Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50331 del 02/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50331 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• ROSSI Daniele, nato a Piacenza il giorno 10/2/1959
avverso la ordinanza n. 183/15 in data 30/7/2015 del Tribunale di Milano in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Alfredo Pompeo VIOLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’indagato, Avv. Ernesto Savio SARNO, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 30/7/2015, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Milano, in parziale accoglimento del gravame posto da ROSSI Daniele ha
disposto la restituzione allo stesso di banconote ad esso sequestrate per un
valore di C 11.000,00 e di $ 3.000,00, rigettando nel resto la richiesta di
restituzione di altri beni del predetto sottoposti a misura cautelare reale quali
una rubrica telefonica, bigliettini vari, due personal computers e due telefoni
cellulari.

Data Udienza: 02/12/2015

Detti beni erano stati sottoposti a sequestro probatorio in data 19/5/2015 dal
personale della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria di Como nell’ambito di un’indagine disposta dalla locale Procura della Repubblica nei
confronti di VITTALINI Ezio che aveva portato all’emissione di un decreto di
perquisizione dell’abitazione del ROSSI, indagato in relazione al reato di cui
all’art. 648-ter cod. pen. commesso in San Donato Milanese il 19/5/2015.
Detto sequestro probatorio operato di iniziativa dalla P.G. era stato poi

decreto in data 21/5/2015.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato,
deducendo:
1. Violazione di legge in ordine all’art. 253 cod. proc. pen. per vizio di
motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine al fumus commíssi delieti

ed al

perieulum in mora.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che non vi sarebbe alcun
collegamento tra il reato di autoriciclaggio ipotizzato ed i beni per i quali è stato
disposto il mantenimento in sequestro e che nessuna motivazione sarebbe stata
prodotta al riguardo.
In particolare in nessun passo dell’ordinanza impugnata è stato evidenziato quale
sarebbe il collegamento tra il ricorrente e l’oggetto del presunto reato (€
140.000) o quale sia il collegamento tra gli oggetti sequestrati e la commissione
del reato stesso che ne richieda il mantenimento in sequestro.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle finalità probatorie della
misura cautelare reale.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che il Tribunale del riesame dapprima
avrebbe ritenuto motivato il decreto di convalida del sequestro ritenendo che i
beni sottoposti a sequestro sono pertinenti al reato ed il cui mantenimento in
sequestro era indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e dall’altro
avrebbe poi restituito le sole somme di denaro ritenendo che non sussistessero
elementi per il mantenimento in sequestro delle stesse.
Ciò determinerebbe una evidente illogicità motivazionale dell’ordinanza
impugnata ancor più se si considera che sulla base del decreto del Pubblico
Ministero le presunte finalità probatorie sarebbero legate alla prosecuzione delle
indagini volte a stabilire caratteristiche, provenienza e titolo di detenzione di
quanto sequestrato.

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convalidato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con

3. Violazione di legge e vizio (per mancanza di motivazione o motivazione
apparente) dell’ordinanza impugnata con conseguente nullità della stessa.
Evidenzia, al riguardo, la difesa del ricorrente che il decreto di convalida di
sequestro consta di un modulo prestampato dove le esigenze probatorie sono
state indicate in maniera del tutto generica, con conseguente motivazione
apparente adattabile ad un numero indeterminato di casi.
L’ordinanza impugnata a sua volta avrebbe solo apparentemente motivato

