Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50203 del 21/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50203 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTO AGOTINO N. IL 09/08/1982
CASTO LUCIA N. IL 22/09/1973
avverso la sentenza n. 2113/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
25/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 21/10/2013

e

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Catania con sentenza del 25 ottobre 2012, ha
confermato la sentenza di primo grado con la quale Casto Agatino e Casto Lucia
erano stati condannati per il delitto di tentato furto in abitazione.
Avverso tale sentenza hanno proposto due distinti ricorsi per

cassazione gli imputati, a mezzo del proprio comune procuratore, lamentando il
primo una violazione di legge e una motivazione apparente circa l’affermazione
della penale responsabilità a titolo di tentativo e la seconda circa l’affermazione
della sua partecipazione a titolo di concorso nella fattispecie ascritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati i relativi
motivi.
2. I fatti incontroversi, accertati nella flagranza (rinvenimento all’interno
della proprietà delle parti offese), sono stati logicamente ascritti al
comportamento cosciente e volontario degli imputati.
3. Quanto al ricorso Casto Agatino, la manifesta infondatezza del motivo
deriva dall’intenzione di voler dare all’interpretazione dei fatti, quale quella data
dai Giudici del merito, un significato diverso per ritenere inesistente il
compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla introduzione
nell’altrui abitazione ai fini della sottrazione dei beni ivi esistenti.
Operazione, da un lato, non consentita avanti questa Corte di legittimità
nonché contraria alla pacifica giurisprudenza.
Invero, ai fini della sussistenza del delitto tentato, occorre che, sulla base
di una valutazione ex ante, gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o
solo parziali, siano idonei ed univoci, ossia diretti in modo non equivoco a
causare l’evento lesivo ovvero a realizzare la fattispecie prevista dalla norma
incriminatrice, rivelando così l’intenzione dell’agente di commettere lo specifico
delitto (v. Cass. Sez. I 11 febbraio 2013 n. 16612).
4. Quanto al ricorso Casto Lucia, in base alla concezione unitaria del
concorso di persone nel reato, accolta dall’articolo 110 cod.pen., l’attività
costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento
esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune delle fasi di
1

2.

fr

ideazione, organizzazione ed esecuzione, alla realizzazione collettiva, anche
soltanto mediante il rafforzamento dell’altrui proposito criminoso o l’agevolazione
dell’opera dei concorrenti; in sostanza, quando il partecipe, per effetto della sua
condotta cosciente idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la
possibilità della produzione del reato, egli risponde non solo degli atti da lui
compiuti, ma anche di quelli posti in essere dagli altri, convergenti nell’offesa
all’interesse protetto dalla norma incriminatrice (v. a partire da Cass. Sez. V 9

Ne segue che non è neppure necessario un previo accordo diretto alla
causazione dell’evento, ben potendo il concorso esplicarsi in un intervento di
carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altrui, ancora in
corso quand’anche iniziata all’insaputa del correo (v. Cass. Sez. V 15 maggio
2009 n. 25894).
Inoltre, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione
della circostanza attenuante della minima partecipazione (articolo 114 cod.pen.),
non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo
rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo
dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto
marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare
trascurabile nell’economia generale dell'”iter” criminoso (v. Cass. Sez. H 18
dicembre 2012 n. 835).
5 Dalla inammissibilità dei ricorsi deriva, infine, la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00
in favore della Cassa delle Ammende.

P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 21 ottobre 2013.

gennaio 1990 n. 7961).

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