Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50205 del 21/10/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Ord. Sez. 7 Num. 50205 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RECCHIA CLAUDIO N. IL 20/03/1966
avverso la sentenza n. 1216/2008 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 23/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 21/10/2013

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in parziale riforma di quella di primo grado,
Recchia Claudio era dichiarato responsabile di bancarotta semplice, a norma
dell’articolo 217, comma 2, della legge fallimentare;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto redatto dal difensore avv. Gaetano Vitale, denunciando inosservanza ed

legislativo 5/2006, con riferimento alla nozione di piccolo imprenditore, deducendo
che, a seguito della diminuzione del novero degli imprenditori fallibili, si è verificata
una parziale abolitio criminis; in subordine il ricorrente solleva la questione di
illegittimità costituzionale degli articoli 150 del D. Igs. 5 del 2006 e 2909, in
relazione agli articoli 3 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il divieto di
applicazione retroattiva delle norme penali incriminatrici e, in generale, delle norme
penali più severe, come affermato da alcune decisioni della Corte europea dei diritti
dell’uomo (sent. 17\9\2209, Scoppola contro Italia; sent. 27 aprile 2010, Morabito
contro Italia);
– che con un ulteriore motivo il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza
perché il fatto è stato commesso oltre tre anni prima dichiarazione di fallimento, per
cui le condotte non sono punibili a norma dell’articolo 217, comma 2, della legge
fallimentare;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza del primo
motivo, poiché la motivazione della decisione richiama la costante giurisprudenza di
legittimità, conseguente ad una decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 19601 del
28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398) a tenore della quale il giudice penale investito del
giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942,
n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al
presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti
soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le
modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5
e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2
cod. pen. sui procedimenti penali in corso;

2

erronea applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 1 del decreto

- che in tale decisione questa Corte ha chiarito che “i nuovi contenuti dell’art. 1 I.
fall, non incidono su un dato strutturale del paradigma della bancarotta (semplice o
fraudolenta), ma sulle condizioni di fatto per la dichiarazione di fallimento, sicché
non possono dirsi norme extra penali che interferiscono sulla fattispecie penale” e
che “il giudice penale, che non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento
sulla base della normativa all’epoca vigente, allo stesso modo non può escluderne
gli effetti sulla base di una normativa sopravvenuta”;

di questa Sezione, con riferimento ad esempio alla qualità di socio di fatto (Sez. 5,
n. 47017 del 08/07/2011, Di Matteo, Rv. 251446) ed alla qualità di società
cooperativa svolgente attività d’impresa (Sez. 5, n. 40404 del 08/05/2009, Melucci,
Rv. 245427);
– che essendo esclusa per diritto vivente la riconducibilità della modifica normativa
dell’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 ad un fenomeno di successione di leggi penali, la
questione di illegittimità costituzionale della norma transitoria (art. 150) secondo la
quale i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato
fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,
nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa
data, sono definiti secondo la legge anteriore è inammissibile per difetto di
rilevanza;
– che anche il secondo motivo deve ritenersi inammissibile, poiché rappresenta un
motivo nuovo, non proposto in sede di appello e perciò in contrasto con la
disposizione dell’art. 606, comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in
Cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013
Il consigliere estensore

j• –

I

Il pr

t

– che tale orientamento è stato infatti confermato da numerose decisioni successive

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA