Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5020 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 5020 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Basile Francesco n. il 9.2.1977
Crivaro Marcello n. il 15.5.1970
Crivaro Francesco n. il 11.2.1963
Tallarico Francesco n. il 6.8.1976
avverso la sentenza n. 4134/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Milano il 16.11.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 16.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. D’Angelo, che
ha concluso, in relazione al Basile, per l’annullamento senza rinvio
per prescrizione limitatamente ai capi 4a, 4b e 4c, con rigetto nel
resto; in relazione a Crivaro Marcello, per l’annullamento senza
rinvio per prescrizione con riguardo ai capi 12, 13 e 19 limitatamente
alla detenzione di armi, con rigetto nel resto; in relazione a Crivaro
Francesco e Tallarico Francesco per il rigetto del ricorso;
uditi l’avv.to S. Rotundo del foro di Catanzaro, per Crivaro Francesco
e Tallarico Francesco, e l’avv.to S. Besani del foro di Gallarate, per
Basile Francesco, che hanno concluso per l’accoglimento dei
rispettivi ricorsi.

Data Udienza: 16/01/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 16.11.2012, la corte d’appello di
Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 5.3.2012,
con la quale il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di
Milano ha condannato, tra le restanti statuizioni, Francesco Basile,
Marcello Crivaro, Francesco Crivaro e Francesco Tallarico alle pene
di giustizia loro inflitte in relazione a una serie di reati concernenti il
traffico di sostanze stupefacenti e altresì, in relazione al Basile, di
abusiva introduzione nei sistemi informatici della polizia di Stato al
fine di acquisire notizie riservate e, in relazione a Marcello Crivaro e
Francesco Tallarico, di reati concernenti la disciplina delle armi.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori,
hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati sopra indicati.
Con il proprio ricorso, Marcello Crivaro censura la sentenza impugnata per manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p. per avere la corte d’appello riscontrato la responsabilità penale dell’imputato in relazione a tutte le imputazioni
analiticamente richiamate in ricorso, sulla base di elementi di prova
equivoci e nel loro complesso inidonei ad attestare, oltre ogni ragionevole dubbio, la partecipazione dell’imputato a ciascuno degli episodi criminosi allo stesso ascritti.
In particolare, il ricorrente si duole delle modalità inesplicate
o illogiche attraverso le quali i giudici del merito hanno proceduto
all’interpretazione delle indecifrabili conversazioni intercettate e richiamate a sostegno della condanna pronunciata nei confronti
dell’imputato, a dispetto dell’irriducibile equivocità dei relativi contenuti.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della violazione del
principio di correlazione tra accusa e sentenza in relazione all’imputazione di cui al capo 17 della rubrica (illecita detenzione di sostanza
stupefacente), a sua volta contestato in contrasto con l’art. 73, co. 5,
d.p.r. 309/90, avendo la corte territoriale non adeguatamente discriminato le ipotesi di detenzione di sostanza stupefacente in relazione alle quantità concretamente trattate.
Da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata in relazione alla motivazione dettata in relazione al trattamento sanzionatorio irrogatogli in misura sproporzionata, in difetto di adeguate giustificazioni e in violazione dei tassativi parametri sul punto previsti per
2.1. –

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legge, anche in relazione alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
Con un unico ricorso, a mezzo del comune difensore,
Francesco Crivaro e Francesco Tallarico censurano la sentenza d’appello sulla base di tre motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono del vizio di motivazione (anche nella prospettiva del travisamento della prova) e della
violazione dell’art. 192 c.p.p. in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, per avere quest’ultima riscontrato la responsabilità penale degli
imputati in relazione agli episodi criminosi agli stessi ascritti, senza
preliminarmente accertare se l’acquisto o la detenzione della sostanza
stupefacente non fossero destinati a un uso personale penalmente lecito degli stessi.
Con particolare riguardo a Francesco Crivaro, il ricorrente rileva come la corte territoriale sia incorsa in errore nel confondere la
posizione dello stesso con quella del cugino coimputato, Marcello
Crivaro, vieppiù sulla base di elementi di prova complessivamente
inidonei a fornire alcuna conferma degli assunti accusatori e, in ogni
caso, del tutto travisati, quando non confusi, dai giudici del merito,
tra le diverse imputazioni concorrenti, senza dettare neppure alcuna
adeguata giustificazione circa l’esclusione delle ipotesi attenuate di
cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90 e (con riguardo alla corrispondente imputazione sollevata a carico del Tallarico) di cui all’alt. 51. n.
895/67.
Con il secondo e il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, avendo la corte territoriale ingiustificatamente escluso il ricorso della circostanza attenuante di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. n. 309/90, nonché
per avere i giudici del merito omesso di motivare adeguatamente l’entità del trattamento sanzionatorio inflitto ai ricorrenti, con particolare riguardo a Francesco Crivaro, colpito da una pena ingiustificatamente sproporzionata, anche in relazione comparativa al trattamento
sanzionatorio inflitto al coimputato Francesco Basile.
2.3. – Francesco Basile, censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale confermato la responsabilità penale dell’imputato sulla base di un’erronea interpretazione
del contenuto delle conversazioni intercettate a suo carico, del tutto
inidonee a fornire alcuna base probatoria sufficiente ad attestare, oltre ogni ragionevole dubbio, il riscontro della relativa colpevolezza in

2.2. –

relazione a ciascuno degli episodi criminosi analiticamente richiamati
in ricorso.
Con particolare riguardo al capo 4 della rubrica (abusiva introduzione nei sistemi informatici della polizia di Stato al fine di acquisire notizie riservate), il ricorrente si duole della mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, a dispetto
del comportamento processuale pienamente collaborativo
dell’imputato.
Con memoria depositata in data 3.1.2014, il Basile ha proposto
motivi aggiunti all’originario ricorso, ribadendo e sottolineando i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe
incorsa la corte territoriale nel confermare la responsabilità
dell’imputato in relazione a tutti i capi d’accusa specificamente richiamati con la medesima memoria.
Considerato in diritto
3.1. — Il ricorso proposto da Marcello Crivaro deve ritenersi
manifestamente infondato in relazione ad ognuna delle sue analitiche
articolazioni.
E invero, con riguardo alle doglianze avanzate dall’imputato in
ordine al contestato riconoscimento della relativa responsabilità penale sulla base delle risultanze delle conversazioni intercettate, rileva
il collegio come la corte d’appello abbia puntualmente specificato,
sulla base di una motivazione logicamente congrua e del tutto conseguente sul piano argomentativo, come il linguaggio utilizzato dagli interlocutori intercettati, nelle conversazioni nelle quali Marcello Crivaro compare quale diretto protagonista o quale referente immediato
dei conversanti, dovesse ritenersi inequivocabilmente riferito, per
ciascuno degli episodi partitamente e analiticamente esaminato dai
giudici del merito, allo scambio o comunque al traffico di sostanze
stupefacenti, così come, con riferimento alle corrispondenti imputazioni, alla violazione delle norme relative alla disciplina delle armi.
Al riguardo, l’apparente significato alternativo del linguaggio
utilizzato dai conversanti deve ritenersi tale da non contraddire il ragionevole riconoscimento, nelle armi o nelle quantità di sostanza stupefacente di volta in volta trattate, del contenuto delle conversazioni
intercorse, avuto riguardo al generale contesto in cui tali conversazioni sono andate sviluppandosi (ossia in un ristrettissimo e altrimenti inspiegabile arco di tempo e nel quadro di rapporti con soggetti
palesemente identificati e accertati come trafficanti di stupefacenti) e
tenuto conto della circostanza che il carattere allusivo, talora criptico,

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simbolico o, più spesso, ‘fuori contesto’, del linguaggio ‘di copertura’
adoperato dai conversanti (i cui pretesi significati alternativi prospettati dall’imputato sono stati specificamente contraddetti dalla corte
d’appello, siccome caratterizzati dall’evidente e assoluta implausibilità logica individuata e rilevata nei diversi passaggi motivazionali seguiti dalla corte territoriale) rafforza la ragionevole conclusione che la
velocità d’intesa tra gli stessi, nonostante le poche e criptiche sillabe
pronunciate nei dialoghi captati, fosse indicativa di convenzioni sviluppatesi e consolidatesi attraverso continue e analoghe relazioni di
illecito contenuto, a sua volta confermate dai riferimenti alla qualità e
alle quantità, oltre che al valore economico delle ‘merci’ trattate.
Con le doglianze illustrate nell’atto d’impugnazione proposto
in questa sede, peraltro (anche in relazione alla pretesa – benché insussistente – violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in relazione all’imputazione di cui al capo 17 della rubrica), occorre rilevare come il ricorrente prospetti unicamente una diversa
lettura delle risultanze istruttorie acquisite, in difformità dalla complessiva ricostruzione dei giudici di merito, limitandosi a dedurre
(peraltro, in modo solo generico ed equivoco) i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione
del fatto, senza tuttavia farsi carico della complessiva riconfigurazione, all’interno del più generale contesto criminale in cui l’imputato è
apparso con certezza inserito, del complesso di tutti gli elementi
istruttori raccolti, che, viceversa, i giudici del merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la
modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n.
46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova
là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che
continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove
venga prospettata dal ricorrente una diversa e asseritamente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass.,
Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art.
6o6, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli con-

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cementi fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare
una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione
si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n.
35683/2007, Rv. 237652).
Parimenti manifestamente infondato deve ritenersi il motivo
di ricorso proposto dall’imputato con riguardo al mancato riconoscimento, in proprio favore, della circostanza attenuante di cui al quinto
comma dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, avendo la corte territoriale specificamente evidenziato – con motivazione esaustiva, dotata di piena
coerenza argomentativa e immune da vizi d’indole logica o giuridica
— come tutte le conversazioni intercettate concernenti l’imputato riguardassero accordi per il traffico di sostanze da non considerarsi
mai relativi a minime quantità, apparendo evidente come lo specifico
contenuto di dette conversazioni (e partitamente riproposte nella
motivazione della sentenza) lasciasse preludere, con assoluta certezza
sul piano logico, al ricorso di scambi in nessun modo riconducibili a
ipotesi di piccolo spaccio.
Dev’essere, infine, disattesa (siccome manifestamente infondata) la doglianza avanzata dall’imputato con riguardo al trattamento
sanzionatorio irrogatogli (ivi compresa la mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche), avendo la corte territoriale specificamente richiamato, con riferimento a Marcello Crivaro, gli aspetti di
gravità oggettiva e soggettiva dell’insieme dei fatti allo stesso ascritti,
avuto riguardo al numero e alla reiterazione degli episodi delittuosi
contestati (tra cui la violazione della disciplina delle armi in epoca relativamente recente) e alla relativa personalità dedotta dall’entità dei
precedenti penali giudiziari a suo carico.
Sulla base di tali premesse, ritiene pertanto il collegio come la
motivazione dettata dai giudici del merito si riveli pienamente rispettosa dei principi di diritto vigenti in tema di trattamento sanzionatorio, avendo la corte territoriale correttamente radicato, il conclusivo
giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio applicato a Marcello
Crivaro, al ricorso di specifici presupposti di fatto coerenti alle previsioni di cui all’art. 133 c.p., sulla base di una motivazione in sé dotata
di intrinseca coerenza e logica linearità.
3.2. — Il ricorso congiuntamente proposto da Francesco Crivaro e Francesco Tallarico è manifestamente infondato.

