Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50175 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50175 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 25/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Scarafile Daniele, n. a Torino il
17.06.1987, rappresentato e assistito dall’avv. Cosimo Palumbo, di
fiducia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino, in funzione di
giudice del riesame, n. 500115/2015, in data 19.06.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Fulvio
Baldi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in 19.06.2015, il Tribunale di Torino, rigettava il
gravame proposto nell’interesse di Scarafile Daniele avverso il

1

decreto di convalida del sequestro probatorio della somma di euro
870,00, in relazione all’ipotizzato reato di riciclaggio, emesso dal
pubblico ministero in data 15.04.2015, confermando il provvedimento
impugnato.
1.1. Scarafile Daniele veniva fermato in data 13.04.2015 mentre si
trovava a bordo di autovettura di proprietà di Venticinque Giuseppa
(madre del ricorrente), condotto in quel frangente da Bolognesi Mario

Attilio Andrea, auto a bordo della quale si trovava anche Grimaudo
Andrea.
1.2. Nel corso del controllo, gli operanti della Guardia di Finanza
notavano sul tappetino posteriore del mezzo la presenza di due
cacciaviti quali ipotetici mezzi di effrazione e/o utensili per
eventualmente montare/smontare doppi fondi idonei all’eventuale
occultamento di sostanza stupefacente; dal momento che i soggetti
controllati avevano precedenti per detenzione di sostanza
stupefacente, gli operanti procedevano all’ispezione del mezzo, delle
persone e dei bagagli; a seguito della perquisizione, lo Scarafile
veniva trovato in possesso della somma di euro 870,00 (mentre sul
Grimaudo veniva rinvenuta la somma di euro 16.644,00). Tali somme
venivano poste sotto sequestro ipotizzandosi il reato di riciclaggio.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino in data 19.06.2015,
nell’interesse di Scarafile Daniele, viene proposto ricorso per
cassazione lamentandosi violazione di legge in relazione agli artt.
355, comma 2 e 125, comma 3 cod. proc. pen. e chiedendo
l’annullamento senza rinvio del provvedimento con conseguente
restituzione del bene all’avente diritto.
In particolare, lamenta il ricorrente come il Tribunale avesse
confermato un provvedimento composto da formule di stile e
totalmente sprovvisto dell’indicazione delle esigenze probatorie
ravvisate; nel provvedimento, inoltre, non si rinviene nemmeno
l’ipotesi di reato configurabile né la data di presunta commissione
delle stesso; infine, l’originaria carenza di motivazione del
provvedimento impositivo della cautela reale non può trovare alcuna
integrazione ad opera del Tribunale del riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
2. Va preliminarmente ricordato come il ricorso per cassazione contro
le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è
ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi
comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei
vizi della motivazione così

radicali da rendere l’apparato

argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario
logico seguito dal giudice (cfr., ex multis, Sez. 5, sent. n. 43068 del
13/10/2009, dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093).
Nella nozione di violazione di legge – per cui soltanto può essere
proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1 cod.
proc. pen. – rientrano sia la mancanza assoluta di motivazione sia la
presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto
entrambe le ipotesi sono correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non vi rientra l’illogicità manifesta, che può
denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed
autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), cod.
proc. pen. (Sez. 6, sent. n. 7472 del 21/01/2009, dep. 20/02/2009,
P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).
3. Inoltre, in materia di misure cautelari reali, in sede di legittimità
così come in sede di riesame, non è consentito verificare la
sussistenza del reato ma solo accertare se il fatto contestato sia
configurabile quale fattispecie astratta di reato, in termini di
sommarietà e provvisorietà propri della fase delle indagini preliminari.
3.1. La misura cautelare reale attiene infatti a “cose” che vengono
rappresentate con un tasso di “pericolosità”, collegandosi con un
reato, e la conservazione del sequestro – volto a limitare la “libera
disponibilità” delle stesse – prescinde da qualsiasi verifica in merito
alla fondatezza dell’accusa, la quale introdurrebbe nel procedimento
incidentale un

