Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50212 del 29/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50212 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TIRABOSCHI VLADIMIRO N. IL 10/10/1968
avverso la sentenza n. 1929/2014 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
04/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 29/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 4 novembre 2014 la Corte di Appello di Brescia in accoglimento del
gravame interposto dal Procuratore Generale avverso la sentenza emessa dal Tribunale di
Bergamo in composizione monocratica nei confronti di TIRABOSCHI Vladimiro imputato dai
reati di cui agli artt. 5 e 10 quater del D. Lgs. 74/00, con la quale lo stesso TIRABOSCHI era
stato assolto da entrambi i reati perché il fatto non sussiste, dichiarava il detto imputato

condizionalmente sospesa al pari di quella accessoria – ritenuta la continuazione – di anno uno
e mesi tre di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, con il beneficio ulteriore della non
menzione della condanna nel certificato penale.
1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia
deducendo con unico articolato motivo vizio di inosservanza della legge penale (art. 5 del D.
Lgs. 74/00) per avere la Corte di merito determinato in modo del tutto induttivo l’ammontare
della imposta evasa pur in presenza di dichiarazioni testimoniali del tutto incerte sul punto ed
ancora per avere valorizzato in modo apodittico quale data di cessazione dalla carica di legale
rappresentante della società RV COSTRUZIONI s.r.I., il 7 gennaio 2008 e non il 4 dicembre
2007 come risultante dall’Anagrafe Tributaria. Nell’ambito del predetto motivo la difesa
lamenta anche la inosservanza dell’art. 603 cod. proc. pen. in correlazione con l’art. 6 della
CEDU, stante il diverso giudizio di condanna espresso dalla Corte di merito rispetto alla
decisione assolutoria del primo giudice, in particolare omettendo di rinnovare parzialmente
l’istruzione dibattimentale al fine di acquisire la prova relativa all’ammontare esatto della
imposta evasa decisivo ai fini della colpevolezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di cui appresso. E’ da escludere la dedotta
manifesta illogicità della motivazione in punto di determinazione dell’entità dell’imposta evasa,
in stretto riferimento ad entrambe le imputazioni, in quanto la Corte di merito, analizzando i
dati acquisiti al processo (dichiarazione di BATTISTA Ferdinando che aveva riferito, anzitutto,
della omessa dichiarazione fiscale; esame dei ricavi e delle vendite del bilancio depositato
presso la camera di Commercio riferito dal tese e tale da escludere che la determinazione della
imposta evasa fosse avvenuta per via induttiva; valenza confessoria delle indicazioni contenute
nel bilancio e mancata prova della falsità dei dati relativi ivi esposti). A fronte di tale specifica
motivazione, le argomentazioni addotte dal ricorrente non sono fondate né lo è l’ulteriore
argomentazione della pretesa inosservanza dell’art. 603 cod. proc. pen. in correlazione con
quanto statuito dalla CEDU in tema di modifica in pejus della decisione assolutoria del giudice
di primo grado da parte del giudice di appello.

4

colpevole di entrambi i reati a lui ascritti, condannando alla complessiva pena

2. Sebbene dedotto in termini molto approssimativi, il vizio di motivazione correlato al
ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado ad alla riferita inosservanza dell’art.
603 cod. proc. pen., in effetti va rilevato che la sentenza qui impugnata ha modificato in pejus
la decisione assolutoria del Tribunale. Ne consegue la necessità di verificare se – di fronte ad
un complesso probatorio identico nelle due fasi del giudizio – il percorso argomentativo seguito
dalla Corte distrettuale risponda ai canoni della completezza, della logica e della coerenza
interna: più in particolare si impone da parte del giudice di appello, in considerazione dell’esito

severo delle prove esaminate in primo grado. Ed occorrerà vedere se da parte del giudice
distrettuale tali regole valutative e le modalità di vaglio in termini di coerenza, completezza,
esaustività e logicità, siano state rispettate. Nel nostro sistema processuale, come è noto, vige
il sistema del cd. “doppio grado di giurisdizione”, consistente nella possibilità di ottenere – sulla
stessa questione controversa – una seconda pronuncia da parte del giudice di merito diversa,
eventualmente, dalla prima e destinata, quindi, a prevalere su quella adottata dal giudice di
primo grado. Con l’entrata in vigore del principio costituzionale del giusto processo,
compendiato nell’art. 111 Cost., la raccolta in forma dialettica delle prove è diventato il metodo
normale di confronto su una decisione nei termini indicati dalla carta costituzionale. La
devolutività piena del giudizio di appello permette, quindi – seppure entro i confini delle
impugnazioni proposte dalla parti processuali – la possibilità di una rivisitazione, in melius o in
pejus, della prima decisione: operazione, quest’ultima, caratterizzata da un controllo di tipo
cartolare e scritto di quanto avvenuto in precedenza, con esclusione, quindi, del ricorso alla
oralità ed alla dinamica reale del contraddittorio.
3. Ciò detto, va ricordato che secondo l’interpretazione giurisprudenziale adottata da
questa Corte, è ben possibile che nel processo di secondo grado possa, per la prima volta,
definirsi il giudizio basandosi sullo stesso materiale probatorio utilizzato per una decisione
favorevole, con una condanna dell’imputato. Ciò comporta, però, di fatto, che il soggetto
condannato per la prima volta in secondo grado si vede privato della possibilità di una
impugnazione di merito come, invece, accade nel giudizio di primo grado. L’unico rimedio
possibile in una situazione siffatta è costituito dalla impugnazione in sede di legittimità che,
però, preclude qualsiasi esame sul merito della vicenda.
4. Si esige allora da parte del giudice di secondo grado, nel caso di ribaltamento in pejus
della prima decisione, non solo di effettuare una logica ricostruzione dei fatti e darne
adeguatamente conto della motivazione, ma, soprattutto, di raffrontarsi con la decisione di
primo grado e rilevare se quella diversa che sia stata adottata rappresenti la conseguenza di
una valutazione alternativa del medesimo materiale probatorio o, piuttosto, il frutto di specifici
errori, logici o fattuali.
5. Come affermato in numerose pronunce di questa Corte, nella contrapposizione tra due
diverse sentenze, analogamente convincenti sul piano logico e dunque tali da offrire soluzioni

negativo del giudizio nei riguardi dell’imputato un vaglio cd. “rafforzato” e particolarmente

diverse l’una alternativa all’altra, ma persuasive o comunque non manifestamente illogiche,
non può che giungersi al risultato di un “ragionevole dubbio” che non può che risolversi in
favore dell’imputato.
6.

