Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50257 del 21/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50257 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MORETTI MARCO N. IL 16/10/1988
avverso la sentenza n. 339/2013 TRIBUNALE di LECCE, del
16/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 21/10/2013

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., fu
applicata a Moretti Marco, per i reati di furto aggravato di cavi di rame, interruzione
di pubblico servizio e simulazione di reato, la pena concordata con la pubblica
accusa nella misura di un anno di reclusione e 300 euro di multa, riconosciute le

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto redatto personalmente, affidato ad unico motivo, con il quale deduce
mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.,
per mancanza di prova del fatto, della circostanza aggravante ed erronea
qualificazione, non potendosi una casa in costruzione definire “edificio destinato a
privata dimora”;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto si dà espressamente atto,
nell’impugnata sentenza, della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte, positive e
negative, previste dall’art. 444 c.p.p. per l’applicazione della pena su richiesta, ivi
compresa quella costituita dall’assenza dei presupposti per la pronuncia di sentenza
assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p.; il che basta ad escludere ogni violazione di
legge ed a soddisfare le esigenze di motivazione proprie delle pronunce del genere
di quella impugnata, qualora facciano difetto (come si verifica nel caso di specie)
specifici elementi, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento o indicati
nell’atto di gravame, dai quali possa invece desumersi che taluna delle suddette
condizioni fosse mancante (si vedano in proposito, fra le altre: Sez. 4, n. 7768 del
11/05/1992, Longo, RV 191238; Sez. 3, n. 1693 del 19/04/2000, Petruzzelli, RV
216583; Sez. 2, n. 27930 del 21/05/2003, Lasco, Rv. 225208; Sez. 4, n. 34494 del
13/07/2006, Koumya, Rv. 234824; Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv.
236622; Sez. 2, n. 6455 del 17/11/2011 – dep. 17/02/2012, Alba, Rv. 252085);
– che con riferimento alla qualificazione del fatto, nel procedimento di applicazione
della pena le parti non possono prospettare con il ricorso per cassazione questioni
incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e
per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, in quanto
l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione.
L’applicazione concordata della pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere
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attenuanti generiche;

qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla
richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato. Cosicché, in questa
prospettiva, l’obbligo di motivazione del giudice è assolto con la semplice
affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo
intervenuto tra le parti e dell’effettuato controllo degli elementi di cui all’art. 129
c.p.p. conformemente ai criteri di legge (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari,

– che nel caso di specie comunque il giudice precisa che una abitazione, pure se non
attualmente abitata perché sede di un cantiere è da considerare

“abitazione” ai

sensi dell’art. 624 bis cod. pen., in linea con la giurisprudenza di questa Sezione,
poiché il concetto di privata dimora è più ampio di quello di abitazione,
ricomprendendo ogni luogo non pubblico che serva all’esplicazione di attività
culturali, professionali e politiche (Sez. 5, n. 32093 del 25/06/2010, Truzzi, Rv.
248356);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro millecinquecento;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro millecinquecento in favore delle
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013
Il consigliere estensore

Il pr

Rv. 214637; Sez. 5, n. 21287 del 25/03/2010, Legari, Rv. 247539);

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