Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50244 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 50244 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LUCCHETTI MASSIMO N. IL 15/07/1974
avverso la sentenza n. 939/2012 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
25/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1,‘„,{-9t.i.Isp
che ha concluso per ,p
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C/Le.

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Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale di Ancona, Sezione distaccata di Osimo, con sentenza
28/02/2007 condannava Lucchetti Massimo in relazione alla contestata
continuata detenzione illecita, a fini di cessione a terzi, in concorso con altri, di
grammi 480 di cocaina purissima e di chilogrammi 2 di hashish; e, in particolare,
alla cessione in custodia del suddetto stupefacente a tale Petrini (che
nascondeva tutto lo stupefacente ricevuto in custodia in un luogo sicuro a lui solo

chilogrammo di hashish), con il quale veniva sorpreso dal personale di PG
proprio nell’atto di ricevere in restituzione parte dello stupefacente
precedentemente consegnato.
In punto di pena, il Giudice di primo grado concedeva le attenuanti
generiche in misura prevalente sulla contestata recidiva specifica reiterata
infraquinquennale; determinava la pena base in anni nove di reclusione ed euro
45 mila di multa, avuto riguardo alla entità della droga detenuta ed alla presenza
in capo all’imputato di 3 precedenti specifici; determinava quindi la pena finale in
anni sei di reclusione ed euro 30 mila di multa.

2.La Corte di appello di Ancona, con sentenza 10/10/2011, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, concedeva la circostanza attenuante di cui
all’art. 73 comma 7 d.P.R. n. 309/1990 (osservando che l’imputato aveva fornito
un contributo significativo consentendo in fase di indagini di comprendere talune
modalità della condotta che sarebbero rimaste oscure, in specie in relazione
all’interpretazione di conversazioni intercorse tra i correi), ma in misura
equivalente alla contestata recidiva, così confermando la pena finale di anni sei
di reclusione ed euro 30 mila di multa.

3.La Corte di Cassazione con sentenza 19/07/2012 annullava la sentenza
impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame in punto
di mancato riconoscimento della prevalenza dell’ulteriore riconosciuta attenuante
speciale sul presupposto che in primo grado era stata ritenuta la prevalenza delle
attenuanti generiche e che il giudizio di comparazione avrebbe dovuto essere
formulato unitariamente, in assenza di appello del P.M. avverso le determinazioni
del primo giudice.

4.La Corte di appello di Perugia con sentenza 25/01/2013, decidendo in
sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal
Tribunale di Ancona, Sezione distaccata di Osimo, concesse le attenuanti di cui
2

noto e che, a richiesta, restituiva al Lucchetti grammi 51 circa di cocaina e 1

all’art. 73 comma 7 d.P.R. 309/1990 e 62 bis c.p. prevalenti, determinava la
pena inflitta al Luchetti in anni quattro di reclusione ed euro 20 mila di multa.

5.Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso, tramite Difensore,
l’imputato, deducendo come unico motivo violazione del divieto di reformatio in
peius e violazione di legge e vizio di motivazione in punto di trattamento
sanzionatorio.
Il ricorrente preliminarmente deduceva che con precedente ricorso aveva

circostanze e che non si sarebbe potuto valutare come equivalenti le ulteriori
circostanze attenuanti riconosciute, in presenza di un pregresso giudizio di
prevalenza consolidato dalla mancata impugnazione del P.M. Osservava che la
Corte regolatrice, nel disporre l’annullamento con rinvio, aveva rimandato al
giudice di merito la determinazione della pena, dovendosi ritenere prevalente
l’attenuante riconosciuta (ex art. 73 comma 7 d.P.R. 309/1990).
Tanto premesso, il ricorrente contestava il calcolo della pena effettuato
dalla Corte di appello di Perugia, che aveva applicato la riduzione minima per
l’attenuante speciale (la metà della pena), ma nel contempo aveva ridotto la
diminuzione della pena per le attenuanti generiche (che i precedenti giudici di
merito avevano riconosciuto nella misura massima del terzo); dette modalità di
calcolo della pena, in assenza di una impugnazione del P.M., sarebbero
inammissibili alla luce del generale principio giurisprudenziale (affermato, ad es.,
da Sez. 5, sent. n. 14991/2012; e da Sez. 4, sent. n. 47341/2005) secondo il
quale il divieto di reformatio in peius riguarda non soltanto la pena finale ma
anche i singoli componenti del calcolo della pena.
Sotto altro profilo, la Corte di appello di Perugia avrebbe
contraddittoriamente, da un lato, applicato nel minimo l’attenuante speciale e
ridotto la massima applicazione delle attenuanti generiche (operata dai
precedenti giudici di merito); e, dall’altro, ridotte dapprima la pena per
l’attenuante speciale per poi ulteriormente ridurla nella suddetta misura per
l’attenuante generica. Secondo il ricorrente, tale procedimento

latu sensu

compensativo di determinazione della pena sarebbe stato incongruo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto nei termini di seguito
indicati.

