Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50216 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50216 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

OUERGHI Chebbi, nato in Tunisia il 31 dicembre 1980

avverso la sentenza 4322013 del G.I.P. del Tribunale di Perugia, in data 11 febbraio
2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio con trasmissione atti;

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza di patteggiamento emessa in data 11/2/2014, il G.I.P. del Tribunale di
Perugia ha applicato a OUERGHI Chebbi, la pena di anni uno e mesi otto di reclusione
ed Euro 2.000,00 di multa, concedendo le attenuanti generiche ed applicando la
diminuente del rito nonchè l’aumento per la continuazione, in relazione ad una serie di
episodi di vendita di dosi di stupefacenti del tipo eroina e cocaina ricondotte, con .
riqualificazione del fatto, alla previsione di cui alli art. 73, c.5, D.P.R. n. 309/1990.
propone ricorso per cassazione, personalmente,

l’imputato, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali, ai sensi dell’ art. 606,
Lett. b), c) e d), c.p.p., per assenza ed illogicità dell’apparato argomentativo, in
relazione alla esclusione dell’ipotesi di proscioglimento ex art. 129, c.1, c.p.p. e
chiedendo l’annullamento della impugnata sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile ma la impugnata sentenza va
annullata, quanto al trattamento sanzionatorio, per le ragioni di seguito precisate.
Riguardo alle doglianze del

ricorrente, è sufficiente richiamare la consolidata

giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 250 del 30/12/2015, Rv. 261802,
Sez. 2, 12/10/2005, Rv. 232844), secondo cui l’accordo sulla pena “esonera il giudice
dall’obbligo di motivazione sui punti non controversi della decisione”.
Ne discende che anche una valutazione sintetica del fatto, operata in sentenza, deve
considerarsi più che sufficiente a giustificare la ratifica dell’accordo raggiunto dalle parti.
Ed in relazione allo specifico profilo che qui interessa, la giurisprudenza costante di
questa Corte (Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, dep. 22/07/2013, Rv. 256359; Sez. 4,
n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 3, n. 2309 del
18/6/1999, Rv. 215071) ha stabilito il principio secondo cui la sentenza del giudice di
merito che applichi la pena su richiesta delle parti (escludendo che ricorra una delle
ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.) può essere oggetto di controllo di
legittimità, per vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata
appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ai sensi della disposizione
su menzionata. Diversamente (Sez. 5, n. 2309 del 15/4/1999, Rv. 213633), non è
necessario che il giudice dia conto, nella motivazione, della esclusione di tale causa,
“essendo sufficiente anche una implicita motivazione” al riguardo.
Ed ancora, nel giudizio definito ex art. 444 c. p. p., infatti, è inammissibile per
genericità l’impugnazione nella quale si lamenti la mancata verifica, o comunque
l’omissione di motivazione, in ordine alla sussistenza di cause di non punibilità, ove la
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Avverso la suindicata decisione

censura non sia accompagnata dalla indicazione specifica delle ragioni che avrebbero
dovuto imporre al giudice l’assoluzione o il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c. p. p.
(Sez. 3, n. 1693 del 19/04/2000, Rv. 216583).
Nel caso di specie, non solo l’esistenza di una causa di non punibilità non viene neppure
specificamente prospettata dal OUERGHI, ma la procedura dell’applicazione della pena
su richiesta dell’imputato ha avuto corretto svolgimento perché il G.I.P. del Tribunale di
Perugia, come risulta dal testo della sentenza impugnata, ha analiticamente indicato le
fonti di prova (verbali di arresto in flagranza e di fermo, di sequestro della sostanza

