Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50247 del 21/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50247 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DETTO GABRIELE N. IL 04/12/1961
avverso la sentenza n. 1195/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
06/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 21/10/2013

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in parziale riforma di quella di primo grado, Detto
Gabriele era dichiarato responsabile di bancarotta documentale semplice, a norma
dell’articolo 217, comma 2, della legge fallimentare;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto redatto dal difensore avv. Renzo Interlenghi, denunciando inosservanza ed

come modificato dal decreto legislativo 5/2006, con riferimento all’ambito
soggettivo di estensione della procedura fallimentare, deducendo che, a seguito
della diminuzione del novero degli imprenditori fallibili, si è verificata una parziale
abolitio criminis, rilevabile anche d’ufficio ai sensi dell’art. 609 cod. proc. pen.;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, poiché
secondo la costante giurisprudenza di legittimità, conseguente ad una decisione
delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398), il
giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e
seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di
fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e
ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità
dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal
D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano
influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso;
– che in tale decisione questa Corte ha chiarito che “i nuovi contenuti dell’art. 1 I.
fall, non incidono su un dato strutturale del paradigma della bancarotta (semplice o
fraudolenta), ma sulle condizioni di fatto per la dichiarazione di fallimento, sicché
non possono dirsi norme extra penali che interferiscono sulla fattispecie penale” e
che “il giudice penale, che non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento
sulla base della normativa all’epoca vigente, allo stesso modo non può escluderne
gli effetti sulla base di una normativa sopravvenuta”;
– che tale orientamento è stato infatti confermato da numerose decisioni successive
di questa Sezione, con riferimento ad esempio alla qualità di socio di fatto (Sez. 5,
n. 47017 del 08/07/2011, Di Matteo, Rv. 251446) ed alla qualità di società
cooperativa svolgente attività d’impresa (Sez. 5, n. 40404 del 08/05/2009, Melucci,
Rv. 245427);

erronea applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 1 legge fallimentare

- che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013
Il consigliere estensore

Il p

ente

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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