3

lamentato l’erronea applicazione dell’art. 69 cod. pen. nel bilanciamento delle

2. La Corte regolatrice, con sentenza 19/7/2012, nell’annullare con rinvio
alla Corte di appello di Perugia limitatamente all’omesso giudizio di prevalenza
dell’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 73 per nuovo esame, ha rilevato che:
a) il Tribunale aveva correttamente ritenuto (e peraltro sul punto non vi
era stata impugnazione da parte del P.M.) la prevalenza delle attenuanti
generiche sulla recidiva specifica infraquinquennale (contestata nella specie), in
quanto aveva ritenuto

kikin la disciplina della legge n. 251/2005 (che vieta il

giudizio di prevalenza) non applicabile nel caso di specie, in quanto più

b) il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen. ha carattere
unitario con la conseguenza che deve essere effettuato tra le attenuanti nel loro
complesso e la recidiva (sul punto è stata richiamata Sez. 6, sent. n. 39456 del
09/10/2003, Rv. 227433);
c) il giudice, di appello una volta riconosciuta in quel grado l’attenuante di
cui all’art. 73 comma 7 d.P.R. n. 309/1990, essendo state già riconosciute in
primo grado le circostanze attenuanti prevalenti sulla contestata rediva, avrebbe
dovuto effettuare la valutazione delle attenuanti globalmente, ritenendo per tutte
le circostanze attenuanti ravvisate il giudizio di prevalenza, essendo inibito
diminuire la pena solo per effetto delle attenuanti generiche e mantenere il
giudizio di equivalenza tra l’ulteriore attenuante e la contestata recidiva.

3. La Corte di appello di Perugia, per l’appunto quale giudice di rinvio,
nella sentenza impugnata ha esordito osservando che si trattava di rideterminare
la pena, una volta affermata la prevalenza sulla contestata recidiva non soltanto
delle attenuanti generiche concesse in primo grado ma anche dell’attenuante
speciale concessa in grado di appello.
Nel procedere poi alla concreta rideterminazione della pena, il giudice di
rinvio:
-in primo luogo, ha determinato la pena base di anni nove di reclusione
ed euro 45 mila di multa, come già aveva fatto il giudice di primo grado;
-quindi ha applicato l’attenuante speciale ex art. 73 comma 7
(riconosciuta dal giudice di secondo grado) e – ritenendo non particolarmente
rilevante la collaborazione offerta dal Lucchetti, in quanto gli inquirenti avevano
già compreso il giro attraverso gli esiti dell’espletata attività captativa e in tale
quadro l’apporto dell’imputato aveva avuto un valore meramente confermativo e
chiarificativo (come illustrato dall’ufficiale di P.G. Caruso, le cui dichiarazioni,
rese in separato procedimento, erano state prodotte all’udienza di appello
svoltasi davanti alla Corte di appello di Ancona) – ha applicato detta attenuante

4

sfavorevole all’imputato;

nel minimo (determinando la pena in anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro
22.500 di multa);
-infine ha ritenuto le attenuanti generiche (già riconosciute dal giudice di
primo grado) e le ha applicate nella misura minima (determinando la pena finale
in anni quattro ed euro 20.000 di multa), sul presupposto che alla base del
riconoscimento dell’attenuante vi era stata da parte del giudice di primo grado
proprio la valorizzazione dell’atteggiamento collaborativo (che, come sopra
rilevato, in secondo grado era stato ritenuto meritevole di assurgere a motivo

La Corte territoriale ha concluso osservando che il giudizio di prevalenza,
ormai formulato, non poteva che risentire dell’oggettiva gravità dell’episodio
contestato al Luchetti (concernente la detenzione di un assai rilevante
quantitativo di sostanze stupefacenti di diverso genere) e dei citati precedenti
specifici (gravanti sull’imputato); e, d’altra parte, non poteva considerarsi
consolidata la riduzione della pena per effetto delle attenuanti generiche nella
misura di un terzo, a fronte del mutamento della cornice giuridica complessiva e
dell’assunzione da parte di ciascuna attenuante di un ruolo nuovo nell’ambito del
riformulato giudizio, connotato dal valore preponderante e in larga misura
assorbente dell’attenuante di cui all’art. 73 comma 7 d.P.R. 309/1990.

4. Occorre a questo punto ricordare che questa Corte ha da tempo
chiarito che il giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen., va inteso
come ulteriore fase del giudizio di merito, vincolata alla sentenza di
annullamento nei limiti da questa determinati. Il giudizio di rinvio non si
identifica, quindi, nella pura e semplice rinnovazione del giudizio conclusosi con
la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a se stante, caratterizzata dal
condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di Cassazione che lo
ha disposto.
Nel caso di specie, il giudice di rinvio si è attenuto al dicta della Corte,
determinando correttamente, fin dall’inizio della motivazione, la propria sfera di
valutazione; e ritenendo il giudizio di prevalenza per entrambe le circostanze
attenuanti ravvisate (quella speciale ex art. 73 comma 7 e quelle generiche).