“thema decidendi”

coinvolgente l’oggetto del

procedimento principale (cfr., ex multis, Sez. U, sent. n. 7 del
23/02/2000, dep. 04/05/2000; Sez. 3, sent. n. 23214 del
10/02/2004, dep. 18/05/2004).
3.2. Fermo quanto precede, del tutto congruo e totalmente esente da

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vizi appare l’ampio apparato argomentativo del Tribunale (il cui
provvedimento non va ad integrare il decreto di sequestro probatorio
emesso dal pubblico ministero in data 15.04.2015 né risulta a sua
volta

bisognevole

di

lettura

integrata

con

quest’ultimo

provvedimento) secondo cui l’accertamento della sussistenza del
fumus delicti commissi va compiuto sotto il profilo della congruità
degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul

piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze
processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di
verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole
probabilità – di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.
3.3. Invero, si legge nel provvedimento impugnato, come
“nell’annotazione di polizia giudiziaria del 15.5.2015, si dà atto come
tale controllo sia avvenuto nell’ambito delle indagini relative al proc.
RG n. 26664/2014, da cui era emerso, dalla consultazione delle
banche dati delle compagnie aeree e di navigazione e dall’attività di
o.c.p., che Scarafile e Grimaudo si sarebbero recati in Sardegna nel
giorno del 10 aprile, utilizzando il mezzo aereo e avrebbero fatto
ritorno il giorno 13 aprile via mare (giorno del controllo),
ipotizzandosi che in tale occasione gli indagati avrebbero potuto
prendere contatti per la vendita di sostanza stupefacente. Invero, nel
corso del predetto procedimento, era emerso come Grimaudo in
ripetute occasioni era stato destinatario di controlli in Sardegna, così
come emergeva un precedente viaggio tra i giorni 28 e 31 marzo
2015, svolto sempre da Scara file e Grimaudo, con le medesime
modalità …; … l’attività di p.c.p. permetteva di appurare che ad
attendere i due viaggiatori al porto di Genova si trovava Comba
Bolognesi Mario con l’autovettura Fiat Abarth in uso a Scara file.
Anche in occasione del rientro del 13 aprile, altro servizio di o.c.p.
permetteva di appurare che Scara file e Grimaudo scendevano
separatamente dalla nave, e che quando arrivavano nella sala arrivi,
dove si trovava Comba Bolognesi, i due lo ignoravano, per poi
ricongiungersi tutti e tre nel parcheggio del porto, dove si trovava la
vettura. I controlli svolti all’arrivo della Fiat 500 in Torino hanno dato
gli esiti di cui si è detto …”.
Da qui la conclusione assunta dal Tribunale secondo cui gli elementi
probatori acquisiti consentono l’astratta configurabilità del reato di cui

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all’art. 648 bis cod. peri. “in quanto le circostanze stesse in cui sono
avvenuti i ripetuti viaggi in Sardegna di cui si sono resi protagonisti
Grimaudo e Scarafile, a breve distanza di tempo … unitamente al
comportamento mantenuto dai prevenuti al loro arrivo a Genova,
denotano un comportamento anomalo e prudente, da parte degli
indagati, in quanto intenti in una attività illecita che, legittimamente,
gli operanti hanno ipotizzato riferibile ad una vendita di sostanza

stupefacente. Tale conclusione, del resto, è fondata su quanto
accertato dagli operanti al momento dell’ispezione, atteso che le due
unità cinofile hanno segnalato la medesima fonte odorosa circa la
presenza eventuale di sostanza stupefacente proveniente dal lato
posteriore dell’autovettura oggetto di controllo e, oltretutto, sono
stati reperiti strumenti utili a creare un doppiofondo sul veicolo”: il
tutto ha fatto ritenere i giudici di merito ampliamente plausibile il
fatto che il denaro detenuto dallo Scarafile costituisse corpo del reato
in contestazione.
4. Detta motivazione è da ritenersi del tutto idonea con riferimento
alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la

