Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50217 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50217 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

DI FRANCESCO Liliano, nato a Sanremo il 12 luglio 1958

avverso la sentenza n. 852/2014 della Corte di Appello di Genova, in data 20
dicembre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

DI FRANCESCO Liliano propone ricorso, tramite il difensore fiduciario, avverso la
sentenza della Corte di Appello di Genova, emessa in data 20/12/2013 e depositata in
data 27/2/2014, con cui veniva confermata la sentenza del Tribunale di Imperia, in
data 22/10/2012, che, nel condannarlo alla pena condizionalmente sospesa di mesi
uno di reclusione ed Euro 300 di multa, lo aveva dichiarato colpevole del reato di

retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 81 cpv. c.p., art. 2, c.1 bis, L. n. 638/1983,:
men’silità contestate da luglio a ottobre 2009, per un ammontare pari ad Euro 809,00).
Il ricorrente deduce, quale unico motivo,i1 vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), in
particolare, per violazione della Legge n. 67 del 2014, art. 2, comma 1 bis,non
essendo stato messo nelle condizioni di fruire della causa di non punibilità per
irregolarità della notifica dell’accertamento delle violazioni.
Sostiene il DI FRANCESCO che la Corte di Appello non ha considerato che egli non
aveva avuto conoscenza della comunicazione dell’accertamento della violazione di cui
all’art. art. 2, comma 1 bis, L. n. 638 del 1983, inviata con lettera raccomandata a. r.,
in quanto non ricevuta da lui personalmente ma da tale Antonella, com’è ricavabile
dall’avviso di ricevimento in atti, e che non possa valere come equipollente il decreto
di citazione a giudizio, in quanto privo dell’essenziale indicazione della sede dell’ente
presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi all’uopo concesso dalla
legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
Va premesso, che la possibilità concessa al datore di lavoro di evitare l’applicazione
della sanzione penale, mediante il versamento delle ritenute entro il termine di tre
mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento delle violazioni, è connessa
all’adempimento dell’obbligo, secondo la formulazione dell’art. 2, comma 1-bis, da
parte dell’ente previdenziale, di rendere noto, nelle forme previste dalla norma, al
datore di lavoro l’accertamento delle violazioni, nonché le modalità e termini per
eliminare il contenzioso in sede penale.
L’esercizio della facoltà di fruire della causa di non punibilità, pertanto, può essere
precluso solo dalla scadenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 2, comma 1-bis,
ultimo periodo, a decorrere dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto
accertamento delle violazioni ovvero da un atto ad esso equipollente, che ne contenga
tutte le informazioni, in modo che l’accesso alla causa di non punibilità risulti
concretamente assicurato.
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omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle

Incornbe, perciò, in primo luogo sull’ente previdenziale, l’obbligo di assicurare la
regolarità della contestazione o della notifica dell’accertamento delle violazioni e
attendere il decorso del termine di tre mesi, in caso di inadempimento, prima di
trasmettere la notizia di reato al pubblico ministero.
Occorre sul punto rilevare che, secondo l’indirizzo interpretativo di questa Corte, non
contrastato da pronunce dì segno opposto, la notifica dell’accertamento della
violazione non è soggetta a particolari formalità, non applicandosi a detta notifica il
regime delle notificazioni previsto per i soli illeciti di natura amministrativa dalla legge

procedura penale, e può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo del servizio
postale mediante raccomandata inviata sia presso il domicilio del datore di lavoro che
presso la sede dell’azienda (Sez, 3, n.. 10058 del 27/4/2010, Rv. 612728, Sez. 3, n.
9518 del 22/02/2005; Sez. 3, n. 20753 del 13/01/2006, Rv. 234511; Sez. 3, n. 26054
del 14/02/2007, Rv. 2372202).
Deriva da tale sistema di notificazione che le contestazioni del ricorrente, riguardanti la
regolarità della notificazione stessa, sono palesemente infondate in quanto l’atto di
accertamento risulta inoltrato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale e
la sua ricezione da parte del destinatario si presume, sulla base dell’avvenuta
ricezione della stessa all’indirizzo del destinatario – nella specie, il luogo di residenza,
Salita Pescio, 1, San Remo – nè, d’altro canto, il DI FRANCESCO ha fornito alcun serio
elemento a sostegno della dedotta mancanza di conoscenza dell’atto.
La fattispecie in esame è tuttora prevista come reato, limitandosi la L. 28 aprile 2014,
n. 67 – richiamata dal ricorrente – a stabilire una delega al governo in materia di pene
detentive non carcerarie, perciò non apportando in nessun modo modifiche alla figura
di reato in oggetto (essendo tale funzione affidata alla futura decretazione delegata).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015.

n. 689 del 24 novembre 1981, né quello delle notificazioni previsto dal codice di

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