Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50158 del 09/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50158 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Raccuia Natale, nato a Catania il 16/08/1973;
avverso la sentenza del 29/01/2014 della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Delia
Cardia, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22.11.2012 il Tribunale di Catania, fra l’altro, dichiarò
Raccuia Natale responsabile di estorsione aggravata anche ai sensi dell’art. 7
legge n. 203/1991e lo condannò alla pena di anni 6 mesi 3 di reclusione ed C
2.000,00 di multa, pene accessorie, nonché al risarcimento dei danni (da
liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale) ed alla rifusione delle spese
a favore della parte civile Monetti Matteo.

2. L’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Catania, con sentenza
del 29.1.2014, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, fra l’altro,
ridusse la pena a Raccuia Natale ad anni 3 di reclusione ed C 2.400,00 di multa,
pena accessoria.

Data Udienza: 09/12/2015

L’imputato fu altresì condannato alla rifusione a favore della parte civile
delle ulteriori spese di giudizio.

3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:
1.

violazione di legge e vizio di motivazione sull’affermazione di
responsabilità in base alle dichiarazioni della persona offesa senza
adeguata valutazione di attendibilità, dal momento che la stessa è stata
smentita dalle risultanze dibattimentali; il mendacio relativo all’incontro

dell’incontro, come evidenziato nei motivi di appello;
2.

violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta consapevolezza in
capo al ricorrente dell’ingiustizia della minaccia portata a Monetti,
difettando peraltro qualsiasi contributo causale in capo a Raccuia; il reato
era già stato consumato al momento dell’entrata in scienza di Raccuia; è
irrilevante la mera connivenza;

3.

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n.
203/1991; tale aggravante non è desumibile dalla mera appartenenza dei
soggetti ad un sodalizio mafioso; non vi è motivazione sul dolo specifico
di voler agevolare l’associazione o sull’utilizzo del metodo mafioso;

4.

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata
esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 629 comma 2 in
relazione all’art. 628 comma 3 n. 3 cod. pen.; non è dimostrata
l’appartenenza ad un sodalizio degli autori del reato e Raccuia non era
presente all’incontro avvenuto nel gennaio 2012 presso gli uffici della
Someca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati e
svolgono censure di merito.
La Corte territoriale ha ritenuto di condividere la valutazione del primo
giudice secondo la quale, la discrasia ravvisata nelle dichiarazioni di Monetti circa
l’incontro del 28.12.2010 non era rilevante rispetto all’episodio centrale del
giorno successivo e che il racconto della persona offesa aveva trovato riscontri e
cioè il diretto coinvolgimento degli imputati nelle pretese avanzate per conto dei
Motta e l’inserimento degli stessi nella cosca mafiosa facente capo ad Aiello
Vincenzo (p. 7 sentenza impugnata).
La consapevole partecipazione di Raccuia all’estorsione è stata desunta dal
fatto che egli, oltre a essere stato presente al momento delle prime minacce
2

del 28.12.2010, era chiaramente diretto a far scemare la casualità

rivolte da Marletta a Monetti, si era portato a casa del Bucolo per “continuare la
discussione”, pur consapevole delle minacce portate (p. 12 e 13 sentenza
impugnata).
In tale motivazione non vi è alcuna violazione di legge o manifesta illogicità,
rientrando invece la stessa nell’ambito di una plausibile opinabilità.

2. Il terzo e quarto motivo di ricorso sono manifestamente infondati e
svolgono censure di merito.

aggravanti in ragione dell’aver Raccuia e Marletta dichiarato di agire per conto di
Aiello Enzo, ritenuto noto capo cosca locale, di cui Raccuia era un guardaspalle
(anche in base alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia).
I giudici di merito hanno richiamato le dichiarazioni dell’Ispettore Cassisi, il
quale ha riferito di più presenze di Raccuia alla Someca e la sua presenza
all’esterno riguardava solo l’episodio del gennaio 2012.
La Corte territoriale ha ritenuto gli imputati inseriti nel clan capeggiato da
Aiello ed ha ravvisato l’uso del metodo mafioso nell’aver costoro affermato di
agire per conto di tale clan (sentenza impugnata p. da 15 a 17).
Non vi è in tale argomentazione violazione di legge o manifesta illogicità che
la renda sindacabile in questa sede.

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 09/12/2015.

La Corte d’appello ha argomentato la sussistenza delle circostanze

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