Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50193 del 09/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50193 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 09/12/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Messina Denaro Anna Patrizia, n.
a Castelvetrano il 18.09.1970, rappresentata e assistita dall’avv.
Celestino Cardinale, di fiducia, avverso l’ordinanza n. 1158/2015,
emessa dal Tribunale di Palermo, sezione del riesame, in data
24.09.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott.ssa Delia
Cardia che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Palermo,
rigettava l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia
in carcere con quella degli arresti domiciliari presentata nell’interesse
di Messina Denaro Anna Patrizia.
2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di Messina Denaro Anna
Patrizia, viene proposto ricorso per cassazione per lamentare la

violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per mancanza ed
illogicità della motivazione in ordine alla corretta applicazione della
disciplina di cui agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. (motivo unico).
Lamenta la ricorrente di come il Tribunale di Palermo non abbia
tenuto conto della sentenza del giudice di primo grado che,
disconosciuta l’appartenenza organica della Messina Denaro ad
associazione mafiosa, ne aveva derubricato l’originaria contestazione
in quella di concorso esterno, con ulteriore affermazione di penale
responsabilità della stessa per la sola ipotesi di tentata estorsione.
Inoltre, il Tribunale non aveva adeguatamente motivato le ragioni del
diniego della richiesta di sostituzione della misura cautelare massima
con quella degli arresti domiciliari.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
2. È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame e/o dell’appello sulla libertà
personale.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide
e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno
interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen.
implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito

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abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di
impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre

formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali
è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò
premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del
Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo
di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari
dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su
prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della
responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, sent. n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme,
dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, sent. n. 22500
del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
2.2. Si è successivamente osservato, sempre in tema di
impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5,
sent. n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n.
11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
3. Nella fattispecie, già il Tribunale di Marsala, investito dell’istanza di
sostituzione della misura cautelare in atto, aveva ritenuto inidonea
una misura cautelare meno afflittiva di quella massima evidenziando
il pericolo che l’imputata sarebbe potuta tornare a fornire il proprio
contributo alla consorteria criminale, essendosi accertato, nel corso
del processo, come la stessa avesse assicurato a Cosa Nostra un
fondamentale contributo, ponendosi varie volte in relazione con il

i

a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti

fratello Messina Denaro Matteo al quale aveva fornito informazioni,
veicolando poi a terzi le direttive dallo stesso impartite; inoltre, le
medesime emergenze processuali avevano evidenziato come la
ricorrente avesse avanzato pretese estorsive nei confronti di tali
Campagna Vincenzo e Campagna Rosetta (reato di cui al capo 3, per
il quale la stessa aveva riportato condanna), evocando l’appartenenza
a Cosa Nostra dei fratelli e del defunto padre.

Su questi presupposti e per le ragioni dinanzi esposte, la
riqualificazione dei fatti di cui al capo 1 (concorso esterno in
associazione a delinquere di stampo mafioso) e l’assoluzione per i
fatti di cui al capo 2 (estorsione aggravata in concorso) non valevano
a far ritenere affievolite le esigenze cautelari ed adeguata la meno
grave misura degli arresti donniciliari.
4. Avverso detta ordinanza, la difesa di Messina Denaro Anna Patrizia,
proponeva appello evidenziando il non organico inserimento della
stessa in Cosa Nostra e l’assenza di elementi che consentissero di
ritenerla stabilmente dedita alla commissione di estorsioni, in
presenza di vicende apparse come “non ripetibili” e con pericula
fronteggiabili comunque con la meno grave misura degli arresti
donniciliari.
5. Del tutto congrua, ampiamente giustificata e totalmente assente
da qualsivoglia vizio logico-giuridico è l’ordinanza oggetto del
presente gravame.
5.1. Nella stessa si osserva come la ricorrente risulti essere stata
condannata con sentenza del Tribunale di Marsala in data 31.03.2015
alla pena di anni tredici di reclusione per i reati di concorso esterno in
associazione a delinquere di stampo mafioso (capo 1) e tentata
estorsione aggravata in concorso (capo 3).
5.1.1. Con riferimento alla prima incolpazione, il Tribunale aveva
evidenziato il rilevante contributo offerto alla conservazione ed al
rafforzamento delle capacità operative di Cosa Nostra “soprattutto
nello strategico comparto delle comunicazioni riservate tra il vertice
del mandamento di Castelvetrano e della c. d. ‘provincia’ con gli altri
associati detenuti … (nonché) … nella gestione e risoluzione di una
delle questioni più temute nell’ambito dell’organizzazione criminale,
ossia quella della determinazione assunta da uno dei suoi sodali,
Grigoli Giuseppe, di collaborare con la giustizia, assicurando le

4

comunicazioni tra il fratello latitante, Matteo, ed il c.d. circuito
penitenziario. Ruolo … esplicato, entrando in contatto con il germano
e veicolandone poi la volontà … al proprio marito (Panícola) il quale a
sua volta estendeva le informazioni agli altri mafiosi co-detenuti”.
5.1.2. Di ulteriore, decisiva, rilevanza è risultata anche la condotta
criminosa di cui al capo 3, con cui, attraverso la semplice evocazione
in quel territorio del suo cognome, aveva resa esplicita la richiesta

estorsiva “colorandola” con il metodo mafioso caratterizzante i notori
comportamenti familiari della propria famiglia di origine.
5.2. A fronte di tali evidenze, i giudici dell’appello hanno ritenuto
come “il rientro dell’imputata nel proprio (o in un altro) domicilio,
consentirebbe a Matteo Messina Denaro di utilizzare nuovamente la
sorella come canale di collegamento tra sé ed altri soggetti mafiosi
operanti sul territorio, utilizzando forme e metodi di comunicazione
assai riservati e protetti, che ben si presterebbero ad essere messi in
atto nonostante lo status detentivo domiciliare della sorella; … la
vicenda estorsiva di cui al capo 3) … dimostra (poi) che l’imputata è
in grado ed ha intenzione di sfruttare a fini illeciti l’autorevolezza ed il
prestigio che vanta in quella realtà territoriale, di modo che anche in
regime detentivo domiciliare potrebbe facilmente reiterare condotte
estorsive, avvalendosi di terze persone come strumento operativo sul
territorio”: da qui la ritenuta ineludibilità della misura cautelare di
massima afflizione.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00.
Si comunichi a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Si comunichi a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.

5

pen

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 9.12.2015

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