Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50169 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50169 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il tribunale di Sondrio, contro
l’ordinanza pronunciata in data 26/02/2015 dal giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Sondrio nei confronti di NOBILE Attilio nato il 16/07/1965;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Fulvio Baldi che ha concluso
per l’annullamento con rinvio;
FATTO
1. In data 01/12/2012, a seguito di una perquisizione domiciliare a carico
di NOBILE Attilio, veniva sottoposto a sequestro un frammento di sarcofago
egizio risalente al VIII-VI sec. A.C.
Il Nobile, veniva, quindi, indagato per i seguenti reati: a) artt. 10-176 dlgs
42/2004 per essersi impossessato del suddetto sarcofago costituente bene
culturale ex art. 10 dlgs cit. ed appartenente allo Stato ai sensi dell’art. 91 dlgs
cit.; b) art 648 cod. pen. per avere ricevuto il suddetto sarcofago provento di
contrabbando in quanto proveniente dalla Spagna ed introdotto in Italia in
violazione delle leggi doganali; c) del reato di cui agli artt. 282 dpr 43/1973 e 70
dpr 633/1972; reati tutti commessi in luogo ignoto ed in data anteriore al
01/12/2012.
Proposta dal Nobile istanza di restituzione, il Pubblico Ministero la
respingeva.

Data Udienza: 11/11/2015

A seguito di opposizione proposta dal Nobile, il giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Sondrio, con ordinanza del 26/02/2015, l’accoglieva
ed ordinava il dissequestro e la restituzione al Nobile del suddetto manufatto,
sostenendo che non sussisteva alcun nesso di pertinenzialità tra il manufatto ed i
reati per cui si procedeva, perchè:
a) esso, di provenienza spagnola, veniva esposto con possibilità di vendita
alla Fiera della Cultura tenutasi in Basilea dal 14 al 20-10-2000 (cfr. esiti
rogatoria all’Autorità spagnola);

nella banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti (cfr. nota del Ministero
per i beni culturali del 30 4 2013);
c) non risultava effettuata la dichiarazione dell’interesse culturale di cui agli
artt. 12 e 13 D.L.vo 42/2004, ma solo avviato un procedimento amministrativo
per una eventuale dichiarazione in tal senso (cfr. nota del Ministero dei beni e
delle attività culturali del 11-2-2015, prot. n. 1318);
d)

le indicate risultanze costituivano, dunque, positivo riscontro alla

documentazione offerta in produzione dalla difesa, in particolare all’attestazione
di vendita del manufatto de quo effettuata da tale Augusto Nencinì al Nobile in
data 21-3-2002 (foglio 113), a nulla rilevando che il Nencini non risulti titolare di
ditta individuale, società e partita Eva (cfr. informativa della Guardia di Finanza
del 26-1-2015);
e) non apparivano oggettivamente configurabili, neppure sotto il profilo del
fumus, i reati ipotizzati dalla pubblica accusa, che, peraltro, in relazione alla data
di ricezione del bene da parte del Nobile, risulterebbero ormai prescritti.

2. Contro la suddetta ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso
per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. il giudice per le indagini preliminari si era basato sull’acritico
recepimento di due documenti dell’indagato sulla cui attendibilità ed autenticità
vi erano molti dubbi;
2.2. dalla rogatoria effettuata in Spagna risultava che il presunto venditore
originale (tale Fernando Bernaldez Fernandez) era sottoposto ad un
procedimento penale relativamente al commercio di opere d’arte. La rogatoria,
inoltre, non aveva dato alcuna certezza sulla data di vendita del manufatto egizio
e nonostante la cessione all’estero del bene la stessa é da considerarsi illegale in
quanto non è mai stata comunicata all’Autorità spagnola;
2.3. non poteva affermarsi che il bene in questione era stato esportato
legittimamente in Svizzera perché non esisteva alcun documento attestante
l’importazione in Italia: « Il Gip quindi non ha considerato che non si ha alcuna
2

b) il bene non trovava riscontro tra le opere d’arte da ricercare censite

certezza di chi abbia importato in Italia il sarcofago o come esso sia stato
importato in quanto non è stata presentata nessuna denuncia all’Ufficio
esportazione/importazione, e pertanto l’affermazione del Gip sulla “non
configurabilità” dei reati appare del tutto destituita di fondamento»;
2.4. la vendita non poteva essere stata effettuata legittimamente in quanto
nessuna notifica era stata fatta alla Sopraintendenza al fine di eventualmente
esercitare la prelazione;
2.5. «Unico elemento che può fornire una data certa sul possesso da parte

Arcellaschi Arturo comunica all’avv. Ronnualdi che il sarcofago è disponibile
presso il suo negozio (missiva fornita in prova) ternninus post quem, termine
dopo il quale Nobile entra realmente in possesso del bene. Dunque solo dal 2010
si può provare il possesso del bene da parte del Nobile e dunque è solo da quel
momento che può essere fatta decorrere il termine prescrizionale per il reato di
ricettazione il quale dunque atteso il termine di otto anni minimo non è allo stato
interamente decorso»;
2.6. «Infine, circa la sussistenza allo stato del reato cui al testo unico
42/2004 deve evidenziarsi che la perizia, in atti del fascicolo, effettuata in data
21 marzo 2013 dal perito incaricato Guzzon Edoardo Alessandro vale quale
dichiarazione di interesse archeologico del bene “sarcofago” ai sensi dell’ad. 10
comma 3 lettera A, del D.Lgs. 42/2004 sottoponendolo quindi a tutti i vincoli di
legge previsti»
DIRITTO
1. In punto di diritto, vanno precisati due principi:
a) L’ordinanza del G.i.p., che a norma dell’art. 263, comma quinto, cod.
proc. pen., provvede sull’opposizione degli interessati avverso il decreto del P.M.
di rigetto della richiesta di restituzione delle “cose” in sequestro o di rilascio di
copie autentiche di documenti, è ricorribile per cassazione per tutti i motivi
indicati dall’art. 606, comma primo, cod. proc. pen.: SSUU 9857/2008 Rv.
242290; quindi, il ricorso del Pubblico Ministero deve ritenersi ammissibile;
b) «In tema di sequestro probatorio, con l’opposizione avverso il decreto
del P.M. di rigetto della richiesta di restituzione delle cose sequestrate sono
deducibili esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a
fini di prova e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro, che
possono essere fatte valere con la richiesta di riesame»:

ex plurimis Cass.

24959/2014 Rv. 264059.
Infatti, a norma dell’art. 262 cod. proc. pen., le cose sono restituite a chi
ne abbia diritto «quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di

3

di Nobile del sarcofago è la missiva dell’anno 2010 (09 aprile 2010) quando

prova»: di conseguenza, non può il giudice per le indagini preliminari ordinare il
dissequestro per motivi che attengono alla legittimità del provvedimento
genetico, in quanto la competenza a decidere la fondatezza del fumus del reato
contestato è riservata in via esclusiva al Tribunale del riesame.

2. Tanto premesso, posto che il procedimento che ha ad oggetto la
richiesta di dissequestro di un bene sottoposto a sequestro probatorio, deve
vertere solo ed esclusivamente sulla necessità di mantenere il vincolo a fini di

occorre esaminare è se il giudice per le indagini preliminari si sia ad esso
attenuto.
In realtà, come appare del tutto evidente dalla motivazione dell’ordinanza
che si è testualmente riportata, il giudice per le indagini preliminari, nonostante
abbia premesso di aderire al suddetto principio di diritto, di fatto, poi, ha ritenuto
l’insussistenza del nesso di pertinenzialità fra il bene sequestrato ed i reati per
cui si procede, non perché fosse venuta meno la necessità di mantenere il
vincolo a fini di prova, ma perché, a suo giudizio, in pratica, i reati contestati, o
erano insussistenti o, comunque, si erano prescritti.
Con la suddetta motivazione, quindi, il giudice per le indagini preliminari,
esorbitando dai limitati poteri che la legge gli concede nell’ambito del
procedimento di restituzione, si è, di fatto, appropriato dei poteri del Tribunale
del Riesame (valutazione nel merito della opportunità o legittimità del sequestro)
disponendo il dissequestro per motivi del tutto eccentrici e diversi da quelli solo
consentitigli, ossia, ex combinato disposto degli artt. 262-263 cod. proc. pen.,
solo ed esclusivamente quelli limitati a valutare se sia o meno necessario
mantenere il sequestro a fini di prova dei reati contestati sui quali, in questa
ristretta fase, non ha alcun potere di valutarne la fondatezza perché tale profilo
può essere sottoposto dall’indagato solo al Tribunale del Riesame e solo da
questo organo può essere vagliato.
L’ordinanza, pertanto, dev’essere annullata e gli atti nuovamente trasmessi
al giudice per le indagini preliminari che, nella nuova decisione, si uniformerà al
seguente principio di diritto: «In tema di sequestro probatorio, con l’opposizione
avverso il decreto del P.M. di rigetto della richiesta di restituzione delle cose
sequestrate, sono deducibili esclusivamente censure relative alla necessità di
mantenere il vincolo a fini di prova, ex art. 262 cod. proc. pen., e non anche alla
opportunità o legittimità del sequestro, che possono essere fatte valere con la
richiesta di riesame: di conseguenza, non può il giudice per le indagini
preliminari ordinare il dissequestro per motivi che attengono alla legittimità del

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prova e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro, il primo punto che

provvedimento genetico, in quanto la competenza a decidere la fondatezza del
fumus del reato contestato è riservata in via esclusiva al Tribunale del riesame»

P.Q.M.
ANNULLA
L’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al giudice per le indagini
preliminari del tribunale di sondrio per il corso ulteriore

Roma 11/11/2015

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