si rende
suscettibile di sindacato sulla motivazione solo sotto il profilo della intrinseca
ragionevolezza del risultato cui è pervenuta (Cass. pen. Sez. IV, 2.12.2005, n. 6282):
infatti, la delicatezza della materia e le difficoltà per l’interessato di provare nel suo
preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice
l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini

del caso concreto.
Ma nel caso in esame, pur effettuandosi correttamente il calcolo secondo il criterio
nummario (€120 x222 gg.) non si è tenuto conto di alcun altro parametro additivo:
infatti, l’ordinanza impugnata esclude dalla quantificazione dell’indennizzo la voce di
pregiudizio patrimoniale conseguito a malattie che il ricorrente ha documentato con i
ricoveri e dai clinici di riferimento.
Sul punto, l’ordinanza impugnata (pag. 16) così si esprime “… ben può ritenersi che la
misura degli arresti domiciliari per un verso non abbia impedito a Pacca via di fruire delle
cure necessarie (ove richieste) e per altro verso non abbia in alcun modo condizionato
eventuali attività lavorative, neppure prospettate per il periodo in questione”.
Ma il thema decidendum portato dalla domanda azionata non era quello della fruizione
delle cure ma di verificare se le patologie documentate fossero riconducibili o meno alla
restrizione patita e quale ne fosse la relativa eventuale incidenza patrimoniale, sia pure in
una prospettiva meramente indennitaria.
Risulta, pertanto, palese la carenza motivazionale sul punto predetto onde s’impone
l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione
dell’indennizzo concernente il periodo di inefficacia della misura con rigetto della parte
residua della domanda.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza limitatamente alla quantificazione dell’indennizzo e rimette
gli atti alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame.
Rigetta nel resto.
C

deciso in Roma, addì 8.10.2013

della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze

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