di comprendere con chiarezza le ragioni per le quali i beni sono stati sottoposti a
sequestro in quanto un conto è appurare come dice il decreto di convalida le
caratteristiche, la provenienza ed il titolo di detenzione di quanto sequestrato ed
altro è appurare i collegamenti tra il ricorrente ed Ezio VITTALINI.
Infine, avrebbe errato il Tribunale del riesame allorquando ha ritenuto che
qualora uno dei due PC risultasse di proprietà dell’ENI S.p.a. lo stesso potrà
essere dissequestrato ad istanza della stessa atteso che anche il legittimo
possessore del bene è legittimato a richiedere la restituzione dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve, innanzitutto, essere doverosamente ricordato che in tema di riesame
delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto
può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod.
proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di
motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di
precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi
nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di
ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Cass. Sez. un., sent. n.
5876 del 28/01/2004, dep. 13/02/2004, Rv. 226710). Al riguardo, questa Corte
ha, infatti, precisato che può dirsi ormai pacifico l’indirizzo giurisprudenziale che,
con riguardo a tutti i casi nei quali il ricorso per Cassazione è limitato alla sola
“violazione di legge” (a norma, ad esempio, degli artt. 311.2 per il ricorso per
saltum in materia di misure cautelari personali e 325.1 c.p.p. per il ricorso in
tema di misure cautelari reali, ovvero dell’art. 4.11 I. n. 1423 del 1956 per il
ricorso in materia di misure di prevenzione, personali o patrimoniali), esclude la
sindacabilità dell’illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606.1
lett. e) c.p.p., siccome vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di
legge. Si ritiene infatti che, in queste ipotesi, il controllo di legittimità non si
estenda all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del
discorso giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare con il

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facendo richiamo al provvedimento di convalida del sequestro e non consentendo

ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr. anche
Cass., Sez. Un., 28/5/2003 n. 12): quando essa manchi assolutamente o sia,
altresì, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da
risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di
merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
Il vizio appare in tal caso qualificabile come inosservanza della specifica norma

provvedimenti giurisdizionali. Questa linea interpretativa, ormai uniforme, trae
forza giustificativa dalla peculiare configurazione che hanno ricevuto nel codice
del 1988 i vizi logici della motivazione, che inficiano la base razionale del
discorso giustificativo della pronuncia. Tali vizi, mentre nel sistema processuale
abrogato acquistavano rilevanza soltanto “attraverso il riferimento ai casi di
nullità della sentenza” giusta il combinato disposto degli artt. 475.1 n. 3 e 524.1
n. 3 c.p.p. (Rel. prog. prel., p. 133), nel vigente codice di rito sono stati
specificamente tipizzati nella struttura della disciplina dettata dal primo comma
dell’art. 606, assumendo nella lett. e) piena autonomia nell’elencazione dei
motivi di ricorso per Cassazione. La manifesta illogicità della motivazione, pur
corrispondendo al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi che,
imposti da norme di legge (principalmente dall’art 192, ma anche dall’art. 546.1
lett. e c.p.p.), regolano il ragionamento probatorio, non è però presidiata da una
diretta sanzione di nullità: l’incongruenza logica della decisione contrastante con
detti canoni può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo
specifico motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606, che riconosce rilevanza
al vizio allorché esso risulti dal testo del provvedimento impugnato. Per contro,
l’ipotesi della mancanza di motivazione, pur essendo inclusa nella citata lett. e),
non ha perduto l’intrinseca consistenza del vizio di violazione di legge, che vale a
renderlo affine al motivo di ricorso enunciato nella lett. c) del medesimo art.
606, in quanto il caso di motivazione radicalmente omessa, cui è equiparata
quella meramente apparente, è sempre correlato alla inosservanza di precise
norme processuali (l’art. 125 comma 3, riguardante in generale le forme dei
provvedimenti del giudice, compresi i decreti nei casi in cui la motivazione è
espressamente prescritta dalla legge; l’art. 292, comma 2, lett. e) e c bis), e
comma 2-ter, in tema di ordinanza applicativa di una misura cautelare
personale), norme che, specificando il precetto di cui all’art. 111.6 Cost.,
stabiliscono l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, facendo
derivare dall’inosservanza di esso la nullità dell’atto.

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processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei

Da ciò nel consegue che non potranno essere oggetto di esame in questa sede le
argomentazioni contenute in più passaggi del ricorso nelle quali si sottolinea una
illogicità della motivazione come nel caso in cui si è evidenziato che il Tribunale
ha disposto la restituzione di alcuni beni (nella specie il denaro) mentre ha
disposto il mantenimento in sequestro dei restanti.
2. Ciò doverosamente premesso, va detto che sono infondate le censure del
ricorrente in ordine al fatto che difetterebbero nel caso in esame la sussistenza

