Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5032 del 21/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5032 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACOMONI ALBERTO N. IL 21/12/1973
avverso la sentenza n. 4958/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del ott.
che ha concluso per/
r“. (4)\–7 O 1.
,2

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

s’esl-de

Data Udienza: 21/01/2014

Ritenuto in fatto

GIACOMONI Alberto ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, pur riformando in
melius quanto al trattamento sanzionatorio [esclusione della recidiva] quella di primo
grado, lo ha peraltro riconosciuto colpevole del reato di detenzione illecita di sostanze
stupefacenti.

Censura gli argomenti valorizzati a supporto della destinazione illecita della droga
[principalmente, il quantitativo della droga: 210 grammi di hashish, in grado di consentire
il confezionamento di 896 dosi medie singole; nonché grammi 1,7 di cocaina; le modalità
di confezionamento: l’hashish era diviso in due panetti; la cocaina era racchiusa in un
involucro di cellophane; le modalità di custodia: l’hashish era nascosto in auto sotto un
seggiolone; il resto nel portacenere della stessa autovettura], anche in ragione di una
pretesa condizione di tossicodipendenza, definita come patologica.

Censura che la mancata considerazione della documentazione sanitaria che avrebbe
dovuto indicare l’intenzione del prevenuto di sottoporsi ad un intervento chirurgico che gli
avrebbe impedito di procurarsi la droga per un certo tempo, onde l’acquisto era stato
motivato dall’esigenza di predisporsi una scorta [la corte riteneva il quantitativo
comunque esorbitante e non tale da supportare la fondatezza della giustificazione, anche
perché l’intervento era programmato per due mesi dopo il fatto]

Censura il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità [giustificato dalla corte in
ragione del quantitativo e della diversità qualitativa delle sostanze].

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili.

In primo luogo perché tale è il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono
le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli
stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve
essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare
le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a
2

Con il ricorso ripropone questioni già sollevate in secondo grado e rigettate in tale sede.

norma dell’articolo 591, comma 1, lettera c),

c.p.p., all’inammissibilità (Sezione IV, 8

luglio 2009, Cannizzaro).

Qui a ben vedere il ricorrente si limita a riproporre le stesse censure articolate in appello,
proponendo solo il proprio dissenso rispetto alla decisione sfavorevole, peraltro
puntualmente motivata

Vale il rilievo, inoltre, che le censure, specie quelle in punto di responsabilità, sono per

rispetto ad una ricostruzione fattuale della vicenda -sul punto- concordemente operata in
primo e secondo grado.

La genericità risulta evidente ove si consideri che, in tema di ricorso per cassazione, in
forza della regola della “autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede penale, è
onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti
processuali, provvedere alla trascrizione nel ricorso dell’integrale contenuto degli atti
medesimi ovvero alla allegazione di tali atti al ricorso ovvero, ancora, alla loro specifica
indicazione, nei limiti in cui il relativo contenuto sia ritenuto idoneo a “scardinare”
l’impianto motivazionale della decisione contestata. Ciò in quanto il giudice di legittimità
non deve essere costretto alla “ricerca” di quegli atti che confermerebbero la tesi del
ricorrente, essendo piuttosto onere di chi impugna e dispone dell’intero incarto
processuale mettere la Corte di legittimità in grado valutare la fondatezza della doglianza
(Sezione VI, 11 dicembre 2012, Proc. Rep. Trib. Roma in proc. Montenero ed altro;
nonché, Sezione V, 22 gennaio 2010, Casucci). Principio qui calzante in riferimento agli
argomenti sviluppati a proposito del programmato intervento chirurgico e del tema, pure
sviluppato in ricorso, in ordine ad una condizione di tossicodipendenza rappresentata
come patologica.

Tipicamente di “fatto” è, del resto, la doglianza relativa all’affermazione del giudizio di
responsabilità, a fronte di una decisione corretta e logicamente motivata.

E’ pacifico in proposito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’articolo 73
del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è la difesa a dover dimostrare l’uso personale della
droga detenuta, ma è invece l’accusa, secondo i principi generali, a dover provare la
detenzione della droga per uso diverso da quello personale. Infatti, la destinazione della
sostanza allo “spaccio” è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa
e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa, non spettando all’imputato
dimostrare la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato

3

un vero generiche e per altro verso si caratterizzano per una contestazione di merito

trovato in possesso (Sezione VI, 10 gennaio 2013, Proc. gen. App. Catanzaro in proc.
Grillo).

Così come è altrettanto pacifico che, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine
alla destinazione della droga va effettuata dal giudice di merito, ogni qualvolta la
condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, tenendo conto di tutte le
circostanze oggettive e soggettive del fatto e, in particolare, dei parametri indicati
nell’articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 (“quantità”,

criteri probatori idonei ad orientare la valutazione del giudice in ordine alla dimostrazione
della destinazione “ad un uso non esclusivamente personale”, tale da integrare l’illecito
penale (cfr. tra le altre, Sezione IV, 15 giugno 2010, Mennonna ed altro).

In questa prospettiva, allora, gli elementi indicati dall’articolo 73, comma 1 bis, lettera a),
del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 quali parametri utili al fine di apprezzare la destinazione
all’uso non esclusivamente personale delle sostanze stupefacenti (“quantità”, “modalità di
presentazione” e “altre circostanze dell’azione”) non vanno valutati isolatamente, ma alla
luce delle complessive risultanze del caso concreto, giacchè la decisione sarà logicamente
motivata solo se risulti in sintonia con l’intero compendio probatorio.

La Corte ha rispettato questi principi, avendo affrontato puntualmente il punto afferente
la destinazione della droga allo spaccio piuttosto che all’uso personale e lo ha risolto in
senso confermativo dell’apprezzamento del primo giudice di merito, attraverso il richiamo
alle suindicate circostanze [in primo luogo, quantità e suddivisione della droga;
circostanze del sequestro]. Qui, nella sede di legittimità, la decisione non ammette
censure, anche in ordine alla apprezzata irrilevanza della documentazione relativa al
preteso intervento chirurgico, comunque programmato per un periodo significativamente
posteriore al fatto incriminato.

Inaccoglibile è anche la doglianza relativa alla qualificazione del fatto come di lieve entità.

Il giudicante ha fatto corretta e logica applicazione del principio in forza del quale, in
tema di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante del fatto di lieve entità
(articolo 73, comma 5, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309) può essere riconosciuta solo in
ipotesi di “minima offensività penale” della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi, modalità e
circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto
degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Ciò in
quanto la finalità dell’attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante
4

“modalità di presentazione”, “altre circostanze dell’azione”), che appunto costituiscono

dall’articolo 3 della Costituzione, che impone – tanto al legislatore, quanto all’interpretela proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del fatto (Sezione IV,
13 maggio 2010, Lucresi, che ha ritenuto corretto il diniego dell’attenuante basato
proprio sulla gravità della condotta di spaccio).

Qui, il giudicante ha ampiamente motivato sulle convergenti ragioni che deponevano per
l’insussistenza dell’attenuante [rilievo decisivo è stato attribuito al quantitativo
importante dell’hashish] e il relativo giudizio regge al vaglio di legittimità anche a fronte

Nessuna conseguenza deriva dal

novum

normativo introdotto dal decreto legge 23

dicembre 2013 n. 146, che ha trasformato l’ipotesi di cui al comma 5 dell’articolo 73 del
dpr n. 309 del 1990 in fattispecie autonoma di reato, giacchè i presupposti del reato
sono rimasti gli stessi che potevano giustificare [o, per converso, negare] la concessione
dell’attenuante.

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 21 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

di motivazione sicuramente satisfattiva.

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