Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50223 del 21/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50223 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MASSARI GIUSEPPE N. IL 19/02/1975
avverso la sentenza n. 2154/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
29/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

e

Data Udienza: 21/10/2013

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, Massari
Giuseppe fu ritenuto responsabile di due episodi di tentativo di furto aggravato in
appartamento, riconosciuta l’attenuante del risarcimento del danno, equivalente
alla contestata l’aggravante;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con

al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, in considerazione della
confessione resa in sede di convalida, delle modalità dell’azione, la mancanza di
abilità nel tentativo di scasso, della inidoneità degli attrezzi utilizzati, dell’entità dei
danni causati alle persone offese e della della condotta successiva all’arresto;
difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena, non essendo
indicata la pena base applicata per il reato di cui all’art. 624 bis cod. pen., ne la
diminuzione effettuata ex art. 56 cod. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, poiché va
rimarcato che il riconoscimento delle attenuanti generiche, e il connesso giudizio di
bilanciamento con le aggravanti, sono statuizioni che l’ordinamento rimette alla
discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di
legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni
della logica. Nel caso di specie la Corte d’appello non ha mancato di motivare la
propria decisione, facendo riferimento alla professionalità nel delitto dell’imputato,
desumibile dalla circostanza che egli indossava guanti di lattice e recava con sé
attrezzi di lavoro che non si limitavano ai due cacciavite richiamati nel ricorso;
riportando i molteplici precedenti penali riportati nel casellario giudiziale, dei quali
tre condanne per rapina, otto condanne per furto e tentato furto, ben nove
condanne per furto in abitazione consumato, oltre ad ulteriori condanne per rissa,
minaccia, danneggiamento, falsità materiale, falsità ideologica. Siffatta linea
argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto delle
ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è necessario, a soddisfare
l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti
gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli
elementi che nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo;
– quanto poi al vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, va
ricordato che il delitto tentato costituisce figura autonoma di reato, qualificato da
2

atto sottoscritto personalmente, affidato a due motivi: violazione di legge in ordine

una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla
combinazione della norma incriminatrice specifica e dalla disposizione contenuta
nell’art. 56 cod. pen., che rende punibili, con una pena autonoma, fatti non
altrimenti sanzionabili, per cui la determinazione della pena può effettuarsi anche
con il cosiddetto metodo diretto o sintetico (come avvenuto nel caso di specie), cioè
senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di
delitto consumato, purchè ciò avvenga nel rispetto dei vincoli normativi relativi al

violazione di legge (Sez. 1, n. 37562 del 16/05/2001, Botto, Rv. 220189; Sez. 2, n.
5480 del 11/03/1993, Bono, Rv. 195382);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013
Il consigliere estensore

Il

contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui inosservanza comporta

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