5. Il ricorso non è fondato laddove lamenta la concessione dell’attenuante
speciale nel minimo.
Invero, come noto, per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti
del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di legittimità non
solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. n. 36382 del
22/09/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
5

fondante il riconoscimento dell’autonoma attenuante speciale).

congrua”: cfr. Sez. 4, sent. n. 9120 del 4/08/1998, Urrata, Rv. 211583), ma
afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra
circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui
all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di
mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 16/06/2004,
Ronzoni, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie,
nel quale la Corte di appello di Perugia nella impugnata sentenza ha motivato la
concreta determinazione del trattamento sanzionatorio con ragionamento per

6. Parimenti infondato è il ricorso laddove sembra dedurre che la Corte
territoriale avrebbe dovuto applicare dapprima le generiche nella massima
espansione e, quindi, l’attenuante speciale.
Al riguardo, e cioè in punto di criterio da seguire nell’applicazione delle
diminuzioni di pena conseguenti al riconoscimento sia dell’attenuante ad effetto
speciale che dell’attenuanti generiche, basta ricordare l’art. 63 cod. pen. commi
3 e 5, alla luce del quale correttamente la Corte territoriale ha applicato
dapprima la circostanza ad effetto speciale (quella di cui all’art. 73 comma 7,
che, comportando una diminuzione della pena in misura superiore ad un terzo,
determina la “pena meno grave”), e, poi, esercitando la facoltà conferita da
detta disposizione di legge, le attenuanti generiche (ad efficacia comune).

7. Il ricorso è invece fondato laddove la Corte territoriale non ha applicato
le circostanze generiche nella massima espansione, già riconosciuta in primo
grado di merito.
Non sfugge a questa Corte che secondo alcune pronunce della
giurisprudenza di legittimità (sez. 5, sent. n. 6402 del 14/03/1990, Mariani, Rv.
184228; Sez. 4, sent. n. 10821 del 24/04/1990, Stankovic, Rv. 184879), il
divieto della riforma peggiorativa per il giudizio in grado di appello afferisce
soltanto al risultato finale dell’operazione di computo della pena, non anche ai
criteri di determinazione della medesima e ai relativi calcoli (di pena base o
intermedi). Il principio è stato successivamente ribadito (Sez. 3, sent. n. 25606
del 24/03/2010, Capolino ed altro, Rv. 247739), anche con la precisazione che il
fatto che il giudice nella sentenza impugnata, abbia determinato taluni aumenti
in modo diverso e meno favorevole per l’imputato, rispetto ai calcoli effettuati
dal giudice di primo grado, non dà luogo ad alcuna violazione del principio di cui
si discute “in quanto il detto divieto concerne la parte dispositiva della sentenza
e non si estende alla motivazione nella cui formulazione il giudice non può subire
condizionamenti (Sez. 5, sent. n. 12806 del 25/02/05, De Finis, Rv. 231695).
6

nulla illogico e men che meno contradittorio.

Senonché le Sezioni Unite di questa Corte, con sent. n. 40910 del
27/9/2005, William Morales, Rv. 2320066, intervenendo nel dirimere un già
rilevato contrasto giurisprudenziale, hanno statuito che, nel giudizio di appello, il
divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non
riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che
concorrono alla sua determinazione (con la conseguenza che il giudice di appello,
anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una
sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena base

Al suddetto insegnamento delle Sezioni Unite si è ispirata di recente altra
sentenza di questa Corte (Sez. 1, sent. n. 45236 del 22/10/2013, Stralaj, Rv.
257775), che, in caso del tutto analogo a quello in esame, ha affermato che:
“Viola il divieto della “reformatio in peius” il giudice di appello che, a seguito di
impugnazione del solo imputato, concedendo un’ulteriore attenuante diminuisca
complessivamente la pena inflitta, operando, però, una minore riduzione per
l’attenuante già riconosciuta in primo grado”, in fattispecie nella quale è stato
affermato, con argomentazione qui condivisa, che a tale errore si può ovviare in
questa sede di legittimità applicando direttamente la corretta di diminuzione di
un terzo per le generiche.
Ne consegue che, in accoglimento delle conclusioni del Procuratore
generale, fatte proprie in udienza anche dal difensore, partendo dalla pena base
di anni 9 ed euro 45 mila di multa, detta pena deve essere diminuita, dapprima,
per effetto del riconoscimento dell’attenuante speciale, ad anni 4 e mesi 6 di
reclusione ed euro 22.500 di multa, e, poi, per effetto del riconoscimento delle
attenuanti generiche, ad anni 3 di reclusione ed euro 15 mila di multa.

5. Per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere accolto e la pena
deve essere rideterminata come sopra precisato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla
determinazione della pena , pena che determina in anni tre di reclusione ed euro
/
15.000 di multa.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015.

in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado).

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