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Con riguardo alle doglianze avanzate dai due ricorrenti in relazione alla valutazione del materiale istruttorio ad opera dei giudici di
merito, ritiene il collegio di dover richiamare integralmente le argomentazioni in precedenza illustrate con riferimento alla posizione di
Marcello Crivaro, tanto con riguardo alla correttezza delle chiavi interpretative utilizzate ai fini della decifrazione del contenuto delle
conversazioni intercettate indicate a fondamento della responsabilità
dei due imputati in relazione a ciascuno degli episodi criminosi agli
stessi ascritti, quanto in relazione alla qualificabilità, delle censure
sul punto dedotti dai ricorrenti, a mere riletture in fatto degli elementi istruttori richiamati dai giudici di merito, come tali inammissibili
in questa sede di legittimità.
Con particolare riguardo al ruolo di Francesco Crivaro, la corte
territoriale ha diffusamente sottolineato (in termini di piena coerenza
logica e linearità argomentativa) come il coinvolgimento dello stesso
nei diversi episodi contestati a suo carico (a sua volta adeguatamente
argomentato dalla corte territoriale sul piano della coerenza del ragionamento inferenziale condotto in forza degli elementi indiziari richiamati) fosse rimasto chiaramente definito (senza alcun travisamento o confusione con il diverso ruolo del cugino Marcello Crivaro)
altresì evidenziando, di là dalla condizione di consumatore di sostanze stupefacenti, il relativo spessore di trafficante di elevato livello,
avuto riguardo ai considerevoli indici quantitativi e qualitativi di sostanza stupefacente trattata, suscettibili d’escludere, per entrambi gli
imputati, non solo la destinazione all’uso personale delle sostanze
stupefacenti trattate, bensì la stessa applicabilità della circostanza attenuante speciale di cui al comma quinto dell’art. 73, d.p.r. n. 309/90
(cfr. pag. 40 della sentenza d’appello).
Allo stesso modo, con pari coerenza argomentativa la corte
territoriale ha escluso il ricorso della circostanza attenuante della lieve entità del fatto di cui all’art. 5 1. n. 895/67 in favore del Tallarico,
congruamente valorizzando l’inserimento dell’imputato
nell’ambiente malavitoso di appartenenza, altresì attestato dalla totale disinvoltura evidenziata dalla coniuge nel trattare l’arma da fuoco
di cui alla corrispondente imputazione (capo 18 della rubrica), nonché dei suoi frequenti e stretti contatti con la criminalità organizzata
calabrese (cfr. pag. 46 della sentenza d’appello).
Devono essere infine disattese (siccome manifestamente infondate) le doglianze avanzate dai ricorrenti con riguardo al trattamento sanzionatorio loro inflitto, avendo la corte territoriale correttamente commisurato l’entità della pena irrogata (anche in termini

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3.3. — Devono ritenersi, da ultimo, manifestamente infondati i
motivi di ricorso proposti da Francesco Basile (e i motivi aggiunti ad
essi associati), avendo la corte territoriale, in relazione a ciascuno dei
capi d’accusa sollevati nei relativi confronti, correttamente proceduto, in termini di piena coerenza logica e consequenzialità argomentativa, all’interpretazione delle conversazioni intercettate a suo carico e
alla qualificazione degli elementi di prova complessivamente acquisiti, senza che le generiche riletture in fatto in questa sede (inammissibilmente) proposte dal ricorrente siano valse a revocare in dubbio la
piena adeguatezza rappresentativa e la conseguente coerenza e linearità motivazionale del ragionamento probatorio condotto dalla stessa
corte.
Parimenti manifestamente infondata deve ritenersi la censura
sollevata dal ricorrente con riguardo alla negata concessione delle
circostanze attenuanti generiche in relazione all’imputazione di cui al
capo 4 della rubrica (abusiva introduzione nei sistemi informatici
della polizia di Stato al fine di acquisire notizie riservate), avendo la
corte territoriale coerentemente sottolineato la congruità del (lieve)
aumento di pena irrogato in relazione a tale reato (di appena un mese
di reclusione) e come il tipo di rapporti intrattenuti dal Basile con i
fornitori di droga escludesse che la sua attività potesse essere spiegata solo per amicizia (come preteso dal relativo difensore), apparendo
invece il Basile pienamente consapevole che gli illeciti favori resi ai
coimputati fossero finalizzati a un facile approvvigionamento di cocaina (cfr. pag. 47 della sentenza d’appello), in tal modo radicando il
giudizio espresso sulla negazione delle circostanze attenuanti generiche al ricorso di specifiche circostanze di fatto coerenti alle previsioni
di cui all’art. 133 c.p..
4. – Il riscontro della manifesta infondatezza dei ricorsi proposti dagli odierni imputati, nell’attestarne la radicale inammissibilità
ai sensi dell’art. 6o6, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo
dell’eventuale ricorso di cause di estinzione del reato, ai sensi dell’art.
129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni Unite
di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32 del 22 novembre 2000 (Rv.
217266), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione do-

comparativi) al ricorso di specifiche circostanze riconducibili ai parametri espressivi della capacità a delinquere dei due imputati, in
coerenza con le previsioni di cui all’art. 133 c.p..

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vuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 c.p.p..
5. Alla dichiarazioni d’inammissibilità dei ricorsi segue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibili i ricorcsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processualreVella
somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16.1.2014.

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