“res”

sequestrata ed il reato oggetto di indagine, non richiedendosi a tali
fini una motivazione sulla necessità del vincolo reale anche in
funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che l’esigenza probatoria
del corpo del reato è “in re ipsa” (cfr., Sez. 2, sent. n. 15801 del
25/03/2015, dep. 16/04/2015, Bellante, Rv. 263759).
4.1. Questa Corte, infatti, ha osservato che l’art. 245, cod. proc.
pen., al comma 1 stabilisce che l’Autorità Giudiziaria dispone con
decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose
pertinenti al reato necessaria per l’accertamento dei fatti”. Il comma
2 stabilisce, invece, che sono corpo del reato le cose sulle quali o
mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne
costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Invero, già dal testo letterale della legge, risulta, anche da un punto
di vista grammaticale, che, in tema di sequestro probatorio,
“necessarie per l’accertamento dei fatti”, sono solo le cose pertinenti
al reato; in tal caso, solo se ed in quanto necessarie a fini probatori,
determinate cose potranno essere qualificate “come pertinenti al
reato” e, dunque, essere oggetto del provvedimento di sequestro.
4.2. Dette valutazioni non sono, al contrario, richieste per il “corpo

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del reato”, e, quindi, per le cose individuate dal legislatore, nell’art.
253 cod. proc. pen., comma 2; per esse, infatti, il rapporto con il
reato non è mediato dalla finalità della prova, ma è immediato, tante
che in via generale ne è prevista la confisca.
Può, quindi, riconfermarsi il principio fissato dalla giurisprudenza
secondo cui in tema di misure cautelari reali, costituisce sequestro
penale obbligatorio quello del corpo del reato che mira a sottrarre

all’indagato tutte le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato
commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto
e il prezzo. Sotto tale aspetto, il sequestro del corpo di reato non ha
nulla a che vedere con il sequestro delle cose pertinenti al reato, che
è, invece, facoltativo e presuppone la tutela delle esigenze probatorie.
4.3. Ciò stabilito, va ancora precisato che, in tema di sequestro
probatorio di cose costituenti corpo di reato, se è vero che non è
necessario offrire la dimostrazione della necessità del sequestro in
funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che la esigenza probatoria
del corpus delicti è in re ipsa, è anche vero che, ai fini della
qualificazione come corpo di reato delle cose in sequestro, il
provvedimento deve dare concretamente conto della relazione di
immediatezza descritta nell’art. 253 cod. proc. pen., comma 2 tra la
res e l’illecito penale.
Ne consegue che, nel provvedimento di sequestro probatorio del
corpo di reato, non è sufficiente la mera indicazione delle norme di
legge violate, ma occorre anche che sia individuato il rapporto diretto
tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato, e che, quindi, siano descritti
gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione del fatto, in modo
che siano specificati gli episodi in relazione ai quali si ricercano le
cose da sequestrare (cfr., Cass. 31950/2013 Rv. 255556; Cass.
43444/2013 Rv. 257302; Cass. 23212/2014 Rv. 259579; Cass.
8662/2010 Rv. 246850).
Questa Corte, ritiene di adeguarsi al suddetto orientamento
giurisprudenziale, condividendo i nuovi ed ulteriori argomenti
evidenziati rispetto a quelli addotti dalle sezioni unite di questa Corte
(sent. n. 5876 del 28/01/2004).
4.4. Fermo quanto precede, deve ritenersi che la motivazione addotta
sul punto dal Tribunale, in considerazione della natura del
provvedimento, più che sufficiente in ordine al fumus di entrambi del

6

delitto contestato: da qui l’inammissibilità del ricorso.
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del
25.11.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Andreapellegrino

Presidente
Dott. An injo

posito

PQM

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