Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50168 del 21/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 50168 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DE BENEDICTIS TEODORO N. IL 19/04/1954
avverso la sentenza n. 1379/2009 CORTE ~E APPELLO di
MILANO, del 11/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 21/10/2013

RITENUTO IN FATTO

che con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Milano ha

confermato la sentenza di prime cure che aveva condannato De Benedictis
Teodoro per il reato di uso di un documento d’identità falso;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

motivazione e una violazione di legge riguardo alla mancata affermazione della
non punibilità a cagione della grossolanità del falso nonché per l’esistenza di una
motivazione per relationem.
CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto il primo motivo si
sostanzia in una indebita rivisitazione delle risultanze probatorie sulla pretesa
grossolanità del falso, perchè non è possibile più svolgere tale attività avanti
questa Corte di legittimità; trattasi inoltre di doglianza che, per un verso, passa
del tutto sotto silenzio la pur esistente motivazione offerta sul punto dalla Corte
territoriale e, per altro verso, non vale a scalfire la granitica giurisprudenza di
questa Corte in tema di c.d. grossolanità del falso;
– che il falso c.d. grossolano non punibile sia soltanto quello facilmente
riconoscibile ictu oculi anche da persone del tutto sprovvedute, mentre non è
tale quello che richieda una certa attenzione per il riconoscimento della
falsificazione (v. da ultimo Cass. Sez. V 13 luglio 2011 n. 38349): sicché, avendo
la Corte di merito considerato che la falsità in oggetto non fosse rilevabile prima
facie ne deriva che l’impugnata sentenza si sottrae a censura anche sotto tale
aspetto;
– che questa Corte, quanto al secondo motivo, nel delineare i limiti di
legittimità della motivazione per relationem della sentenza di appello, ha avuto
modo di precisare che l’integrazione della motivazione tra le conformi sentenze di
primo e secondo grado sia possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia
riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi
che il Giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure
dell’appellante, abbia fatto proprie le considerazioni svolte dal primo Giudice;
– che più specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione
del Giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure
rivolte dall’appellante;
1

l’imputato, a mezzo del proprio difensore, denunciando una illogicità della

I.

– che se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già
adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo Giudice, oppure di
questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il Giudice
dell’impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare
argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati;
– che quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado

motivazione, sindacabile ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), se il
Giudice del gravame si limiti a respingere tali censure e a richiamare la
contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi
carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi
di impugnazione. (v. Cass. Sez. VI 12 giugno 2008 n. 35346);
– che nella specie si è verificata l’ipotesi di legittima motivazione per
relationem a cagione dei motivi generici dell’impugnazione;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di
cui all’articolo 616 cod.proc.pen., ivi compresa, in assenza di elementi che
valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta
sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;
P. T. M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2013.

siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di

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