Tribunale del riesame.
Il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione congrua ed adeguata al
riguardo descrivendo l’evoluzione delle indagini, indicando il ruolo dei principali
soggetti coinvolti nelle stesse (MELE Vincenzo e VITTALINI Ezio) e l’incontro del
primo a San Donato Milanese con il ROSSI il quale è risultato a sua volta avere la
disponibilità del numero telefonico del secondo.
A ciò si aggiungono ulteriori elementi di particolare pregnanza sempre
evidenziati nell’ordinanza impugnata quali:
a) il fatto che il MELE in occasione dell’incontro con il ROSSI venne trovato in
possesso di 4 mazzette di denaro contante per un ammontare di 140.000 C;
b) il fatto che l’autovettura del MELE presentava un doppio fondo appositamente
creato;
c) il fatto che nell’agenda del 2014 sequestrata in precedenza al VITTADINI si
accertava che questi aveva già registrato in data 23/5/2014 ed in data
12/6/2014 due consegne di denaro sempre nello stesso luogo di San Donato
Milanese ivi indicando come riferimento tale “Sig. ROSSI” per un totale di
120.000 C.
Detti elementi, come evidenziato dal Tribunale del riesame, collegati ad altri
elementi indicati nell’ordinanza impugnata hanno consentito e consentono di
ritenere integrato il

fumus commissi delíctí

necessario per l’adozione del

provvedimento cautelare reale non essendo certo necessaria in questa fase la
presenza di elementi probatori tipici del giudizio di merito quanto la mera
astratta configurabilità del reato ipotizzato dal pubblico ministero in relazione ad
indizi correttamente esaminati. Situazione che certamente sussiste nel caso in
esame e che è stata esplicitata con una motivazione congrua e tutt’altro che
apparente.
3. Quanto, poi, alle finalità probatorie necessarie per il mantenimento in
sequestro dei beni, anche in questo caso ci si trova in presenza di una
motivazione del Tribunale del riesame che non è censurabile.

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del fumus commissí delicti ed una adeguata motivazione sul punto da parte del

Se infatti è ben vero che il decreto di convalida del Pubblico Ministero fa
riferimento anche alle finalità connesse ad accertare le caratteristiche, la
provenienza ed il titolo di detenzione di quanto sequestrato è di tutta evidenza
che tale espressione non può che essere riferita al denaro sequestrato e poi
restituito ma non certo agli altri beni in relazione ai quali le finalità di
“prosecuzione delle indagini” (comunque menzionate nel decreto di convalida del
sequestro e ribadite dal Tribunale del riesame) non possono che essere quelle di

coinvolti nella vicenda attraverso l’esame della documentazione e delle memorie
degli apparati elettronici in sequestro.
L’ordinanza di rigetto del ricorso per riesame è pertanto da ritenersi
adeguatamente motivata con una valutazione di ragionevolezza dell’ipotesi di
pertinenza probatoria del materiale documentale ed informatico sequestrato.
Del resto questa Corte, con un assunto condiviso anche dall’odierno Collegio, ha
chiarito che “il decreto di sequestro probatorio può essere sorretto anche da
motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita in concreto per
l’accertamento dei fatti enunciata mediante formule sintetiche qualora sia di
immediata percezione la “diretta” connessione probatoria tra il vincolo di
temporanea indisponibilità del bene sequestrato ed il corretto sviluppo della
attività investigativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente
adempiuto l’obbligo di motivazione del sequestro di merce verosimilmente
contraffatta con l’utilizzo della espressione sintetica relativa alla “necessità di
proseguire le indagini”) (Cass. Sez. 2, sent. n. 52619 del 11/11/2014, dep.
18/12/2014, Rv. 261614; Sez. 2, sent. n. 11325 del 11/02/2015, dep.
18/03/2015, Rv. 263130).
4. Del tutto irrilevante, infine, ai fini della valutazione di eventuali vizi di legge
del provvedimento impugnato è la questione relativa alla legittimazione a
richiedere la restituzione di uno dei due PC in sequestro atteso che dalla lettura
del provvedimento impugnato non emerge che il mancato accoglimento della
restituzione del bene si è fondato sulla carenza di legittimazione attiva del
richiedente quanto, piuttosto, alle esigenze probatorio/investigative alle quali lo
stesso è legato.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle

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appurare ed approfondire i collegamenti ed i rapporti tra i soggetti risultati

Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 2 dicembre 2015.

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