Laddove, invece, la sentenza di riforma riesca ad individuare tutti quei punti che

rendono insostenibile la decisione di primo grado, vuoi per una incoerenza logica, vuoi per un
errore nella valutazione del materiale probatorio, o anche per una omessa valutazione di prove
non considerate od erroneamente ritenute inutilizzabili, la soluzione cui si perviene è del tutto

dovrà essere l’unica decisione possibile alle date condizioni” (Sez. 6^, 10.10.2012 n. 1266,
Andrini, Rv. 254024; v. anche Sez. 6^ 26.2.2013, C.M. ed altro non massimata). Il criterio da
osservare da parte del giudice di appello nel decidere e motivare la condanna sarebbe dovuto
essere quello sopra detto e il rispetto di tale criterio costituisce l’oggetto del controllo rispetto
al vizi logici dedotti dai difensori.
7. Ma il limite stesso insito nella statuizione di condanna successiva ad una precedente
decisione di tenore liberatorio (ovverossia la mancanza del requisito della oralità) impone degli
obblighi specifici a carico del giudice di secondo grado che intenda discostarsi dalla precedente
decisione utilizzando la stessa prova orale raccolta nel precedente giudizio, proprio perché quel
giudice non è stato posto nelle condizioni di effettuare un apprezzamento diretto della prova
nel suo formarsi, avvalendosi solo di prove di tipo documentale compendiate nei verbali di
trascrizione redatti nel corso delle singole udienze.
8. Il detto limite ha indotto nel tempo le difese di numerosi imputati a sollevare eccezione
di incostituzionalità dell’art. 603 cod. proc. pen., (istituto che prevede la rinnovazione parziale
del dibattimento in appello) per un asserito contrasto con la Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, come interpretato dalla CEDU con la sentenza “Dan contro Moldovia” del 5 luglio
2011, in relazione alla mancata previsione della obbligatorietà di una nuova acquisizione delle
prove orali innanzi al giudice di appello affinchè lo stesso, con un diverso apprezzamento delle
stesse, possa pronunciare sentenza di condanna.
9.

Questa Corte, più volte investita della questione, l’ha, a ragione, ritenuta

manifestamente infondata, facendo leva sulla indiscutibile applicabilità nell’ordinamento, in
base ad una interpretazione adeguata dell’art. 603 cod. proc. pen., della regola che risulta
dalla citata giurisprudenza CEDU, riconoscendosi che l’art. 6, così come interpretato dalla
sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan vs. Moldavia,
impone di rinnovare l’istruttoria soltanto in presenza di due presupposti (decisività della prova
testimoniale e necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell’attendibilità dei
testimoni assenti nell’ipotesi in trattazione). (vds. Sez. 5^ 5.7.2012, Luperi ed altri, Rv.
253541).

3

A

differente nel senso che “la lettura proposta dalla sentenza di condanna a seguito di appello

10. Nel caso in esame la Corte è stata in grado di valutare le stesse prove documentali
vagliate in modo superficiale ed approssimativo da parte del Tribunale, ma più esaustivamente
analizzate dal giudice di appello che attraverso una lettura coordinata delle prove dichiarative
(teste BATTISTA) e di quelle documentali (i dati di bilancio) ha rivisto la prima decisione
valorizzando elementi che non rendevano per nulla necessaria la chiesta rinnovazione
dell’istruzione attraverso il riascolto del teste BATTISTA.
11.

Sotto tale profilo dunque, la decisione della Corte appare correttamente ed

alla data di cessazione dalla carica di legale rappresentante della società R.V. COSTRUZIONI
s.r.l. del TIRABOSCHI, tenuto conto di un netto contrasto tra due dati documentali di opposto
segno che ha indotto la Corte di merito a privilegiare, senza alcuna apparente spiegazione
logica, la tesi della cessazione dalla carica in data 7 gennaio 2008 rispetto alla diversa data del
4 dicembre 207: illogicità, oltretutto, decisiva in quanto, se provata, la circostanza delle
dimissioni avvenute il 4 dicembre 2012 avrebbe comportato il proscioglimento del TIRABOSCHI
dal reato sub A).
12.

Sulla base di tali indicazioni va annullata con rinvio la sentenza impugnata

limitatamente al reato sub A), occorrendo accertare da parte di altra Sezione della Corte di
Appello di Brescia in modo più articolato e tenuto conto dei diversi dati disponibili nonché dei
principi richiamati da questa Suprema Corte, quale fosse la data effettiva di cessazione dalla
carica sociale del TIRABOSCHI.
13. Il vizio di manifesta illogicità denunciato non acquista rilievo relativamente al reato
sub B) per il quale non era necessario l’accertamento di tale elemento, sicchè, sul punto, il
ricorso va rigettato.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione,
con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia. Rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma il 29 aprile 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

esaurientemente motivata. E’ invece insufficiente ed illogica la motivazione nella parte relativa

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