relazioni di servizio dei carabinieri di Città di Castello, verbale di interrogatorio in
carcere, provvedimento di applicazione della misura di prevenzione), ha svolto un
controllo preventivo completo sui singoli presupposti dell’applicazione della pena, cioè
sull’esattezza della qualificazione giuridica del fatto, sulla congruità e dell’esattezza del
calcolo della pena anche in relazione alla continuazione tra i reati, ha quindi valutato la
sussistenza dei presupposti, sul piano oggettivo e soggettivo, per concedergli le
attenuanti generiche, ed ha da ultimo applicato la diminuente per il rito.
Cionondimeno, nel giudizio di cassazione, l’illegalità della pena conseguente a
dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio
rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di
ricorso tardivo (Sez. U. n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264206, in fattispecie
concernente la dichiarazione di incostituzionalità, intervenuta con la sentenza n. 32 del
2014, e riguardante proprio il trattamento sanzionatorio introdotto per le cosiddette
“droghe leggere” dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla
legge 21 febbraio 2006, n. 49).
Per quanto qui rileva, le Sezioni Unite, con la suindicata decisione, hanno affermato i
seguenti principi: – 1) “E’ illegale la pena determinata dal giudice attraverso un
procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R.
309/1990 come modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto,
ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel
caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti
dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006,
rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità”; 2) “Nel patteggiamento
l’illegalità sopraggiunta della pena determina la nullità dell’accordo e la Corte di
cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo”.
L’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza si impone dunque in quanto il
trattamento sanzionatorio è divenuto illegale, atteso che il fatto contestato è stato
ritenuto sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 73, c. 5, D.P.R. 309/1990.

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stupefacente, di sommarie informazioni testimoniali degli acquirenti della stessa, foto e

La disposizione in parola è stata modificata, una prima volta, con il D.L. 23 dicembre
2013, n. 146, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, con cui il
fatto reato “lieve” è stato configurato come ipotesi autonoma di reato (e non più come
attenuante a effetto speciale) e punito, per ogni tipo di sostanza stupefacente (pesante
o leggera), con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro
3.000 ad Euro 26.000.
Su tale norma ha, poi, inciso la sentenza n. 32/2014 (decisione del 12/2/2014,
pubblicata il 25/2/2014) con cui la Corte Costituzionale ha reintrodotto il preesistente

regime che stabiliva ex art. 73, c. 5, D.P.R. 309/1990 per i fatti di lieve entità le pene
detentive da uno a sei anni di reclusione per le droghe pesanti e da sei mesi a quattro
anni di reclusione per le droghe leggere.
L’art. 73, c. 5, citato, è stato ulteriormente modificato, in sede di (sola) conversione con
modificazione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, (che non recava alcuna previsione al
riguardo), dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, (art. 1, c. 24 ter) che l’ha così
definitivamente strutturato: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le
circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità,
è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro
1.032 a Euro 10.329”.
Trattasi di ipotesi autonoma di reato, che è tornata ad essere applicabile – come già
statuito dalla citata legge n. 10/2014 – sia a droghe pesanti che a droghe leggere con
una pena inferiore nel minimo e nel massimo rispetto a quella prevista da detta L. n. 10
del 2014.
Orbene, secondo il principio più volte ribadito da questa Corte in materia di
patteggiamento, qualora la parte abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di
un determinato trattamento sanzionatorio, è consentito l’annullamento della sentenza,
che tale accordo abbia recepito, qualora esso si configuri come illegale.
Nella fattispecie in esame, non può dubitarsi che l’accordo delle parti, ratificato dal
giudice di merito, si è formato tenendo presente i limiti edittali indicati dall’art. 73, c. 5,
D.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla legge n. 49/2006 (c.d. Fini-Giovanardi),
che per le condotte di detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente di lieve
entità, senza distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti, prevedeva una pena
detentiva da uno a sei anni: utilizzando tali parametri edittali le parti hanno raggiunto
l’accordo sulla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed euro 2.000 di multa (pena
base anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000 di multa, aumentata ex art. 81
cpv. c.p., per la continuazione ad anni tre di reclusione ed Euro 3.500 di multa, ridotta

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differenziato regime sanzionatorio previsto per le droghe pesanti e le droghe leggere,

ex art. 62 bis c.p. per le attenuanti generiche ad anni due di reclusione ed Euro 2.500 di
multa, ulteriormente ridotta per la diminuente del rito).
Sulla base di quanto si è detto in precedenza, la pena oggetto dell’accordo deve
ritenersi illegale anche se è ricompresa nella forbice edittale indicata dalla più recente
normativa, considerando che nella specie la pena-base è stata individuata in anni due e
mesi sei di reclusione (ed Euro 3.000 di multa), che all’epoca dell’accordo è stata
ritenuta “congrua”, ma che oggi, a seguito della mitigazione del trattamento
sanzionatorio operata dalla L. 79/2014, si colloca ben oltre il minimo edittale.

trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso, consentendo alle
parti di poter rinegoziare l’accordo sulla base dei legali limiti edittali ovvero proseguire
con il rito ordinario.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Perugia.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con

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