Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50225 del 21/10/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 50225 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BOBES IONELA CORNA N. IL 30/11/1978
avverso la sentenza n. 23/2012 TRIBUNALE di MASSA, del
08/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
Data Udienza: 21/10/2013
RILEVATO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, Bobes Ionela
Corina era ritenuta responsabile di ingiuria in danno di Currà Vincenzo;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, con
atto redatto personalmente, denunciando erronea applicazione dell’art. 533 cod.
proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento al giudizio di
l’appello, nonché deducendo il vizio di imputabilità dell’imputata, sulla base di
perizia svolta in altro procedimento per fatti commessi a breve distanza temporale
da quelli contestati;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va dichiarato inammissibile per genericità del motivo, poiché la
ricorrente si limita a richiamare la censura di inattendibilità della persona offesa, in
quanto convenuta in giudizio dalla ricorrente in una causa di lavoro per
licenziamento senza giusta causa e retribuzioni non corrisposte e querelata per
molestie, già proposta in sede di appello;
– che la sentenza impugnata, diversamente da quanto affermato nel ricorso,
considera specificamente le ragioni di risentimento di Currà Roberto, ma osserva
anche che la sua deposizione è confermata dal padre e dal commissario Butera,
per cui deve escludersi il lamentato vizio motivazionale per omesso esame del
motivo di appello;
– che anche il secondo motivo va dichiarato inammissibile, poiché la richiesta di
proscioglimento per difetto di imputabilità rappresenta un motivo nuovo, non
proposto in sede di appello e perciò in contrasto con la disposizione dell’art. 606,
comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in Cassazione delle questioni
non prospettate nei motivi di appello;
– che infatti parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato
dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un
principio già enucleabile dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di
detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati
dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (artt. 581, 1° co, lett. e) e 591, 1°
co., lett. c) cod. proc. pen.) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della
decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità
attendibilità della persona offesa, per omesso esame delle deduzioni proposte con
specifiche al ricorso per cassazione; il combinato disposto dell’art. 606, comma 3 e
dell’art. 609, comma 1 impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi
questione non prospettata in appello, e, come rileva la più recente dottrina,
costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di
cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto
intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso,
infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione
mai investito della verifica giurisdizionale;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro mille;
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla ca delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013
Il consigliere estensore
della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché